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Cosa significano le parole di Dio «soggiogate la terra» (Gn 1, 28)? Critica alla mentalità assetata di dominio che da Galileo Galilei porta a Ernst Bloch passando per Karl Marx

tratto da Joseph Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, Parte II - Il senso dei racconti biblici della creazione, § Sfruttamento della terra?, pp. 52-59


Sfruttamento della terra?

Così siamo giunti a un’ultima considerazione. Una proposizione del racconto della creazione ha ancora bisogno di essere spiegata in maniera par[52]ticolareggiata. Penso al celebre versetto 28 del primo capitolo della Genesi, all’ordine impartito da Dio agli uomini: «Soggiogate la terra!». Da un po’ di tempo questa frase è diventata il punto di partenza degli attacchi al cristianesimo. A causa delle terribili conseguenze di questo imperativo, il cristianesimo si sconfesserebbe sa solo, sarebbe il responsabile di tutta la miseria dei nostri giorni.

Il Club di Roma, che una decina d’anni fa scosse dalle fondamenta la fede nel progresso del periodo postbellico denunciando con accenti apocalittici i limiti della crescita, ha sviluppato la sua critica della civiltà, divenuta nel frattempo una corrente culturale, anche come critica del cristianesimo, che sarebbe la radice di questa civiltà dello sfruttamento. Il compito assegnato agli uomini di sottomettere la terra avrebbe avviato quel cammino funesto di cui oggi cominciamo a vedere l’amara conclusione. Nella scia di queste idee uno scrittore di Monaco di Baviera parlò di «conseguenza funeste del cristianesimo», un’espressione che da allora viene volentieri ripetuta. Quel che abbiamo appena esaltato: il mondo divinizzato e razionalizzato con la fede nella creazione; il sole, la luna e le [53] stelle non più divinità grandi e inquietanti, ma semplici lampade; gli animali e le piante private del loro carattere mitico, tutto questo diviene ora capo d’accusa del cristianesimo.

Proprio il cristianesimo avrebbe degradato le grandi potenze fraterne del mondo al rango di semplici oggetti d’uso e avrebbe così indotto ad abusare delle piante, degli animali, delle energie del mondo in genere, alimentando una ideologia della crescita, che pensa e si interessa solo a sé stessa.

Che dire al riguardo?
Il compito affidato dal Creatore all’uomo dice che questi deve prendersi cura del mondo come creazione di Dio, seguendone il ritmo e la logica. Il senso di tale compito è precisato nel capitolo successivo della Genesi con la parole «lavorare e custodire» (Gn 2, 15).
Tende dunque a introdurre nel linguaggio stesso della creazione, significa che la creazione è portata ad essere ciò di cui è capace e a cui è chiamata, ma non che essa è stravolta contro sé stessa. La fede biblica comporta soprattutto che l’uomo non si chiuda in sé stesso, che sia consapevole di trovarsi inserito nel grande corpo della storia, che deve alla fine diventare il corpo di Cristo. Il passato, il presente e il [54] futuro devono incontrarsi e compenetrarsi in ogni vita umana. Soltanto il nostro tempo doveva cadere in quel tormento di narcisismo che taglia in uguale misura i ponti con il passato e con il futuro e vuole soltanto il presente.

Ora, però, dobbiamo domandarci: come si è giunti a questa esasperata mentalità attivistica e assetata di dominio, che oggi ci minaccia tutti?
Un primo bagliore della nuova mentalità si manifesta nel corso del Rinascimento, ad esempio in Galileo, quando afferma: qualora la natura non risponda spontaneamente alle nostre domande e non disveli i proprio segreti, la metteremo alla tortura e con un doloroso interrogatorio le strapperemo le risposte che non vuol darci di sua spontanea volontà.
La costruzione degli strumenti delle scienze naturali è per lui come la preparazione di strumenti di tortura, con cui l’uomo, in qualità di signore assoluto, si procura le risposte che vuole avere da questa accusata.

La nuova mentalità ha naturalmente assunto forme concrete e storicamente efficaci solo più tardi e, in misura piena, con Karl Marx. Fu lui a dire all’uomo di non occuparsi più della sua origine e della propria derivazione, [55] in quanto si tratterebbe di una questione insulsa.
Con questo Marx intende eliminare la questione razionale dell’origine e del progetto del mondo di cui abbiamo parlato all’inizio, perché la creazione con la sua intrinseca razionalità è il messaggio più forte e invincibile del Creatore, da cui non possiamo mai emanciparci.
Poiché la questione della creazione non può essere ultimamente risolta se non rifacendosi allo Spirito creatore, la questione stessa viene dichiarata assurda. Ciò che conta non è la creazione creata; solo l’uomo deve produrre la vera creazione, quella che poi servirà a qualcosa. La trasformazione è perciò il compito fondamentale dell’uomo, il progresso è la verità autentica, mentre la materia è il materiale con cui l’uomo crea quel mondo in cui varrà la pena di vivere[nota 1].

