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La natura della chiesa simboleggiata in un’immagine

La natura della chiesa simboleggiata in un’immagine

Una Chiesa che, contro tutta quanta la propria storia e la propria natura, venga considerata soltanto politicamente, non ha alcun senso, e la decisione di rimanere in essa, se è puramente politica, non è leale, anche se si presenta come tale. Però di fronte alla situazione presente come si può giustificare la permanenza nella Chiesa? In altri termini: la scelta in favore della Chiesa per avere senso deve essere spirituale; ma su quali motivi può essa oggi far leva? 
Vorrei dare una prima risposta ricorrendo a un nuovo paragone e a un’osservazione precedente. Abbiamo detto che nei nostri studi ci siamo ormai avvicinati talmente alla chiesa, che non riusciamo più a scorgere le linee generali né a vederla nel suo complesso. Approfondiamo questo pensiero rifacendoci a un esempio, con il quale i Padri nutrirono la loro meditazione sul mondo e sulla chiesa.
Essi spiegarono che nel mondo materiale la luna è l’immagine di ciò che la chiesa rappre[85]senta per la salvezza nel mondo spirituale. Viene qui ripreso un antico simbolismo costantemente presente nella storia delle religioni (i Padri non hanno mai parlato di «teologia delle religioni», ma l’hanno attuata concretamente); in esso la luna, in quanto simbolo della fecondità e della fragilità, della morte e della caducità delle cose, ma anche della speranza nella rinascita e nella risurrezione, era l’immagine, «patetica e insieme consolante»[nota 1], dell’esistenza umana.

Il simbolismo lunare e quello tellurico si fondono spesso insieme. Nella sua fugacità e nella sua rinascita la luna rappresenta il mondo terreno degli uomini, questo mondo che è continuamente condizionato dal bisogno di ricevere e che trae la propria fecondità non da se stesso, ma dal sole; rappresenta lo stesso essere umano, quale si esprime nella figura della donna, che concepisce ed è feconda in forza del seme che riceve.
I Padri hanno applicato il simbolismo della luna alla chiesa soprattutto per due ragioni: per il rapporto luna-donna (madre) e per il fatto che la luna non ha luce propria, ma la riceve dal sole, [86] senza il quale essa sarebbe completamente buia.
La luna risplende, ma la sua luce non è sua, bensì di un altro[nota 2]. È tenebre e nello stesso tempo luce; pur essendo di per sé buia, dona splendore in virtù di un altro di cui riflette la luce. Proprio per questo essa simboleggia la chiesa, la quale pure risplende, anche se di per sé è buia; non è luminosa in virtù della propria luce, ma del vero sole, Gesù Cristo, cosicché, pur essendo soltanto terra (anche la luna non è che un’altra terra), è ugualmente in grado di illuminare la notte della nostra lontananza da Dio – «la luna narra il mistero di Cristo»[nota 3].

I simboli non vanno forzati; la loro efficacia è tutta in quell’immediatezza plastica che non si può inquadrare in schemi logici. Tuttavia in que[87]sta nostra epoca di viaggi nello spazio viene spontaneo approfondire questo paragone, che, confrontando la concezione fisica con quella simbolica, mette meglio in evidenza la nostra situazione specifica rispetto alla realtà della chiesa.
La sonda lunare e l’astronauta scoprono la luna soltanto come landa rocciosa e desertica, come montagne e come sabbia, non come luce. E in effetti essa è in se stessa soltanto deserto, sabbia e rocce. E tuttavia, per merito di altri ed in funzione di altri ancora, essa è pure luce e tale rimane anche nell’epoca dei voli spaziali. È dunque ciò, che in se stessa non è. Pur appartenendo  ad altri, questa realtà è anche sua. Esiste una verità fisica e una simbolico-poetica, una non elimina l’altra.

Ciò non è forse un’immagine esatta della Chiesa? Chi la esplora e la scava con la sonda spaziale scopre soltanto deserto, sabbia e terra, le debolezze dell’uomo, la polvere, i deserti e le altezze della storia. Tutto ciò è suo, ma non rappresenta ancora la sua realtà specifica.
Il fatto decisivo è che essa, pur essendo soltanto sabbia e sassi, è anche luce in forza di un altro, del Signore: ciò che non è suo, è veramente suo e la qualifica più di qualsiasi altra cosa, anzi la sua caratteristica è proprio quella di non valere per se stessa, ma solo per ciò che in essa non è suo, di esistere in qualcosa che le è al di fuori, [88] di avere una luce, che pur essendo sua, costituisce tutta la sua essenza. Essa è ‘luna’ – misterium lunae – e come tale interessa i credenti perché proprio così esige una costante scelta spirituale.

Siccome il significato contenuto in questa immagine mi sembra di importanza decisiva, prima di tradurlo in affermazioni di principio, preferisco chiarirlo meglio con un’altra osservazione.
Dopo la traduzione della liturgia della Messa, avvenuta in seguito all’ultima riforma, recitando il testo prescritto incontravo ogni volta una difficoltà, che mi sembra chiarire ulteriormente l’argomento di cui ci stiamo occupando. Nella traduzione del Suscipiat si dice: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio…per il bene nostro e di tutta la sua santa chiesa». Io ero sempre tentato di dire «e di tutta la nostra santa chiesa».
Ricompare qui tutto il nostro problema e il cambiamento operatori in questo ultimo periodo. Al posto della sua chiesa è subentrata la nostra, e con essa le molte chiese; ognuno ha la sua. Le chiese sono diventate imprese nostre, di cui ci vantiamo oppure ci vergogniamo, piccole e innumerevoli proprietà private disposte una accanto all’altra, chiese soltanto nostre, nostra opera e proprietà, che noi conserviamo o trasformiamo a piacimento. Dietro alla «nostra [89] chiesa» o anche alla «vostra chiesa» è scomparsa la «sua chiesa».
Ma è proprio e soltanto questa che interessa; se essa non esiste più, anche la ‘nostra’ deve abdicare. Se fosse soltanto la nostra, la chiesa sarebbe un superfluo gioco da bambini.



[nota 1] M. Eliade, Die Religionen und das Heilige, Salzburg, 1954, p. 215 [trad. it., Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1954, p. 192]. Cfr. qui anche l’intero capitolo: Mond und Mondmystik, pp. 180-216 [trad. it cit., pp. 158-192 (La luna e la mistica lunare)].

[nota 2] Cfr. H. Rahner, Griechische Mythen in christlicher Deutung, Darmstadt, 1957, pp. 200-224 [trad. It., Miti greci nell’interpretazione cristiana, Il Mulino, Bologna 1971, 189-197]; Id., Symbole der Kirche, Salzburg 1964, pp. 89-173 [trad. it., L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Paoline, Roma 1971, pp. 145-229]. Interessante l’osservazione secondo cui la scienza antica discusse a lungo sulla questione se la luna avesse o no luce propria. I Padri della chiesa sostennero la tesi negativa, diventata nel frattempo comune, e l’interpretazione in senso teologico-simbolico (cfr. specialmente p. 100 [trad. it., L’ecclesiologia dei Padri, cit., 161ss.).



[nota 3] Ambrosius, Exameron IV 8, 32, CSEL 32, 1, p. 137. Z 27ss. [trad. It, I sei giorni della creazione, in Opera omnia di Sant’Ambrogio 1, Ambroniana – Città Nuova, Milano-Roma 1979, 231], Rahner, Griechische Mythen, cit., p. 201 [trad. it. cit., p. 192]

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