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Le società possono trascinare l’uomo verso il basso o aiutarlo a innalzarsi

tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 43-47

Una contraddizione

D. Da un lato ci sono i comandamenti di Dio, dall’altro la natura umana. Entrambi hanno origine dalla creazione. E tuttavia è a tutti evidente la difficoltà di conciliare i due elementi. Anche pensare e compiere il male fa parte evidentemente della natura umana. In ogni caso questo paradosso ci fa sentire schiacciati sotto il peso di un dover essere troppo oneroso.
R. La fede cristiana parte dal presupposto che si è verificata una distorsione nella creazione. L'esistenza umana non è più quale è uscita dalle mani del Creatore. È gravata da un altro fattore, la coesistenza, accanto all'innata tensione verso Dio, della tendenza ad allontanarsi da Dio. L’uomo è così lacerato tra la tensione originaria, impressagli all’atto della creazione, e l’eredità storica.
Questa possibilità è già insita nell’essenza della finitezza, della creaturalità, ma si è dispiegata solo nella storia. L’uomo, da un lato, è stato creato in funzione dell’amore. Esiste per perdere se stesso, per far dono di sé. Ma gli è anche propria la tendenza al rifiuto, a voler essere solo se stesso. Questa predisposizione si accentua fino al punto in cui da un lato può amare Dio, dall'altro però cedere alla propria collera verso Dio e rivendicare la propria indipendenza, la propria volontà di essere soltanto se stesso.

Se rivolgiamo uno sguardo vigile su di noi, ci rendiamo conto di questo paradosso, di questa tensione interna alla nostra esistenza. Da un lato riconosciamo come giusto ciò che ci è indicato dai Dieci Comandamenti. E qualcosa che anche noi desideriamo e che ci rende felici. Per esempio, essere buoni con gli altri, nutrire gratitudine, rispettare gli altri nella loro pro[43]prietà, trovare, nell’ambito della relazione tra i sessi, il grande amore da cui scaturisce un’assunzione di responsabilità che dura una vita intera, dire la verità, rifiutare la menzogna. In qualche modo è questa una tendenza che non agisce solo contro di noi o che pesa sulle nostre spalle come un giogo.

D. D'altro canto avvertiamo la tentazione di sottrarci agli obblighi morali impostici dai Dieci Comandamenti.
R. Nell’uomo sono presenti anche il gusto per la contraddizione, la comodità della menzogna, la tentazione della diffidenza, che scaturiscono da una tendenza distruttiva, dalla volontà di dire no.
Questo paradosso ci dimostra come nell’uomo sia riscontrabile una certa distorsione interna, tanto che questi non riesce ad essere semplicemente quello che vorrebbe essere. So ciò che è bene, e lo approvo, diceva già Ovidio, poeta romano, e però faccio il contrario.
Un’analoga constatazione viene fatta da Paolo nel capitolo settimo della lettera ai Romani: Non compio il bene, che voglio, ma il male che non voglio. In Paolo si leva il grido: Chi mi redime da questa contraddizione interna? Ed è questo il punto a partire dal quale Paolo comprende rettamente la figura di Cristo e la porta nel mondo pagano dell’epoca quale risposta di redenzione.

D. C’è comunque anche un’altra contraddittorietà interna. Si tratta di una contraddizione tra la lieta novella di questo Dio che si suppone «buono» e lo stato reale del mondo. Ne consegue una delusione che coinvolge Dio. Molte persone non riescono a scorgere alcuna traccia di un’azione che dovrebbe essere salvifica. E talvolta anch’io mi ritrovo a pensare che la fede non regga forse più il passo con l'evolversi delle nostre concezioni. Non riesce a sopportare la luce accecante dei fatti.
R. Alla contraddizione interiore, di cui abbiamo appena parlato, si aggiunge l’elemento collettivo. C’è una consapevolezza collettiva che rafforza questa contraddizione. Che dà ragione alle tendenze egoistiche che spingono a volgere le spalle a Dio e che additano le strade manifestamente più comode. [44]
Ognuno di noi non vive da solo, viene anche plasmato o anche sedotto e deformato da ciò che lo circonda. Le società possono presentare diversi gradi di decadenza o anche di altezza morale.
Le comunità possono svolgere un ruolo portante e indirizzarmi su quel cammino lungo il quale le contraddizioni interiori si fanno sempre meno gravose fino a dissolversi.
D’altro canto, però, si fa sentire la logica della mediocrità, in base alla quale ci si può nascondere dietro al pretesto che anche gli altri si comportano allo stesso modo. Sono società in cui il furto è diventato normale, la corruzione non viene più avvertita come disdicevole e la menzogna è la modalità abituale con cui ci si rapporta agli altri.
Le società possono trascinare l’uomo verso il basso o aiutarlo a innalzarsi. Nel primo caso c’è un certo predominio delle cose materiali e di un pensiero di impronta materialistica, tanto che tutto ciò che va oltre la materialità dell’esistenza viene considerato superato, folle e inadeguato all’uomo. Nel secondo caso c’è una certa evidenza della presenza reale di Dio ed è più facile incamminarsi verso di lui.

