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L’agnosticismo del nostro tempo, in apparenza così ragionevole, il quale lascia che Dio sia Dio per fare dell’uomo semplicemente un uomo, si dimostra una idiozia dalla vista corta.

tratto da Joseph RatzingerGuardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, § 2. L'agnosticismo è una via d'uscita? Intermezzo: la follia dell'intelligente e le condizioni della vera sapienza, pp. 16-21.

Intermezzo: la follia dell’intelligente e le condizioni della vera sapienza

A questo punto vorrei interrompere per un istante la nostra riflessione, forse un po’ astratta, e inserire una parabola biblica; riprenderemo poi il filo del nostro pensiero. 

Penso alla storia raccontata da Gesù e riportata in Luca 12,16-21: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».


L’uomo ricco di questa parabola è senza dubbio intelligente; se ne intende dei suoi affari. Sa calcolare le possibilità di mercato; tiene in considerazione i fattori di insicurezza nella natura come [16] nel comportamento umano. Le sue riflessioni sono ben pensate, il successo gli dà ragione. Se è consentito ampliare un po’ la parabola, possiamo dire che quest’uomo era di sicuro troppo intelligente per essere un ateo. Ma ha vissuto come un agnostico: «come se Dio non ci fosse».

 

Di cose così incerte come l’esistenza di un Dio, un uomo simile non si occupa. Egli tratta di cose sicure, calcolabili. Perciò anche il fine della sua vita è molto intramondano, tangibile: il benessere e la felicità del benessere. Ma ecco che gli succede precisamente ciò che non aveva calcolato: Dio gli parla, e gli manifesta un evento che egli aveva escluso dal suo calcolo, in quanto troppo incerto e poco importante: di ciò che succederà alla sua anima quando si troverà nuda davanti a Dio, di là da possedimenti e da successi.

«Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita».
L’uomo, che tutti conoscevano come intelligente e fortunato, è un idiota agli occhi di Dio: «Stolto» gli dice e di fronte all’autentico egli appare con tutti i suoi calcoli stranamente sciocco e corto di veduta, poiché nei suoi calcoli aveva dimenticato l’autentico: che la sua anima desiderava non soltanto averi e gioie, ma che si sarebbe trovata un giorno davanti a Dio.

Questo intelligente stolto mi sembra un’immagine molto esatta del comportamento medio della gente moderna.
Le nostre capacità tecniche ed economiche sono cresciute in modo prima inimmaginabile. La precisione dei nostri calcoli è meravigliosa. A dispetto di tutti gli orrori del nostro tempo si consolida in molti l’opinione che siamo vicini a realizzare la felicità più grande possibile del numero più grande possibile di uomini, e a dare infine inizio a una nuova fase della storia, una civilizzazione dell’umanità in cui tutti potranno mangiare, bere e godersela come vuole il cuore.
Ma proprio in questo apparente avvicinamento all’autoredenzione dell’umanità erompono le sinistre esplosioni dal profondo dell’insaziata e oppressa anima umana e ci dicono: Stolto, hai dimenticato te stesso, la tua anima e la sua sete incolmabile, il suo desiderio di Dio.
L’agnosticismo del nostro tempo, in apparenza così ragionevole, il quale lascia che Dio sia Dio per fare dell’uomo semplicemente un uomo, si dimostra una idiozia dalla vista corta. Ma lo scopo dei nostri esercizi dovrebbe consistere nell’ascoltare le parole che Dio ci rivolge, nel [17] percepire il grido della nostra anima e riscoprire, nella sua profondità, il mistero di Dio.

Soffermiamoci ancora un istante sulle prospettive che si aprono in questa riflessione prima di riprendere il filo dei nostri pensieri precedenti. Il proiettarsi dell’uomo in Dio, la ricerca e la strada verso il fondamento creatore di tutte le cose è qualcosa di molto diverso dal pensiero «precritico» o non critico.Al contrario, la negazione della questione di Dio, la rinuncia a questa elevata apertura dell’uomo è un atto di chiusura, è un dimenticare l’intimo grido del nostro essere.

