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Spostare le montagne

tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 38-39


Spostare le montagne

D. Ma è Gesù stesso a dire: «Se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: Spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile».
R. Questo è in effetti uno dei passi più enigmatici del Nuovo Testamento, almeno per me. Anche i Padri della Chiesa, i grandi teologi, i Santi hanno faticato a trovare un’interpretazione per queste parole. Anche in questo caso – analogamente al passo in cui si dice «Pregate e sarete esauditi» – non possiamo accontentarci di un’interpretazione banale tale per cui, giacché credo fermamente, devo poter dire alla montagna di Montecassino: Vattene! Qui si intendono in realtà quei monti che ostruiscono il cammino della nostra esistenza. E che sono tanto più importanti dei monti riportati sulle cartine geografiche. Questi monti posso infatti oltrepassarli se mi affido a Dio.


D. È una sorta di autosuggestione?
L’atto di fede non è, per così dire, convincersi di una certa idea o attribuire alla fede il potere di compiere determinate azioni. L’atto di fede consiste nel riporre la propria fiducia nell’esistenza di Dio, nel fatto che posso mettermi nelle sue mani. E allora anche la montagna si dissolverà. In questo quadro il Signore utilizza l’immagine del chicco di senape, il più minuscolo di tutti i semi, da cui nasce un albero in cui gli uccelli del cielo nidificano. Nel granello di senape è implicita da un lato la piccolezza – quella della mia inadeguatezza – dall’altro però la potenzialità della crescita. Il granello di senape racchiude insomma un’immagine profonda della fede.

La fede non è conseguentemente la mera accettazione di determinate formule, ma è un seme di vita riposto in [38] me. Sono un autentico credente solo se la fede è presente in me sotto la forma di un seme vivo, da cui germoglia qualcosa e che poi trasforma davvero dapprima il mio mondo personale, per poi portare qualcosa di nuovo nel mondo inteso nella sua globalità.

D. Gesù ha fatto una grande promessa. Ha detto: «Quel che io insegno, non è mio, ma di colui che mi ha mandato. Chi vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio o se io parlo da me stesso». E gli stessi Farisei esclamarono «Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo».
R. Questo corrisponde esattamente a ciò su cui stavamo riflettendo. La verità della parola di Gesù non può essere desunta teoricamente. E come per un teorema tecnico: la sua correttezza può dimostrarsi solo nella sperimentazione.

La verità di ciò che dice Dio coinvolge l’interezza della persona umana, l’esperimento della vita. Può rendersi visibile nella misura in cui mi consegno alla volontà di Dio, così come questa mi si dischiude. La volontà del Creatore non è qualcosa a me estraneo, qualcosa di esteriore, ma sta alla base della mia esistenza. E in questo esperimento esistenziale si finisce per comprendere in che direzione deve muoversi la vita per immettersi sul giusto tracciato. Non sarà per questo più comoda, ma certo più giusta. Non sarà superficiale, non offrirà piaceri a buon mercato, ma sarà rallegrata da una gioia intesa nel senso più profondo del termine.


Questo è anche il vero significato che i Santi rivestono per noi: sono uomini che hanno acconsentito a sperimentare la volontà di Dio. Sono in un certo senso luci che illuminano e rischiarano il cammino che loro stessi ci indicano. Credo che questo sia di importanza fondamentale per l’intera questione della verità del Cristianesimo. [39]

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