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La crisi della fede

tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 22-29 


La crisi della fede

D. Signor Cardinale, il bisogno della fede cristiana è cresciuto nella maggior parte dei continenti come mai prima d'ora. Solo negli ultimi 50 anni il numero dei cattolici nel mondo è raddoppiato, fino a raggiungere la cifra di un miliardo di persone. Tuttavia, in molti Paesi del cosiddetto Vecchio Mondo ci scontriamo con una crescente secolarizzazione. Sembra che larghi strati delle società europee si vogliano sganciare del tutto dalla loro eredità. Gli avversari della fede parlano di una «maledizione del Cristianesimo», da cui ci si deve finalmente liberare.
Nel nostro primo libro, Il sale della terra, abbiamo affrontato questa tematica approfonditamente. Molte persone sono pronte a seguire senza riflettere questi stereotipi anticristiani o antiecclesiastici. La ragione di tutto questo sta spesso nel fatto che abbiamo smarrito i contenuti e i segni della fede. Non sappiamo più cosa significhino. La Chiesa non ha più nulla da dire ?
R. Viviamo indubbiamente in un periodo storico in cui la tentazione di fare a meno di Dio si è fatta molto forte. La nostra cultura tecnologica e del benessere poggia sulla convinzione che in sostanza tutto è fattibile. Naturalmente, se i presupposti sono questi, la vita si esaurisce in ciò che può essere fatto, prodotto, dimostrato da noi. La questione di Dio esce di scena. La generalizzazione di questo atteggiamento – e la tentazione è molto forte perché la ricerca di Dio presuppone effettiva[22]mente che ci si sposti su un altro piano, una volta forse più facilmente accessibile – induce ad affermare con naturalezza: ciò che non facciamo noi stessi nemmeno esiste.


D. Nel frattempo non sono mancati i tentativi di costruire etiche senza Di0.
R. Certamente, e il calcolo che guida questi tentativi è di cercare quello che si suppone l’umanità prediliga. D’altro lato abbiamo anche tentativi di fare della realizzazione interiore dell’uomo, della felicità, un prodotto costruibile. Oppure c'è la via di fuga in forme religiose che apparentemente fanno a meno della fede in offerte esoteriche che poi spesso si riducono a tecniche per il raggiungimento della felicità.

Tutti questi modi di mantenere un certo ordine nel mondo e di risolvere l’enigma dell’esistenza sono coerenti con il modello esistenziale del presente. La parola della Chiesa pare invece provenire dal passato, sia che intendiamo per passato il radicamento di questa parola in un altra epoca storica alla quale noi non apparteniamo più, sia che ci riferiamo al suo nesso con una forma di vita che non e più quella del presente.
Di sicuro la Chiesa non ha ancora effettuato fino in fondo il balzo nel presente. Il grande compito che ci attende è quello di riempire di esperienza di vita le vecchie, grandi parole della tradizione che sono ancora davvero valide, cosi da renderle comprensibili. Abbiamo ancora molto da fare da questo punto di vista.

D. Un'immagine di Dio di derivazione esoterica ci trasmette l'idea di un Dio completamente diverso, che nei suoi nuovi messaggi prende sempre più le distanze dalle dottrine ebraiche e cristiane. Si arriva a dire che non i rabbini o i sacerdoti, e nemmeno la stessa Bibbia, sarebbero la fonte dei suoi messaggi: gli uomini dovrebbero piuttosto lasciarsi guidare da quello che sentono. Dovrebbero liberarsi dalle costrizioni di queste stupide religioni tramandate e delle loro caste sacerdotali assetate di potere e ritornare integri e felici come erano [23] stati pensati fin dalle origini. Molte di queste affermazioni suonano molto promettenti.
R. Tutto questo corrisponde esattamente al nostro attuale bisogno di religione, e anche al nostro bisogno di semplificazione. In questo ha in sé qualcosa di illuminante e di promettente. Ma poi bisogna naturalmente anche chiedersi chi o che cosa legittimi questo messaggio; la sua apparente plausibilità lo rende per questo anche legittimo? La plausibilità è un criterio sufficiente a rendere accettabile un messaggio su Dio? O non può essere proprio la plausibilità una seduzione che ci lusinga? Ci indica certamente la strada più semplice ma ci ostacola anche nella ricerca della realtà.

