Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

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Per vincere l'aborto occorre imparare lo sguardo di amore di Dio su di noi

tratto da L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, parte II – Il diritto alla vita e l’Europa, cap. III – Decisivo lo sguardo, pp. 81-91

Il diritto alla vita e l’Europa
III. Decisivo lo sguardo

Ma oltre al problema giuridico, a un livello più fondamentale, sta il problema morale, che passa attraverso il cuore di ciascuno di noi, in quella interiorità recondita dove la libertà si decide per il bene o per il male. Dicevo poco fa che, nella decisione per l’aborto, vi è necessariamente un momento in cui si accetta di diventare ciechi di fronte al diritto alla vita del piccolo appena concepito.


Il dramma morale, la decisione per il bene o per il male, comincia dallo sguardo, dalla scelta di guarda il volto dell’altro o meno. Perché oggi si rifiuta quasi unanimemente l’infanticidio, mentre si è diventati quasi insensibili all’aborto? Forse solo perché nell’aborto non si vede il volto di [81] chi verrà condannato a non vedere mai la luce. Molti psicologi hanno rivelato che nelle donne intenzionate ad abortire vengono represse le fantasie spontanee di una mamma in attesa, che dà un nome al figlio, che se ne immagina il volto e il futuro… E proprio queste fantasia rimosse e represse ritornano poi spesso come sensi si colpa irrisolti a tormentare la coscienza.

Il volto dell’altro è carico di un appello alla mia libertà, perché lo accolga e ne prenda cura, perché affermi il suo valore in se stesso e non nella misura in cui viene a coincidere con un mio interesse. La verità morale, come verità del valore unico e irripetibile della persona, fatta a immagine di Dio, è una verità carica di esigenza per la mia libertà. Decidere di guardarla in faccia è decidere di convertirmi, di lasciarmi interpellare, di uscire da me e di fare spazio all’altro. Pertanto [82] anche l’evidenza del valore morale dipende in buona parte da una segreta decisione di libertà che accetta di vedere e perciò di essere provocata e di cambiare.

Nella sua prefazione al noto libro del biologo francese Jascques Testart, L’œuf transparent, il filosofo Michel Serres (apparentemente un non credente), affrontando la questione del rispetto dovuto all’embrione umano, si pone la domanda: «Chi è l’uomo?». Egli rivela che non vi sono risposte univoche e veramente soddisfacenti nella filosofia e nella cultura. Tuttavia egli nota che noi, pur non avendo una definizione teorica precisa dell’uomo, comunque nell’esperienza della vita concreta chi sia l’uomo lo sappiamo bene. Lo sappiamo soprattutto quando ci troviamo di fronte a chi soffre, a chi è vittima del potere, a chi è indifeso e condannato a morte: «Ecce homo!». Sì, questo non creden[83]te riporta proprio la frase di Pilato, che aveva tutto il potere davanti a Gesù, spogliato, flagellato, coronato di spine e orami condannato alla croce: Chi è l’uomo? È proprio il più debole e indifeso, colui che non ha né potere né voce per difendersi, colui al quale possiamo passare accanto nella vita facendo finta di non vederlo. Colui al quale possiamo chiudere il nostro cuore e dire che non è mai esistito.

E così, spontaneamente, ritorna alla memoria un'altra pagina evangelica, che voleva rispondere a una simile richiesta di definizione: «Chi è il mio prossimo?». Sappiamo che per riconoscere chi è il nostro prossimo occorre accettare di farsi prossimo, cioè fermarsi, scendere da cavallo, avvicinarsi a colui che ha bisogno, prendersi cura di lui. «Ciò che avrete fatto al più piccolo di que[84]sti miei fratelli lo avrete fatto a me» (Mt 25, 40).

Vorrei segnalarvi un brano del grande pensatore italo-tedesco, Romano Guardini: «L’uomo non è intangibile per il fatto che vive. Di tale diritto sarebbe titolare anche un animale, in quanto esso pure si trova a vivere […]. La vita dell’uomo rimane inviolabile poiché egli è una persona […]. L’essere persona non è un dato di natura psicologica, ma esistenziale: fondamentalmente non dipende né dall’età, né dalla condizione psicologica, né dai doni di natura di cui il soggetto è provvisto […]. La personalità può rimanere sotto la soglia della coscienza – come quando si dorme – tuttavia essa permane e ad essa bisogna fare riferimento. La personalità può essere non ancora sviluppata come quando si è bambini, tuttavia fin dall’inizio essa pretende il rispetto morale. È addirittu[85]ra possibile che la personalità in generale non emerga negli atti, in quanto mancano i presupposti psico-fisici, come accade nei malati di mente […]. E infine la personalità può anche rimanere nascosta come nell’embrione; ma essa è data fin dall’inizio in lui e ha i suoi diritti. È questa personalità a dare agli uomini la loro dignità. Essa li distingue dalle cose e li rende soggetti […]. Si tratta una cosa come se fosse una cosa quando la si possiede, la si usa e alla fine la si distrugge o – detto per gli esseri umani – la si uccide. Il divieto di uccidere l’essere umano esprime nella forma più acuta il divieto di trattarlo come se fosse una cosa» (da I diritti del nascituro, pubblicato in Studi cattolici, maggio/giugno 1974).