È stato Ernst Bloch a portare quest’idea a una forma inquietante.
Secondo lui la verità non è quel che conosciamo; la verità sta solo nel cambiamento. Di conseguenza la verità è ciò che si impone e la realtà è coerentemente una «guida all’intervento e un addestramento all’attacco»[nota 2]. Essa ha bisogno di un «polo concreto di odio»[nota 3], affinché troviamo lo slancio necessario per cambia[56]re. Così per Bloch il bello non è lo splendore della verità delle cose, bensì il preludio del futuro verso cui andiamo e che noi stessi fabbrichiamo.

Perciò, così egli conclude, la cattedrale del futuro sarà il laboratorio, le chiese di San Marco della nuova era saranno le centrali elettriche. Allora non avremo più bisogno di distinguere fra domenica e giorni feriali, non avremo più bisogno di sabati, perché l’uomo sarò in tutto il creatore di sé; allora smetterà anche di affaticarsi solo per dominare o plasmare la natura; rappresenterà la natura stessa come cambiamento[nota 4].

Qui troviamo formulato con chiarezza difficilmente reperibile altrove il tormento del nostro tempo. Prima l’uomo poteva trasformare solo determinate cose della natura. La natura in quanto tale non era oggetto, bensì presupposto della sua azione. Ora la natura stessa nel suo complesso è nelle sue mani, ma in questo modo egli si vede esposto improvvisamente al pericolo più grave per la sua esistenza.

Il punto di partenza sta in quell’atteggiamento che vede la creazione solo come un prodotto del caso e della necessità. La creazione non ha di per sé alcun diritto e non può for[57]nire alcuna indicazione. È messo a tacere il ritmo intrinseco, di cui parla il racconto della Sacra Scrittura, il ritmo dell’adorazione, che è il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo.

Oggi evidentemente tocchiamo con mano i risultati spaventosi di un simile atteggiamento. Percepiamo una minaccia che non è un futuro lontano, ma ci riguarda direttamente e personalmente.
L’umiltà della fede è scomparsa; l’orgoglio del fare ha fatto fallimento; così va prendendo piede un nuovo atteggiamento non meno deleterio, un atteggiamento che vede l’uomo come un guastafeste che rompe tutto e che è il vero parassita e la vera malattia della natura. L’uomo non ha più simpatia per se stesso, preferirebbe ritirarsi, affinché la natura ritorni sana.
Ma neppure così ripristiniamo il mondo, perché contraddiciamo il Creatore anche quando non vogliamo più essere gli uomini che egli ha voluto. In questo modo non guariamo la natura, bensì distruggiamo noi e con noi il creato. Lo priviamo della speranza, che è in esso insita, e della grandezza a cui è chiamato.

Pertanto la via cristiana rimane l’unica che veramente salva. In essa è presente la convinzione che [58] possiamo essere realmente «creativi» solo in unità con il Creatore del mondo. Possiamo servire veramente la terra solo se ci poniamo di fronte a essa secondo le indicazioni della parola di Dio. Allora possiamo realmente far progredire noi stessi e il mondo.

«Operi Dei nihil praeponatur»: non bisogna preferire nulla all’opera di Dio, non bisogna anteporre nulla al culto di Dio. Questa frase è la vera legge della conservazione della creazione contro la falsa adorazione del progresso, contro l’adorazione del cambiamento che calpesta il mondo e il creato allo stesso tempo, impedendo loro di raggiungere il proprio fine.

Soltanto se il Creatore è il vero redentore dell’uomo, solo se abbiamo fiducia nel Creatore camminiamo verso la redenzione del mondo, dell’uomo e delle cose.
Amen.
[59]





[1] Cfr. Joseph Ratzinger, Conseguenze della fede nella creazione. Lectio Magistralis tenuta il 14 marzo 1979 in occasione della festività di San Tommaso d’Aquino presso la Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Salisburgo, in Idem, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, pp. 107-136. [60]
[2] Desumo le citazioni seguenti dall’illuminante libro di F. Hartl, Der Begriff des Schöpferischen. Deutungsversuche der Dialektik durch Ernst Bloch und Franz von Baader, Frankfurt 1979; cfr. Prinzip Hoffnung, Frankfurt 1959, vol. V, pp. 74-80, 319. [60]
[3] «Senza scissione nell’amore, mediante un polo di odio altrettanto concreto, non si dà amore autentico; senza la parzialità del punto di vista rivoluzionario classista si dà solo un idealismo rivolto al passato anziché una prassi rivolta al futuro» (E. Bloch, Prinzip Hoffnung cit., p. 318; F. Hartl, Der Begriff cit., p. 80). [60]
[4] «Markuskirche und Elektrizitätswerke»: Prinzip Hoffnung cit., p. 928 ss.; «Verzicht auf abgetrennte Sonn-und Feiertage», ivi, p. 1071 ss.; cfr. Hartl, Der Begriff cit., pp. 109-146, specialmente le pp. 130 e 142. Altro materiale interessante dall’area del pensiero marxista in J. Pieper, Zustimmung zur Welt. Eine Theorie des Festes, München 19642, p. 133 ss. [60]

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