Infine noi facciamo così dei nostri sentimenti il parametro con cui misurare chi è Dio e come dovremmo vivere. Ma i sentimenti sono instabili e allora notiamo ben presto da soli che stiamo costruendo su un terreno sdrucciolevole. Per quanto queste idee possano apparire dapprima illuminanti, io in esse mi imbatto soltanto in elaborazioni umane, che in ultima analisi rimangono dubbie. Ma l’essenza della fede sta esattamente in questo: in essa non mi confronto con delle elaborazioni, quello che mi viene incontro è più grande di qualsiasi cosa che noi esseri umani possiamo concepire.

D. Obiezione: questo lo dice la Chiesa!
R. È dimostrato dalla storia che ne è scaturita. Nella storia Dio si è sottoposto a verifica e continuerà a farlo. Penso che nel corso di questo colloquio torneremo ad approfondire l’argomento.
In ultima analisi, però, non è sufficiente per l’uomo sapere che Dio ci ha comunicato questo o quello o che ce lo possiamo immaginare in un modo piuttosto che in un altro. Soltanto se ha fatto o se è qualcosa per noi, allora si verifica ciò di cui abbiamo bisogno e su cui può reggersi la nostra esistenza.
Dobbiamo riconoscere che non ci sono solo parole che parlano di Dio, c’è anche una realtà di Dio. Che non solo delle persone hanno immaginato qualcosa, ma che qualcosa è acca[24]duto, qualcosa di identificabile con la Passione. Questa realtà è più grande di qualsiasi parola, anche se difficilmente attingibile.

D. Per molti non solo non è credibile, ma anche segno di presunzione, un'enorme provocazione, credere che un singolo individuo, giustiziato attorno al 30 in Palestina, sia l’Unto e l’Eletto to di Dio, il «Cristo», appunto. Che una singola persona sia il centro della storia.
Ci sono in Asia centinaia di teologi che affermano che Dio è troppo grande e onnicomprensivo per potersi incarnare in un singolo individuo. E in effetti non si immiserisce la fede se la salvezza del mondo si focalizza attorno a un unico?
R. Questa esperienza religiosa in Asia da un lato ritiene Dio incommensurabile e dall’altro le nostre capacità intellettive così limitate da poter rappresentare Dio soltanto in una molteplicità di riflessi. Cristo potrebbe allora essere un simbolo privilegiato di Dio ma pur sempre un riflesso, incapace cogliere la totalità.
Apparentemente questa concezione è espressione dell’umiltà dell’uomo nei confronti di Dio. Si ritiene persino impossibile che Dio abbia contratto se stesso fino a incarnarsi in un singolo uomo. E partendo da un punto di vista umano non potremmo forse attenderci altro che di poter vedere di Dio soltanto una scintilla, un piccolo frammento.

D. Non suona irragionevole.
R. Sì. Ragionevolmente si dovrebbe infatti dire che Dio e troppo grande per comprimere se stesso nella limitatezza di un essere umano. Dio è troppo grande perché un’idea o una scrittura possano abbracciare la sua parola; può solo rispecchiarsi in molteplici esperienze anche contraddittorie. D’altro canto l’umiltà si trasformerebbe in presunzione se noi contestassimo a Dio la possibilità che lui disponga della liberta e della potenza dell’amore per farsi così piccolo.

La fede cristiana ci offre la consolazione che Dio è talmente [25] grande da potersi fare piccolo. E questa è per me davvero l'inaspettata e non preventivabile grandezza di Dio, il fatto che lui abbia la possibilità di piegarsi sulla sua creazione. Che davvero si incarni in un uomo, che non si travesta più con le sue spoglie fino a deporle di nuovo e a indossare un altro abito, ma che si faccia davvero quell’uomo. Proprio in questo vediamo la vera infinità di Dio perché proprio per questo è più potente, inconcepibile e insieme salvifico di qualsiasi altro Dio.