In questo contesto Josef Pieper ha citato parole di Esiodo riprese dal cardinal Newman, nelle quali questa problematica viene all’espressione con inimitabile eleganza e precisione: «L’essere saggio con la testa di qualche altro... è certo più piccolo che il nostro sapere proprio, ma ha infinitamente più peso dello sterile orgoglio di colui che non realizza l’indipendenza del sapiente e al tempo stesso disprezza la dipendenza del credente» [nota 1].
Nella stessa direzione va un ragionamento di Newman stesso sul fondamentale rapporto dell’uomo verso la verità. Troppo spesso gli uomini sono inclini – così ragiona il grande filosofo della religione – a starsene tranquilli ad aspettare se mai arrivino a casa loro dimostrazioni della realtà della rivelazione, come se essi fossero nella posizione di arbitri e non di bisognosi. «Essi hanno deciso di esaminare l’Onnipotente in una maniera appassionata e oggettiva, in piena imparzialità, con la testa chiara». Ma l’uomo, che in tal modo si rende signore della verità, s’inganna. A un simile signore essa si sottrae e si apre soltanto a colui che le si avvicina con rispetto, con umiltà venerante [nota 2].

«Ha deposto i potenti dal trono, ha innalzato gli umili».
Vengono qui alla memoria le parole del Magnificat e forse è proprio [18]questa la prospettiva da cui si possono comprendere. Giacché in esse non si presuppone l’idea della lotta di classe; in esse si esprime invece lo stupore per le vie di Dio di un uomo toccato da Dio. Risalta in primo piano qualcosa di fondamentale. Non si tratta di mutamenti politici, non almeno in prima linea; si tratta della dignità dell’uomo, della sua rovina e della sua salvezza. L’uomo che si fa signore della verità e la mette poi da parte quando non si lascia dominare, colloca il potere sopra la verità. La sua norma diventa il potere. Ma proprio così egli perde se stesso: il trono su cui si mette è un trono falso; la sua presunta ascesa al trono è già in realtà la sua caduta.

Ma forse questo ha un suono troppo apocalittico, troppo teologico. Diventa concreto se noi guardiamo alla strada del pensiero nell’età moderna.
La scienza della natura in senso moderno inizia quando l’uomo - come si espresse Galilei- mediante l’esperimento mette la natura, se occorre, sotto tortura e così le strappa i segreti che essa non vuole mostrare volontariamente. In questo modo è indubbiamente venuto alla luce qualcosa d’importante e di utile a tutti. Abbiamo così appreso tutto ciò che si può fare alla natura [nota 3]. L’importanza di questo sapere e del potere così raggiunto non dev’essere attenuata. Solo che, se noi facciamo valere unicamente questo modo di pensare, il trono del dominio sulla natura su cui ci siamo posti viene costruito sul nulla; inevitabilmente cadrà e trascinerà noi e il mondo nella caduta. Poter fare è una cosa, poter essere un’altra.

Il poter fare non serve a nulla se non sappiamo a qual fine utilizzarlo, se non ci interroghiamo più su che cosa noi siamo e su che cos’è la verità delle cose. L’isolamento del sapere di dominio è quel trono dell’orgoglio, la cui caduta consegue inevitabilmente alla mancanza di terreno sotto i piedi. Se vale soltanto quel sapere che alla fine si esprime mediante un poter fare, siamo allora degli stolti di corta veduta che costruiscono su fondamento inesistente. Allora abbiamo innalzato il «potere» a norma unica e [19]tradito la nostra autentica vocazione, la verità. La sapienza dell’orgoglio diventa banale follia.

