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«Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,8): questo è il Volto di Dio.

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Stadio di Serravalle - Repubblica di San Marino
Solennità della Santissima Trinità
Domenica, 19 giugno 2011


Cari fratelli e sorelle!

E’ grande la mia gioia nel poter spezzare con voi il pane della Parola di Dio e dell’Eucaristia e potervi indirizzare, cari Sammarinesi, il mio più cordiale saluto. […]

Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità: Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, festa di Dio, del centro della nostra fede. Quando si pensa alla Trinità, per lo più viene in mente l’aspetto del mistero: sono Tre e sono Uno, un solo Dio in tre Persone. In realtà Dio non può essere altro che un mistero per noi nella sua grandezza, e tuttavia Egli si è rivelato: possiamo conoscerlo nel suo Figlio, e così anche conoscere il Padre e lo Spirito Santo. La liturgia di oggi, invece, attira la nostra attenzione non tanto sul mistero, ma sulla realtà di amore che è contenuta in questo primo e supremo mistero della nostra fede.


Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno, perché amore e l’amore è la forza vivificante assoluta, l’unità creata dall’amore è più unità di un’unità puramente fisica. Il Padre dà tutto al Figlio; il Figlio riceve tutto dal Padre con riconoscenza; e lo Spirito Santo è come il frutto di questo amore reciproco del Padre e del Figlio. I testi della Santa Messa di oggi parlano di Dio e perciò parlano di amore; non si soffermano tanto sul mistero delle tre Persone, ma sull’amore che ne costituisce la sostanza e l’unità e trinità nello stesso momento.

Il primo brano che abbiamo ascoltato è tratto dal Libro dell’Esodo - su di esso mi sono soffermato in una recente Catechesi del mercoledì - ed è sorprendente che la rivelazione dell’amore di Dio avvenga dopo un gravissimo peccato del popolo. Si è appena concluso il patto di alleanza presso il monte Sinai, e già il popolo manca di fedeltà. L’assenza di Mosè si prolunga e il popolo dice: «Ma dov’è rimasto questo Mosé, dov’è il suo Dio?», e chiede ad Aronne di fargli un dio che sia visibile, accessibile, manovrabile, alla portata dell’uomo, invece di questo misterioso Dio invisibile, lontano. Aronne acconsente e prepara un vitello d’oro. Scendendo dal Sinai, Mosè vede ciò che è accaduto e spezza le tavole dell’alleanza, che è già spezzata, rotta, due pietre su cui erano scritte le “Dieci Parole”, il contenuto concreto del patto con Dio. Tutto sembra perduto, l’amicizia subito, fin dall’inizio, già spezzata. Eppure, nonostante questo gravissimo peccato del popolo, Dio, per intercessione di Mosè, decide di perdonare ed invita Mosè a risalire sul monte per ricevere di nuovo la sua legge, i dieci Comandamenti e rinnovare il patto. Mosè chiede allora a Dio di rivelarsi, di fargli vedere il suo volto. Ma Dio non mostra il volto, rivela piuttosto il suo essere pieno di bontà con queste parole: «Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,8). E questo è il Volto di Dio. Questa auto-definizione di Dio manifesta il suo amore misericordioso: un amore che vince il peccato, lo copre, lo elimina. E possiamo essere sempre sicuri di questa bontà che non ci lascia. Non ci può essere rivelazione più chiara.

Noi abbiamo un Dio che rinuncia a distruggere il peccatore e che vuole manifestare il suo amore in maniera ancora più profonda e sorprendente proprio davanti al peccatore per offrire sempre la possibilità della conversione e del perdono.

Il Vangelo completa questa rivelazione, che ascoltiamo nella prima lettura, perché indica fino a che punto Dio ha mostrato la sua misericordia. L’evangelista Giovanni riferisce questa espressione di Gesù: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (3,16). Nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece Egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito. E non solo Lo invia, ma ne fa dono al mondo.

Gesù è il Figlio di Dio che è nato per noi, che è vissuto per noi, che ha guarito i malati, perdonato i peccati, accolto tutti. Rispondendo all’amore che viene dal Padre, il Figlio ha dato la sua stessa vita per noi: sulla croce l’amore misericordioso di Dio giunge al culmine. Ed è sulla croce che il Figlio di Dio ci ottiene la partecipazione alla vita eterna, che ci viene comunicata con il dono dello Spirito Santo.

Così, nel mistero della croce, sono presenti le tre Persone divine: il Padre, che dona il suo Figlio unigenito per la salvezza del mondo; il Figlio, che compie fino in fondo il disegno del Padre; lo Spirito Santo - effuso da Gesù al momento della morte - che viene a renderci partecipi della vita divina, a trasformare la nostra esistenza, perché sia animata dall’amore divino.