D. Ma perché la vita non può essere solo facile, piacevole e divertente?
R. Naturalmente accontentarsi del materiale, del tangibile, di esperienze di felicità che possono essere acquistate e reiterate a piacere, è, al momento, la cosa più semplice. Si può entrare in un negozio e per denaro acquistare la possibilità di consumare un’esperienza estatica, liberandosi in questo modo dalla fatica che comporta il difficile cammino per diventare se stessi e per superare i propri limiti.
Questa tentazione è terribilmente grande. Anche la felicità diventa una merce che può essere venduta e acquistata. E allora questa scelta è più comoda, questa strada più rapida, la contraddizione interiore pare eliminata perché l’interrogativo su Dio è diventato superfluo.

D. Si potrebbe, tuttavia, considerare questa la forma esistenziale civilizzata, sviluppata e adeguata al mondo moderno. [45]
Ma sappiamo anche che si rivelerebbe ben presto una delusione. L’individuo si rende conto del vuoto che rimane alla fine nella sua vita, e, una volta uscito dallo stato di estasi, non riesce più a sopportare se stesso e il mondo. E più tardi si dimostra l’inganno subito.
È vero che non siamo immersi da soli in questo dramma, con il quale misurarci a tu per tu a partire dalla nostra interiorità individuale, ma che siamo inseriti in un tessuto di relazioni. Questo tessuto collettivo può facilitare l’impresa come renderla più complicata.

La Chiesa antica aveva creato il catecumenato proprio per questa ragione. L’obiettivo era quello di creare una specie di società alternativa che permettesse di entrare in sintonia con Dio e che, attraverso la vita comunitaria, aiutasse a entrare in quella dimensione in cui è possibile imparare a vedere Dio. In quell’arco di tempo che preparava al Battesimo, chiamato non a caso illuminazione, veniva il momento in cui nel singolo sbocciava una consapevolezza nuova e iniziava un percorso di crescita autonoma nella fede.

Penso che nelle società contemporanee orientate in senso ateistico o agnostico-materialistico si riproponga questa necessità. Prima c’era una profonda identificazione, almeno in apparenza, tra Chiesa e società. Oggi la Chiesa deve fare un nuovo sforzo per creare luoghi alternativi in cui non venga offerto un tessuto collettivo che gravi sull’uomo e lo avvilisca, ma un tessuto di relazioni che si apra al singolo, che lo sorregga e lo guidi nel suo sforzo di imparare a vedere.

D. Mi chiedo se davvero la fede ci renda migliori, più misericordiosi, più disponibili ad amare il prossimo, meno avidi, meno vanitosi. Prendiamo quelli che Dio stesso ha chiamato a una vocazione di fede, quelle persone che per loro scelta non dovrebbero avere altro scopo che piacere a Dio e acquisire una perfezione pressoché assoluta. Perché anche tra i religiosi, i monaci e le suore ci si imbatte in tanta invidia, gelosia, menzogna e mancanza di disponibilità nei confronti del prossimo? Perché la loro fede non è riuscita a renderli migliori? [46]
R. Questo è in effetti un interrogativo angosciante. Si constata una volta di più che la fede non è data una volta per tutte, ma può avvizzirsi o crescere, attraversare alti e bassi. Non è una garanzia preconfezionata, qualcosa simile a un capitale depositato che può solo accrescersi. La fede è sempre data in una libertà molto fragile. Ci piacerebbe che fosse diversamente.


Ma qui sta il rischio difficilmente comprensibile che Dio ha corso rinunciando a somministrarci una medicina più potente. Anche quando dobbiamo constatare la presenza di comportamenti erronei nel mondo di chi crede (che presuppongono sempre un indebolimento della fede), non dobbiamo tralasciare l’altra faccia della medaglia. Le storie di tante persone semplici e buone in cui la fede ha infuso bontà sono lì a dimostrarci ciò che di positivo opera la fede. Penso in particolare a persone anziane che vivono in parrocchie assolutamente normali e che sono maturate nella fede fino ad acquisire una grande bontà. Incontrandole si avverte una sorta di calore, di luce interiore. E viceversa dobbiamo anche prendere atto delle tendenze evolutive della nostra società che, con l’appannarsi della fede, si è fatta più dura, violenta, pungente. Il clima, l’ha ammesso persino un teologo critico come Vorgrimler, lungi dal migliorare, si è fatto più saturo di rabbia e di cattiveria.

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