A una mentalità «critica», con la quale l’uomo critica tutto eccetto se stesso, contrapponiamo l’apertura verso l’infinito, la vigilanza e la sensibilità per la totalità dell’essere; una umiltà del pensiero pronta a piegarsi alla maestà della verità, davanti alla quale noi non siamo dei giudici ma dei mendicanti. Solo al cuore vigile e umile la verità si mostra. Se è vero che i grandi risultati della scienza si aprono soltanto al lavoro lungo, vigile e paziente, sempre pronto a lasciarsi correggere e istruire, si capisce allora da sé che le più alte verità esigono una grande costanza e umiltà dell’ascolto.

«Ha innalzato gli umili».
Questo non è uno slogan da lotta di classe e non è neppure un moralismo primitivo. Si tratta degli atteggiamenti primi dell’uomo come tale. Solo alla percezione umile, che non si lascia scoraggiare da nessuna negazione, né traviare da nessun applauso e da nessuna contraddizione, e neppure dai desideri e dalle pieghe del proprio cuore, solo a una simile umiltà del pensiero si apre l’altezza della verità e in tal modo l’accesso alla vera grandezza dell’uomo. Questa apertura per l’infinito, per il Dio infinito, non ha nulla a che fare con la credulità; esige al contrario la più vigile autocritica. Essa è più aperta e critica di quella limitazione all’empirico, in cui l’uomo fa della sua volontà di dominio l’ultimo criterio della conoscenza.

Ecco allora gli atteggiamenti che dobbiamo contrapporre a un agnosticismo pago di sé perché essi soli corrispondono all’inevitabilità della questione di Dio: vigilanza per le più profonde dimensioni del reale; domanda circa la totalità della nostra esistenza umana e in genere della realtà; umiltà per la grandezza della verità e disponibilità a lasciarci purificare da essa e per essa. Più oltre si dimostrerà che dobbiamo fare spazio a un altro fattore che finora non è entrato nel discorso: come nelle cose empiriche iniziamo con una specie di fede e abbiamo bisogno della testimonianza di chi già sa per arrivare noi stessi a sapere, così anche in questo difficile e a un tempo decisivo settore del nostro conoscere è necessaria la disponibilità ad ascoltare i grandi testimoni della verità, i testimoni [20] di Dio, a lasciarci condurre da essi, per giungere sulla strada della conoscenza.

Inoltre, come ogni scienza e ogni arte esigono costanza ed esercizio, così è anche nel cammino verso Dio. Gli organi per la verità possono ottundersi fino al totale accecamento e alla totale sordità. Già Pio XII ebbe parole di monito per la perdita del sentimento di Dio, e il Papa attuale [Giovanni Paolo II] ha ripetuto queste parole. I Padri della Chiesa hanno in tale contesto frequentemente richiamato le parole di Cristo: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Il cuore «puro» è il cuore aperto e umile. Il cuore impuro è viceversa il cuore presuntuoso e chiuso, del tutto pieno di se stesso, incapace a fare spazio alla maestà della verità, che richiede rispetto e alla fine adorazione.

Riassumiamo brevemente a questo punto - prima di riprendere il filo della precedente riflessione - i risultati che si sono rivelati in questo intermezzo antropologico. Abbiamo detto che la questione di Dio è inevitabile, non possiamo astenerci. Per avvicinarvisi sono indispensabili alcune virtù fondamentali, che sono per così dire i suoi presupposti metodologici: l’ascolto del messaggio che proviene dalla nostra esistenza e dal mondo nella sua totalità; l’attenzione rispetto alla conoscenza ed esperienza religiosa dell’umanità; l’impegno deciso e costante del nostro tempo e della nostra forza interiore per una questione che concerne ognuno di noi personalmente.

[nota 1] Pieper, op. cit., pp. 292 e 372 con rimando a Newman, Philosophie des Glaubens (trad. da Th. Haecker, München 1921), p. 292 e Aristotele, Etica a Nicomaco 1,2; 1095 b.
[nota 2]Pieper, op. cit., p. 318; Newman, Grammar of Assent, London 1892, p. 425s.
[nota 3] Cfr. il mio discorso all'Università di Salisburgo: Konsequenzen des Schopfungglaubens, Salzburg 1980.

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