Cari fratelli e sorelle! La fede nel Dio trinitario ha caratterizzato anche questa Chiesa di San Marino-Montefeltro, nel corso della sua storia antica e gloriosa. L’evangelizzazione di questa terra è attribuita ai Santi scalpellini Marino e Leone, i quali alla metà del III secolo dopo Cristo sarebbero approdati a Rimini dalla Dalmazia. Per la loro santità di vita sarebbero stati consacrati l’uno sacerdote e l’altro diacono dal Vescovo Gaudenzio e da lui inviati nell’entroterra, l’uno sul monte Feretro, che poi prese il nome di San Leo, e l’altro sul monte Titano, che poi prese il nome di San Marino. Al di là delle questioni storiche – che non è nostro compito approfondire – interessa affermare come Marino e Leone portarono nel contesto di questa realtà locale, con la fede nel Dio rivelatosi in Gesù Cristo, prospettive e valori nuovi, determinando la nascita di una cultura e di una civiltà incentrate sulla persona umana, immagine di Dio e perciò portatore di diritti precedenti ogni legislazione umana.

La varietà delle diverse etnie – romani, goti e poi longobardi – che entravano in contatto tra loro, qualche volta anche in modo molto conflittuale, trovarono nel comune riferimento alla fede un fattore potente di edificazione etica, culturale, sociale e, in qualche modo, politica. Era evidente ai loro occhi che non poteva ritenersi compiuto un progetto di civilizzazione fino a che tutti i componenti del popolo non fossero diventati una comunità cristiana vivente e ben strutturata e edificata sulla fede nel Dio Trinitario.

A ragione, dunque, si può dire che la ricchezza di questo popolo, la vostra ricchezza, cari Sammarinesi, è stata ed è la fede, e che questa fede ha creato una civiltà veramente unica. Accanto alla fede, occorre poi ricordare l’assoluta fedeltà al Vescovo di Roma, al quale questa Chiesa ha sempre guardato con devozione ed affetto; come pure l’attenzione dimostrata verso la grande tradizione della Chiesa orientale e la profonda devozione verso la Vergine Maria.

Voi siete giustamente fieri e riconoscenti di quanto lo Spirito Santo ha operato attraverso i secoli nella vostra Chiesa. Ma voi sapete anche che il modo migliore di apprezzare un’eredità è quello di coltivarla e di arricchirla. In realtà, voi siete chiamati a sviluppare questo prezioso deposito in un momento tra i più decisivi della storia. Oggi, la vostra missione si trova a dover confrontarsi con profonde e rapide trasformazioni culturali, sociali, economiche, politiche, che hanno determinato nuovi orientamenti e modificato mentalità, costumi e sensibilità. Anche qui, infatti, come altrove, non mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità.

Si è insinuata la tentazione di ritenere che la ricchezza dell’uomo non sia la fede, ma il suo potere personale e sociale, la sua intelligenza, la sua cultura e la sua capacità di manipolazione scientifica, tecnologica e sociale della realtà. Così, anche in queste terre, si è iniziato a sostituire la fede e i valori cristiani con presunte ricchezze, che si rivelano, alla fine, inconsistenti e incapaci di reggere la grande promessa del vero, del bene, del bello e del giusto che per secoli i vostri avi hanno identificato con l’esperienza della fede. Non vanno, poi, dimenticate la crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei coniugi, come pure la fatica sperimentata da molti educatori nell’ottenere continuità formativa nei giovani, condizionati da molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa.

Cari amici! Conosco bene l’impegno di ogni componente di questa Chiesa particolare nel promuovere la vita cristiana nei suoi vari aspetti. Esorto tutti i fedeli ad essere come fermento nel mondo, mostrandovi sia nel Montefeltro che a San Marino cristiani presenti, intraprendenti e coerenti. I Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose vivano sempre nella più cordiale e fattiva comunione ecclesiale, aiutando ed ascoltando il Pastore diocesano. Anche presso di voi si avverte l’urgenza di una ripresa delle vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione: faccio appello alle famiglie ed ai giovani, perché aprano l’animo ad una pronta risposta alla chiamata del Signore. Non ci si pente mai ad essere generosi con Dio! A voi laici, raccomando di impegnarvi attivamente nella Comunità, così che, accanto ai vostri peculiari compiti civici, politici, sociali e culturali, possiate trovare tempo e disponibilità per la vita della fede, la vita pastorale.


Cari Sammarinesi! Rimanete saldamente fedeli al patrimonio costruito nei secoli sull’impulso dei vostri grandi Patroni, Marino e Leone. Invoco la benedizione di Dio sul vostro cammino di oggi e di domani e tutti vi raccomando «alla grazia del Signore Gesù Cristo, all’amore di Dio e alla comunione dello Spirito Santo» (2Cor 13,11). Amen!

Fonte: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20110619_san-marino_it.html

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