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Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere

Tratto da Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. L’infanzia di Gesù, Rizzoli (Milano 2012) - Libreria Editrice Vaticana, (Roma 2012), cap. 3. La nascita di Gesù a Betlemme, § 3. La presentazione di Gesù al Tempio, pp. 94-103.

3. La presentazione di Gesù al Tempio

Luca conclude la narrazione della nascita di Gesù con un racconto di ciò che, secondo la Legge di Israele, è avvenuto riguardo a Gesù nell’ottavo e nel quarantesimo giorno.

L’ottavo giorno è il giorno della circoncisione. Così  Gesù  viene  accolto  formalmente  nella comunità [94] delle promesse che proviene da Abramo; ora appartiene anche giuridicamente al popolo di Israele. Paolo allude a questo fatto, quando nella Lettera ai Galati scrive: «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (4,4s). Insieme alla circoncisione, Luca menziona esplicitamente l’imposizione del nome preannunciato, Gesù – «Dio salva» (cfr. 2,21) – così che a partire dalla circoncisione viene proiettato lo sguardo verso l’adempimento delle attese che appartengono all’essenza dell’alleanza.

Del quarantesimo giorno fanno parte tre avvenimenti: la «purificazione» di Maria, il «riscatto» del figlio primogenito Gesù mediante un sacrificio prescritto dalla Legge e la «presentazione» di Gesù al tempio.


Nel racconto dell’infanzia nel suo insieme, e così anche in questo brano del testo, è facilmente riconoscibile il fondamento giudaico-cristiano proveniente dalla tradizione della famiglia di Gesù. Al tempo stesso,  però,  è  riconoscibile  che  esso  è  stato  elaborato da un curatore che scrive e pensa secondo la cultura greca e che è da identificare logicamente con lo stesso evangelista Luca.

In questa redazione diventa visibile, da una parte, che il suo autore non possedeva una conoscenza precisa della legislazione veterotestamen[95]taria  e, dall’altra, che il suo interesse non stava nei particolari di essa, ma era diretto piuttosto verso il nocciolo teologico dell’avvenimento, che egli intendeva rendere evidente ai suoi lettori.

Nel Libro del Levitico è stabilito che una donna, dopo il parto di un maschio, è impura (cioè esclusa dagli adempimenti liturgici) per sette giorni; l’ottavo giorno il bambino deve essere circonciso e la donna resterà ancora trentatré giorni a casa per purificarsi dal suo sangue (cfr. Lv 12,1-4). Successivamente ella deve offrire un sacrificio di purificazione, un agnello come olocausto e un colombo o una tortora per il peccato. Le persone povere devono dare soltanto due tortore o due colombi.

Maria  offrì  il  sacrificio  dei  poveri  (cfr.  Lc 2,24). Luca, il cui intero vangelo è pervaso da una teologia dei poveri e della povertà, qui ci fa capire ancora una volta in modo inequivocabile che la famiglia di Gesù era annoverata tra i poveri di Israele; ci fa capire che proprio fra di loro poteva maturare l’adempimento della promessa. Anche qui percepiamo nuovamente che cosa voglia dire: «nato sotto la Legge»; quale significato abbia il fatto che Gesù dica al Battista che ogni giustizia debba essere compiuta (cfr. Mt 3,15).

Maria non ha bisogno di essere purificata a seguito del parto di Gesù: questa nascita porta la purificazione del mondo. Ma ella obbedisce alla Legge e serve proprio così all’adempimento delle promesse. [96]

Il secondo avvenimento di cui si tratta è il riscatto del primogenito, che è proprietà incondizionata di Dio. Il prezzo del riscatto era di cinque sicli e poteva essere pagato in tutto il Paese ad un qualsiasi sacerdote. Luca cita innanzitutto esplicitamente il «diritto di riserva»  nei  confronti  del  primogenito:  «ogni  maschio primogenito sarà sacro [cioè appartenente] al signore» (2,23; cfr. Es 13,2; 13,12s.15).

