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Nel «fare» siamo diventati grandi, anzi grandissimi, ma nell’essere, nell’arte dell’esistere le cose stanno diversamente.

tratto da Joseph Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza, carità, Jaca Book, Milano 1989, Capitolo I – Fede, pp. 9-10.


I. FEDE

Le riflessioni contenute in questo libro non sono solo considerazioni teoriche, vogliono essere invito a «esercizi spirituali». Che cosa sono precisamente? Che cosa vi facciamo? 
Ci si può «esercitare» solo in qualcosa che già in qualche modo si possiede; l’esercizio presuppone un fondamento già dato. Ma solo esercitandomi, la qualità di cui si tratta diventa mia proprio al punto da poterne disporre e da renderla fruttuosa. Un pianista deve esercitarsi nella sua arte, altrimenti la perde. Uno sportivo deve «allenarsi» perché solo così egli sarà in piena forma. Dopo la rottura di una gamba devo nuovamente esercitare l’organo in via di guarigione, perché impari di nuovo a sostenermi e via dicendo.
Che cosa dobbiamo «esercitare» in questi giorni? Gli «esercizi» sono un’iniziazione nell’esistenza cristiana, nell’esistenza della fede. Esercitiamo l’esistenza cristiana. Ma poiché l’esistenza cristiana non è una qualunque arte specifica accanto alle altre, bensì semplicemente l’esistenza vissuta come si deve, si potrebbe anche dire che vogliamo esercitare l’arte della vita giusta. Vogliamo meglio imparare l’arte delle arti, l’esistenza umana.

Qui si impone subito uno sguardo sul panorama della nostra vita quotidiana. Esiste nella nostra società contemporanea un sistema altamente sviluppato di formazione professionale che ha por[9]tato al massimo livello le possibilità del dominio umano sulle cose.
Il potere dell’uomo, nel senso del dominio del mondo, è giunto a proporzioni quasi vertiginose. Nel «fare» siamo diventati grandi, anzi grandissimi, ma nell’essere, nell’arte dell’esistere le cose stanno diversamente. Sappiamo che cosa si può «fare» delle cose e degli uomini, ma di ciò che le cose sono, di ciò che l’uomo è non parliamo neppure più.
Di quest’arte perduta, dell’arte di saper vivere, si deve trattare in questi giorni. Quanto a tutto ciò noi ci troviamo nella situazione di uno che si è rotto in più punti le ossa; dobbiamo un po’ alla volta reimparare l’«andare» nella fede, l’uso delle nostre energie interne.
Le conferenze possono essere solo una specie di avvio, una prima spinta verso un intimo impegno personale e comunitario, che è la cosa veramente importante, se gli «esercizi» vogliono portare frutto.

La fede è l’atto fondamentale dell’esistenza cristiana. Nell’atto di fede si esprime la struttura essenziale del cristianesimo, la sua risposta alla domanda come è possibile arrivare alla méta nell’arte dell’esistenza umana.

Si danno anche altre risposte. Non tutte le religioni sono «fede». Il buddismo nella sua forma classica, per esempio, non mira a questo atto di autotrascendenza, di incontro con il Tutt’Altro: Dio che mi parla e mi invita all’amore. Caratteristico per il buddismo è invece un atto di radicale interiorizzazione: non uscire da sé (ex-ire) ma discendere dentro, il che deve condurre alla liberazione dal giogo dell’individualità, dal peso di essere persona; al ritorno nell’identità comune di ogni essere. E ciò, in confronto con la nostra esperienza esistenziale, si può definire come non essere, come nulla, se vogliamo esprimere tutta la sua alterità[nota 1]. [10]




[nota 1] Cfr. in proposito nella collana Die religionen der Menschheit a cura di Chr. M. Schröder, il vol. 13: Die Religionen Indiens III di A. Bareau, W. Schubring, Chr. Von Fürer-Haimendorf, Stuttgart 1964; sul rapporto tra cristianesimo e buddismo H. Bürkle, Einführung in die Theologie der Religionen, Darmstadt 1977, pp. 63-92, dove si trova dell’altra bibliografia.

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