1.
Il richiamo pubblico della coscienza
Non
so quando e come Sacharov abbia compreso questi rapporti in tutta la loro
serietà; un indizio ci è dato da una breve nota su un fatto accaduto nel 1955.
Nel novembre di quell’anno furono compiuti esperimenti molto importanti con
armi termonucleari, durante i quali accaddero due tragedie: la morte di un
giovane soldato e di una bambina di due anni.
La sera dopo, durante un
piccolo banchetto, Sacharov brindò esprimendo la speranza che le armi russe non
esplodessero mai su delle città.
L’alto ufficiale che dirigeva gli
esperimenti rispose che il compito degli scienziati era di migliorare le armi;
come sarebbero state utilizzate non li riguardava. Il loro intelletto non era
qualificato per occuparsene.
Sacharov commentò di aver avuto già allora la convinzione che «nessun uomo può esimersi dalla
propria parte di responsabilità per azioni da cui dipende l’esistenza
dell’umanità» [nota 1]. In sostanza l’ufficiale, forse senza
rendersene conto, aveva negato l’esistenza della moralità come entità a sé, per
la quale ogni uomo è qualificato; per lui, evidentemente, esistevano solo
competenze specialistiche di natura scientifica, politica, militare. In realtà
non vi sono competenze specialistiche che possano dare il diritto di uccidere o
di lasciar uccidere.
La negazione di [10] una
comune facoltà umana di comprendere ciò che riguarda l’uomo come tale crea un
nuovo sistema di classi e così degrada tutti, perché allora l’uomo come tale
non esiste più.
La negazione del principio morale, la negazione di
quell’organo di conoscenza che viene prima di ogni specializzazione, ciò che
chiamiamo coscienza, nega l’uomo. Sacharov ha sempre additato con grande
energia questa responsabilità di ogni singolo verso il Tutto, e in essa ha
trovato la propria missione.
Dal
1968 fu escluso dai lavori che concernevano segreti di stato: ciò lo rendeva
ancora di più un rappresentante del richiamo pubblico della coscienza. Da allora
il suo pensiero si è rivolto ai diritti
umani, al rinnovamento morale del suo paese e dell’umanità, in particolari ai
valori comuni a tutti gli uomini ed al comandamento della coscienza.
Lui, che amava
profondamente il suo paese, dovette diventare accusatore di un regime che
trascinava gli uomini nell’ottusità, nella stanchezza, nell’indifferenza, che
li immiseriva esteriormente ed interiormente.
Ora si potrebbe dire che con la caduta del sistema
comunista la sua missione si sia conclusa, che sia un capitolo importante della
storia morale politica, ma appartenente ormai al passato. Credo che pensarla
così sarebbe un grande e pericoloso errore.
Per
prima cosa, è chiaro che l’orientamento generale di Sacharov verso la dignità
dell’uomo ed i diritti umani, l’obbedienza alla propria coscienza anche a
prezzo della sofferenza, rimangono un messaggio che non [11] perde la sua
attualità nemmeno con la scomparsa del contesto politico che gliel’aveva
conferita.
Inoltre
credo che i pericoli che con il dominio dei partiti
marxisti erano divenuti concrete forze politiche di distruzione dell’umanità
esistano ancora, sotto forme diverse. Robert
Spaemann ha parlato, in un breve scritto, del banale nichilismo che comincia a
diffondersi dopo la caduta dell’utopia, e che può avere effetti altrettanto
pericolosi [nota 2]; come esempio cita il
filosofo americano Richard Rorty, che ha formulato la nuova utopia del banale.
L’ideale di Rorty è una
società liberale in cui non esisterebbero più valori e criteri assoluti; il
benessere sarebbe l’unica cosa a cui varrebbe la pena di aspirare.
Sacharov aveva previsto il
pericolo annunciato da questo svuotamento umano nella sua critica cauta ma
molto decisa del mondo occidentale, quando parla della «moda del liberalismo di
sinistra», o quando stigmatizza l’ingenuità ed il cinismo che spesso
paralizzano gli occidentali al momento di percepire la loro responsabilità
morale [nota 3].
Leggi la continuazione del discorso
[nota 1] Cfr. A.
D. Sacharov, Mein Land und die
Welt, Viena 19762, p. 82, (trad.it. di Maria Olsofieva in Il mio paese e il mondo, ed. Bompiani 1975,
N.d.T.).
[nota 2] R.
Spaemann, La perle précieuse et le
nihilisme banal, in «Catholica», (1992) 33, pp. 43-50, citazione di p. 45.
[nota 3] A. D. Sacharov, Mein Land und die Welt,
cit., p. 17; cfr. anche pp. 44 ss.
L'episodio accaduto nel 1955 e la riflessione che ne segue; quel pensiero di Sacharov secondo il quale il singolo ha una responsabilità verso il Tutto, mi riporta alla mente una poesia del beato Giovanni Paolo II e che il tenore Placido Domingo ha reso canzone. Ho trovato su youtube la versione in spagnolo http://youtu.be/a7-VRPftl2g. Si parla di un operaio che costruisce un piccolissimo pezzo di quella che sarà un'arma: si chiede se veramente il suo lavoro non avrà una responsabilità nell'uccisione di un altro uomo.
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione Anna Maria. La canzone c'è anche in italiano, si intitola La coscienza: http://www.youtube.com/watch?v=G6jVoZQ84Wc
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