La cosa particolare del suo racconto consiste, però, nel fatto che egli poi non parla del riscatto di Gesù, bensì di un terzo fatto, della consegna («presentazione») di Gesù. Evidentemente intende dire: questo bambino non è stato riscattato e non è ritornato nella proprietà dei genitori,  ma,  tutto  al  contrario,  è  stato  consegnato nel  tempio  personalmente  a  Dio,  totalmente  dato in  proprietà  sua. 

La  parola  paristánai,  qui  tradotta con «presentare», significa anche «offrire», riferito a quanto avviene con i sacrifici nel tempio. Traspare in ciò l’elemento del sacrificio e del sacerdozio. Sull’atto del riscatto, prescritto dalla Legge, Luca non dice nulla. Al suo posto viene evidenziato il contrario: la consegna del Bambino a Dio, al quale dovrà appartenere totalmente. Per nessuno dei menzionati atti prescritti dalla Legge era necessario presentarsi al tempio. Per Luca, invece, proprio questa prima introduzione di Gesù nel tempio, come luogo dell’avvenimento, è essenziale. Qui, nel luogo dell’incontro [97] tra Dio e il suo popolo, invece dell’atto di riprendere il primogenito, avviene l’offerta pubblica di Gesù a Dio, suo Padre.

A questo atto cultuale, nel senso più profondo della parola, segue in Luca una scena profeticaIl vecchio profeta Simeone e la profetessa Anna – mossi dallo spirito di Dio – compaiono nel tempio e salutano come rappresentanti dell’Israele credente il «Cristo del Signore» (Lc 2,26).

Simeone viene descritto con tre qualità: è giusto, è pio e aspetta la consolazione d’Israele. Nella riflessione sulla figura di san Giuseppe abbiamo visto che cosa sia un uomo giusto: un uomo che vive nella e della Parola di Dio, vive nella volontà di Dio, come essa è espressa nella Torà.
Simeone è «pio» – egli vive in un atteggiamento di intima apertura verso Dio. È interiormente vicino al tempio, vive nell’incontro con Dio e attende la «consolazione d’Israele». Vive proteso verso la realtà redentrice, verso Colui che deve venire.
Nella  parola  «consolazione»  (paráklēsis)  echeggia la parola giovannea sullo Spirito Santo – egli è il Paraclito, il Dio consolatore. Simeone è uno che spera e attende, e proprio così riposa su di lui già ora lo «Spirito Santo». Potremmo dire che è un uomo spirituale e perciò sensibile alle chiamate di Dio, alla [98] sua presenza. Così parla adesso anche come profeta.

Dapprima prende il bambino Gesù tra le braccia e benedice Dio dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola» (Lc 2,29). Il testo, così come Luca lo trasmette, è già liturgicamente formato. Nelle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente,  fin  dai  tempi  antichi,  esso  fa  parte  della preghiera liturgica della notte. Insieme con il Benedictus e il Magnificat, anch’essi tramandati da Luca nel racconto dell’infanzia, appartiene al patrimonio di preghiere della più antica Chiesa giudeo-cristiana, nella cui vita liturgica, colma di spirito, possiamo qui, per un po’, gettare uno sguardo. Nel discorso rivolto a Dio, il bambino Gesù viene qualificato come «la tua salvezza». Risuona la parola sōtér (salvatore), che avevamo incontrato nel messaggio dell’angelo nella Notte santa.

In questo inno vengono fatte due affermazioni cristologiche. Gesù è «luce per rivelarti alle genti» ed esiste per la «gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,32). Ambedue le espressioni sono tratte dal profeta Isaia, quella circa la «luce per illuminare le genti» proviene dal primo e dal secondo carme del servo di YHWH (cfr. Is 42,6; 49,6). In questo modo Gesù viene individuato come il servo di YHWH, che nel profeta  appare  come  una  figura  misteriosa  che  rimanda al futuro. All’essenza della sua missione appartiene [99] l’universalità, la rivelazione alle nazioni, alle quali il servo porta la luce di Dio. Il riferimento alla gloria di Ssraele si trova nelle parole di consolazione del profeta ed è rivolto all’Israele impaurito, al quale viene annunciato un aiuto mediante la potenza salvifica di Dio (cfr. Is 46,13).

