Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico. Con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715, Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 253-256.
5.
Definitività e speranza
La fede cristiana
afferma che in Cristo si è realizzata la salvezza degli uomini, che in lui è
irrevocabilmente cominciato il futuro dell’uomo e in tal modo, pur rimanendo futuro,
esso è però anche passato, parte del nostro presente. Questa affermazione include un principio “definitività”, che
è di estrema importanza per la forma dell’esistenza cristiana, e anche per
quella modalità di decisione che l’essere cristiani intende. Tentiamo di
elaborare in maniera più adeguata quanto affermato!
Abbiamo
appena constatato come Cristo sia il futuro già incominciato, lo stadio
definitivo, già inaugurato, dell’essere uomo. Nel linguaggio della teologia
scolastica si era espresso questo concetto dicendo che con Cristo la
rivelazione sarebbe conclusa. Ciò non può ovviamente significare che ormai un
determinato numero di verità è stato comunicato, per cui Dio ha preso la
decisione di non aggiungere più alcuna ulteriore comunicazione.
Significa,
invece, che il
dialogo di Dio con l’uomo, l’abbandonarsi di Dio all’umanità ha raggiunto il
suo traguardo in Gesù, l’uomo che è Dio. In questo dialogo non si è trattato e non si tratta tanto di dire qualcosa, o tante cose, quanto piuttosto
di dire se stesso attraverso la parola. Sicché il suo intento non è raggiunto quando è
stata comunicata la maggiore quantità possibile di nozioni, bensì quando grazie
alla parola appare evidente l’amore, quando nella parola i “tu” vengono tra
loro a contatto.
Il
senso del dialogo non sta in un terzo elemento, in un sapere oggettivo, bensì
negli stessi interlocutori. Si chiama: unione. Ora, però, nell’uomo-Gesù Dio ha
detto definitivamente se stesso: egli è
la sua parola e la sua parola, in quanto tale, è [253] lui. La rivelazione non
termina qui perché Dio la conclude fisicamente, bensì perché essa ha raggiunto
il suo scopo. Come si espresse Karl Rahner: «Non viene detto più
nulla di nuovo, non sebbene ci sarebbe ancora molto da dire, ma perché tutto è
stato detto, anzi, tutto è stato donato nel Figlio dell’amore, in cui Dio e il
mondo sono divenuti una cosa sola»[nota 46].
Se
consideriamo con maggiore attenzione quanto abbiamo detto, emerge un altro
aspetto. Il fatto che in Cristo la
rivelazione raggiunga il suo scopo e l’umanità raggiunga la sua mèta ultima,
perché in lui divinità e umanità si toccano e si uniscono, comporta al contempo
che il traguardo raggiunto non sia un limite rigido, bensì uno spazio aperto.
L’unificazione avvenuta in quell”unico punto che è Gesù di Nazaret, infatti,
deve coinvolgere tutta l’umanità, l’intero unico “Adamo”, trasformandolo in “corpo
di Cristo”.
Fintanto
che questa totalità non sarà raggiunta, fintanto che resta limitata a quell’unico
punto, l’evento verificatosi in Cristo rimane contemporaneamente un termine e
un inizio. L’umanità
non può spingersi più in là e più in alto di lui, perché Dio è l’Essere più
vasto e più sublime; ogni apparente progresso oltre lui è un salto nel vuoto.
Essa non può oltrepassarlo, in quanto Cristo è già il traguardo finale; ma deve
entrare in lui, in quanto Cristo è solo l’autentico inizio.
Non
occorre che riflettiamo sull’intreccio fra passato e futuro che ne risulta per
la coscienza cristiana; e nemmeno sul fatto che in tal modo la fede cristiana,
nel suo volgersi indietro al Gesù storico, è rivolta in avanti verso il nuovo
Adamo, ossia verso il futuro che il mondo e l’uomo attendono da Dio. Tutto ciò
l’abbiamo già considerato. Qui si tratta di qualcos’altro.
Il fatto che la decisione definitiva di Dio nei confronti
dell’uomo sia già stata
[254] presa significa che nella storia – secondo la
convinzione della fede – il definitivo c’è già, anche se questo definitivo è
tale che non esclude il futuro, bensì lo schiude. Ciò, a sua volta,
ha come conseguenza che il definitivo, l’irrevocabile, è e deve essere presente
anche nella vita dell’uomo, soprattutto là dove egli incontra il definitivo-divino
di cui poc’anzi si parlava.
