Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

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Negare la coscienza significa negare l'uomo

tratto da Joseph Ratzinger, Cielo e terra. Riflessioni su politica e fede, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 10-12


1. Il richiamo pubblico della coscienza

Non so quando e come Sacharov abbia compreso questi rapporti in tutta la loro serietà; un indizio ci è dato da una breve nota su un fatto accaduto nel 1955. Nel novembre di quell’anno furono compiuti esperimenti molto importanti con armi termonucleari, durante i quali accaddero due tragedie: la morte di un giovane soldato e di una bambina di due anni.
La sera dopo, durante un piccolo banchetto, Sacharov brindò esprimendo la speranza che le armi russe non esplodessero mai su delle città. L’alto ufficiale che dirigeva gli esperimenti rispose che il compito degli scienziati era di migliorare le armi; come sarebbero state utilizzate non li riguardava. Il loro intelletto non era qualificato per occuparsene.


Sacharov commentò di aver avuto già allora la convinzione che «nessun uomo può esimersi dalla propria parte di responsabilità per azioni da cui dipende l’esistenza dell’umanità» [nota 1]. In sostanza l’ufficiale, forse senza rendersene conto, aveva negato l’esistenza della moralità come entità a sé, per la quale ogni uomo è qualificato; per lui, evidentemente, esistevano solo competenze specialistiche di natura scientifica, politica, militare. In realtà non vi sono competenze specialistiche che possano dare il diritto di uccidere o di lasciar uccidere.

La negazione di [10] una comune facoltà umana di comprendere ciò che riguarda l’uomo come tale crea un nuovo sistema di classi e così degrada tutti, perché allora l’uomo come tale non esiste più.
La negazione del principio morale, la negazione di quell’organo di conoscenza che viene prima di ogni specializzazione, ciò che chiamiamo coscienza, nega l’uomo. Sacharov ha sempre additato con grande energia questa responsabilità di ogni singolo verso il Tutto, e in essa ha trovato la propria missione.

Dal 1968 fu escluso dai lavori che concernevano segreti di stato: ciò lo rendeva ancora di più un rappresentante del richiamo pubblico della coscienza. Da allora il suo pensiero si è rivolto ai diritti umani, al rinnovamento morale del suo paese e dell’umanità, in particolari ai valori comuni a tutti gli uomini ed al comandamento della coscienza.
Lui, che amava profondamente il suo paese, dovette diventare accusatore di un regime che trascinava gli uomini nell’ottusità, nella stanchezza, nell’indifferenza, che li immiseriva esteriormente ed interiormente.

Ora si potrebbe dire che con la caduta del sistema comunista la sua missione si sia conclusa, che sia un capitolo importante della storia morale politica, ma appartenente ormai al passato. Credo che pensarla così sarebbe un grande e pericoloso errore.
Per prima cosa, è chiaro che l’orientamento generale di Sacharov verso la dignità dell’uomo ed i diritti umani, l’obbedienza alla propria coscienza anche a prezzo della sofferenza, rimangono un messaggio che non [11] perde la sua attualità nemmeno con la scomparsa del contesto politico che gliel’aveva conferita.

Inoltre credo che i pericoli che con il dominio dei partiti marxisti erano divenuti concrete forze politiche di distruzione dell’umanità esistano ancora, sotto forme diverse. Robert Spaemann ha parlato, in un breve scritto, del banale nichilismo che comincia a diffondersi dopo la caduta dell’utopia, e che può avere effetti altrettanto pericolosi [nota 2]; come esempio cita il filosofo americano Richard Rorty, che ha formulato la nuova utopia del banale.
L’ideale di Rorty è una società liberale in cui non esisterebbero più valori e criteri assoluti; il benessere sarebbe l’unica cosa a cui varrebbe la pena di aspirare.
Sacharov aveva previsto il pericolo annunciato da questo svuotamento umano nella sua critica cauta ma molto decisa del mondo occidentale, quando parla della «moda del liberalismo di sinistra», o quando stigmatizza l’ingenuità ed il cinismo che spesso paralizzano gli occidentali al momento di percepire la loro responsabilità morale [nota 3].



Leggi la continuazione del discorso



[nota 1] Cfr. A. D. Sacharov, Mein Land und die Welt, Viena 19762, p. 82, (trad.it. di Maria Olsofieva in Il mio paese e il mondo, ed. Bompiani 1975, N.d.T.).
[nota 2] R. Spaemann, La perle précieuse et le nihilisme banal, in «Catholica», (1992) 33, pp. 43-50, citazione di p. 45.
[nota 3] A. D. Sacharov, Mein Land und die Welt, cit., p. 17; cfr. anche pp. 44 ss.

2 commenti:

  1. L'episodio accaduto nel 1955 e la riflessione che ne segue; quel pensiero di Sacharov secondo il quale il singolo ha una responsabilità verso il Tutto, mi riporta alla mente una poesia del beato Giovanni Paolo II e che il tenore Placido Domingo ha reso canzone. Ho trovato su youtube la versione in spagnolo http://youtu.be/a7-VRPftl2g. Si parla di un operaio che costruisce un piccolissimo pezzo di quella che sarà un'arma: si chiede se veramente il suo lavoro non avrà una responsabilità nell'uccisione di un altro uomo.

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  2. Grazie per la segnalazione Anna Maria. La canzone c'è anche in italiano, si intitola La coscienza: http://www.youtube.com/watch?v=G6jVoZQ84Wc

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