Simeone, con il bambino in braccio, dopo aver lodato Dio, si rivolge con una parola profetica a Maria, alla quale, dopo gli accenni gioiosi a motivo del bambino, annuncia una specie di profezia della Croce (cfr. Lc 2,34s). Gesù «è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione». Infine viene riservata alla madre una predizione molto personale: «A te, una spada trafiggerà l’anima». Alla teologia della Gloria è inscindibilmente collegata la teologia della Croce. Appartiene al servo di YHWH la  grande  missione  di  essere  il portatore  della  luce di Dio per il mondo. Ma questa missione si compie proprio nel buio della Croce.

Nello sfondo della parola circa la caduta e la risurrezione di molti c’è l’allusione ad una profezia tratta da Isaia 8,14, nella quale Dio stesso viene indicato come una pietra in cui si inciampa e si cade. Così proprio nell’oracolo sulla Passione appare il profondo legame di Gesù con Dio stesso. Dio e la sua Parola – Gesù, la Parola vivente di Dio – sono «segni» e sfidano alla [100] decisione.

L’opposizione dell’uomo contro Dio pervade tutta la storia. Gesù si rivela come il vero segno di  Dio  proprio  prendendo  su  di  sé,  attraendo a  sé l’opposizione a Dio fino all’opposizione della Croce.

Qui non si parla del passato. Noi tutti sappiamo quanto Cristo oggi sia segno di una contraddizione che, in ultima analisi, ha di mira Dio stesso. Sempre di nuovo, Dio stesso viene visto come il limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso. Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo ed alla sua superbia.

Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno nell’autocompiacimento, bensì una liberazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferenza della Croce. La profezia sulla luce e la parola circa la Croce vanno insieme.

 Alla fine, questo oracolo sulla sofferenza, come abbiamo  visto,  diventa  molto  concreto  – una  parola rivolta direttamente a Maria: «A te, una spada trafiggerà  l’anima»  (Lc  2,35).  Possiamo supporre  che questa frase sia stata conservata nell’antica comunità [101] giudeo-cristiana come parola tratta dai ricordi personali di Maria.
Lì si sapeva anche, in base a tale ricordo, quale significato concreto avesse avuto questa frase. Ma pure noi possiamo saperlo, insieme con la Chiesa credente ed orante. L’opposizione contro il Figlio colpisce anche la Madre ed incide nel suo cuore. La croce della contraddizione, divenuta radicale, diventa per lei una spada che le trafigge l’anima. Da Maria possiamo imparare la vera com-passione, libera da ogni sentimentalismo, nell’accogliere la sofferenza altrui come sofferenza propria.

Presso i Padri della Chiesa si considerava l’insensibilità, l’indifferenza di fronte alla sofferenza altrui come tipica del paganesimo. A questo, la fede cristiana oppone il Dio che soffre con gli uomini e così ci attrae nella com-passione. La Mater Dolorosa, la Madre con la spada nel cuore, è il prototipo di questo sentimento di fondo della fede cristiana.

Accanto  al  profeta  Simeone  compare  la  profetessa Anna, una donna di ottantaquattro anni che, dopo un matrimonio di sette, era vissuta per decenni come vedova. «Non si allontanava mai dal tempio, servendo [Dio] notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2,37). Ella è l’immagine per eccellenza della persona davvero pia. Nel tempio, lei è semplicemente a casa. Vive presso Dio e per Dio, con corpo e anima. In [102] questo modo è veramente una donna ricolma di spirito, una profetessa.

Poiché vive nel tempio – nell’adorazione –, è presente nell’ora in cui vi arriva Gesù. «Sopraggiunta in quel momento, si mise […] a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,38). La sua profezia consiste nel suo annuncio – nella trasmissione della speranza di cui vive.
      

Luca conclude la sua narrazione circa la nascita di Gesù,  di  cui  faceva  parte  anche  l’adempimento  di ogni cosa secondo la Legge (cfr. 2,39), con la comunicazione del ritorno della Santa Famiglia a Nazaret. «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (2,40). [103]

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