È così anche chiaro che lo sguardo che liberamente accetto di volgere all’altro decide della mia stessa dignità. Così come posso [86] accettare di ridurre l’altro a una cosa, da usare e distruggere, allo stesso modo devo accettare le conseguenze di questo mio modo di guardare, conseguenze che si ripercuotono su di me. «Con la misura con cui misurate, sarete misurati».

Lo sguardo che porto sull’altro decide della mia umanità. Posso trattarlo semplicemente come cosa nella dimenticanza della sua  e della mia dignità, del suo e mio essere a immagine e somiglianza di Dio. L’altro è custode della mia dignità. Ecco perché la morale, che inizia da questo sguardo sull’altro, custodisce la verità e la dignità dell’uomo: l’uomo ne ha bisogno per essere se stesso e non smarrire la sua identità nel mondo delle cose.

Vi è un ultimo, decisivo passo da compiere nella nostra riflessione, un passo che ci riconduce al brano della Genesi da cui siamo partiti. Come è possibile all’uomo questo sguardo capace nello stesso [87] tempo di cogliere e rispettare la dignità dell’altra persona e di garantirgli la propria? Il dramma del nostro tempo consiste proprio nell’incapacità di guardarci così, per cui lo sguardo dell’altro diventa una minaccia da cui difenderci. In realtà la morale vive sempre inscritta in un più ampio orizzonte religioso, che ne costituisce il respiro e l’àmbito vitale. Fuori da questo àmbito essa diventa asfittica e formale, si indebolisce e poi muore.

Il riconoscimento etico della sacralità della vita e l’impegno per il suo rispetto hanno bisogno della fede nella creazione come loro orizzonte: così come un bambino può aprirsi con fiducia all’amore se si sa amato e può svilupparsi e crescere se si sa seguito dallo sguardo di amore dei suoi genitori, allo stesso modo anche noi riusciamo a guardare gli altri nel rispetto della loro dignità di persone se facciamo esperienza dello sguardo di [88] amore di Dio su di noi, che ci rivela quanto è preziosa la nostra persona. «E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza […]. E Dio vide quanto aveva fatto: ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 26.31).

Il cristianesimo è quella memoria dello sguardo di amore del Signore sull’uomo, nel quale sono custoditi la sua piena verità e la garanzia ultima della sua dignità. Il mistero del Natale ci ricorda che nel Cristo che nasce ogni vita umana, fin dal suo primo inizio, è definitivamente benedetta e accolta dallo sguardo di misericordia di Dio. I cristiani sanno questo e stanno con la propria vita sotto questo sguardo di amore; ricevono con ciò stesso un messaggio che è essenziale per la vita e il futuro dell’uomo. Allora essi possono assumere oggi con umiltà e fierezza il lieto annunzio della fede, sen[89]za del quale l’esistenza umana non sussiste a lungo. In questo compito di annuncio della dignità dell’uomo e dei doveri di rispetto della vita che ne conseguono, essi saranno probabilmente derisi e odiati, ma il mondo non potrebbe vivere senza di loro.

Vorrei concludere con le stupende parole dell’antica Lettera a Diogneto, nella quale si descrive l’insostituibile missione dei cristiani nel mondo: «I cristiani, infatti, non sono distinti dagli altri uomini né per territorio, né per lingua né per modi di vivere […]. Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, e adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa e che – a confessione di tutti – ha dell’incredibile. Abitano la loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti gli oneri come cit[90]tadini e sopportano tutto come stranieri. Ogni terra straniera è patria per loro e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli altri e hanno figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. […] Per dirla in una parola, i cristiani sono nel mondo ciò che l'anima è nel corpo. […] L’anima ama la carne, che la odia, e le membra: anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa stessa sostiene il corpo; anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. […] Tanto alto è il posto che ad essi assegnò Dio; né è loro lecito abbandonarlo». [91]

***

Leggi la seconda parte del testo:
"L'aborto: quando il diritto della forza prevale sulla forza del diritto"
http://scrittidijosephratzinger.blogspot.it/2013/05/laborto-quando-il-diritto-della-forza.html

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