La fiducia che il definitivo c’è già e che proprio in
esso è mantenuto aperto il futuro dell’uomo caratterizza tutto l’atteggiamento
cristiano nei confronti della realtà: per il cristiano non può valere la
posizione dell’attualismo, che si ferma alla situazione del momento e non trova
mai il definitivo. Egli, invece, è certo che la storia va avanti, ma il progresso
esige un orientamento definitivo – proprio questo lo sottrae al girare a vuoto
che non conduce a nessuna meta finale.
La
lotta intorno all’irrevocabilità dell’essere-cristiano è stata sostenuta nel
Medioevo come lotta contro l’idea del “terzo regno”: dopo l’Antico Testamento,
che è il “regno del Padre”, il cristianesimo attuale rappresenterebbe il
secondo regno, il “regno del Figlio”, che sarebbe si già migliore del primo, ma
dovrebbe essere sostituito dal “terzo regno”, che è il “regno dello Spirito”. La fede nell’incarnazione
di Dio in Gesù Cristo non può ammettere alcun “terzo regno”; essa crede nella definitività
di quanto è avvenuto e proprio per questo sa di essere aperta al futuro. [nota 47]
Che
ciò implichi decisive conseguenze anche per la vita del singolo, l’abbiamo già
rilevato in precedenza. Significa che la fede interpella l’uomo in maniera definitiva e non
può, dopo il regno del Padre nell’infanzia e dopo quello del Figlio nella giovinezza,
essere un bel giorno liquidata da un’illuminata età del[255]lo Spirito, che obbedirebbe soltanto alla
propria ragione, spacciandola sotto mano per lo Spirito Santo. Certo, la fede
ha i suoi flussi e riflussi, i suoi gradi, ma proprio in questo modo essa costituisce
il perenne fondamento dell’esistenza dell’uomo, che è soltanto uno.
Ne viene anche che la fede
conosce affermazioni definitive – il dogma e il simbolo – nelle quali articola
la sua interna definitività.
Di nuovo, ciò non significa che quelle formule non comportino, nel corso della
storia, ulteriori aperture e possano essere comprese in modi sempre nuovi,
proprio come ogni singola persona, dalle vicende della sua vita, deve continuamente
imparare a comprendere in modo nuovo la sua fede. Ma significa anche che, in
tale più matura comprensione, non si può né si deve buttare a mare l’insieme di
ciò che è stato compreso.
Sarebbe,
infine, agevole mostrare come anche il carattere definitivo del vincolo fra due
persone che la fede cristiana ritiene impegnate col “sì” dell’amore, sul quale
si fonda il matrimonio, abbia qui le sue radici. Il
matrimonio indissolubile, in effetti, è comprensibile e sostenibile unicamente grazie
alla fede nella decisione di Dio in Cristo, che nulla può più distruggere, di
un matrimonio con l’umanità (cfr.
Ef5,22-33). Tale indissolubilità sta e
cade insieme con questa fede; fuori di essa, a lungo andare, risulta
altrettanto impossibile quanto, dentro di essa, è necessaria. E andrebbe
anche ribadito che proprio questo
apparente fissarsi sulla decisione presa in un dato momento della vita permette
alle persone di andare avanti, di accogliersi passo dopo passo, mentre il
continuo annullare tali decisioni finisce per respingerle indietro, per
riportarle all’inizio, e condannarle a chiudersi nella finzione dell’eterna
giovinezza e quindi al rifiuto di accettare la totalità dell’essere uomini.
[nota 46] K. Rahner, Sul
problema dell’evoluzione del dogma, in Saggi
teologici, Paoline, Roma 1956, 278; cfr. J.
Ratzinger, Kommentar zur
Offenbarungskonstitution [Commento
alla Costituzione “De divina Revelatione”], in LThK, volume integrativo II, 510.
[nota 47] Cfr. A. Dempf, Sacrum Imperium, Darmstandt 1954 (ristampa inalterata della prima
edizione, apparsa nel 1929), 269-398 [trad. it., La filosofia della storia e dello Stato nel Medioevo e nella Rinascenza
politica, Principato, Messina - Milano 1933]; E. Benz, Ecclesia
spiritualis, Stuttgart 1934; J.
Ratzinger, San Bonaventura.
Teologia della storia, Nardini, Firenze 1991.
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