In caso contrario dovremmo convivere con una quantità di non verità. I contraddittori frammenti esistenti ci propongono, nel Buddismo come nell’Induismo, la soluzione della mistica negativa. Ma allora Dio si trasforma davvero nella negazione dell’esistente, e non ha nemmeno, in ultima analisi, più nulla da dire a questo mondo di positivo e di costruttivo.

Al contrario, questo è un Dio che ha la forza di realizzare amore in modo tale da essere se stesso in un uomo, da essere presente e da offrirsi a noi perché lo conosciamo, da stabilire con noi un’esistenza comunitaria, proprio ciò di cui abbiamo bisogno per non dover convivere fino alla fine con frammenti e mezze verità.

Questo non significa che non possiamo imparare di più dalle altre religioni. O che il canone della fede cristiana sia così cementato che non possiamo andare oltre. L’avventura della fede cristiana è sempre nuova, e la sua incommensurabilità si dischiude proprio nel momento in cui riconosciamo a Dio queste possibilità.

D. La fede è sempre presente in linea di principio nell’uomo?
R. Per quanto, grazie ai ritrovamenti archeologici, siamo in grado di ricostruire della storia dell’umanità fin dai suoi primi albori, possiamo constatare che l’idea di Dio c’è sempre stata. I marxisti avevano previsto la fine della religione. Con la fine dell’oppressione, la medicina rappresentata da Dio non avrà più ragione d’essere, si diceva. Ma anche loro hanno dovuto riconoscere che il sentimento religioso non si è mai esaurito perché è davvero radicato nell’uomo. [26]

Questo sensore interno non funziona comunque con l’automatismo di un apparecchio tecnico, ma è qualcosa di vivo che può crescere con l'uomo o anche essere anestetizzato e spegnersi quasi del tutto. Se esercitato interiormente, questo sensore si affina sempre più, diventa più vitale e reattivo, in caso contrario si ottunde e viene per così dire narcotizzato. E, ciò nonostante, persiste in qualche modo anche in chi non crede un interrogativo sulla presenza di un qualcosa che va oltre la nostra finitezza. Senza quest’organo interiore la storia dell'umanità non sarebbe nemmeno comprensibile.

D. Dall'altro lato ci sono intere biblioteche colme di libri e potenti ideologie che tentano di confutare questa fede. Anche quella fede che nega la fede sembra avere motivazioni di principio e persino tendenze missionarie. I più grandi esperimenti umani cui la storia abbia assistito fino a questo momento, il nazionalsocialismo e il comunismo, erano volti a ridurre ad assurdo la fede in Dio per sradicarla dal cuore degli uomini. E non sarà certo l'ultimo tentativo.
R. Perciò la fede in Dio non è un sapere assimilabile come quello chimico o matematico, ma rimane fede. Questo significa che ha senz’altro una struttura razionale, sulla quale ritorneremo più avanti. Non presuppone la compromissione con qualcosa di oscuro. Mi dà discernimento. E non mancano i motivi ragionevoli per legarsi ad essa. Ma non è riducibile a puro sapere.

Poiché la fede rivendica a sé l’intera esistenza, volontà, amore, la capacità di lasciarsi andare, richiede la facoltà di andare oltre la mera conoscenza, la mera dimostrabilità. E proprio perché le cose stanno in questi termini, posso sempre allontanarmi dalla fede e trovare motivazioni che paiono confutarla.

Come Lei sa, ci sono diversi livelli di controargomentazioni. Basti guardare l’immenso dolore che opprime il mondo. Questo da solo pare confutare l’esistenza di Dio. O prendiamo la piccolezza, l’innapariscenza di Dio. Per colui cui si sono [27] dischiusi gli occhi della fede, proprio in questo sta la grandezza di Dio, ma per colui che non ha ancora saputo o voluto fare il salto ciò rende Dio in qualche modo confutabile. Ma si può anche dissolvere la totalità in dettagli. Si possono scomporre le Sacre Scritture, il Nuovo Testamento, in modo che rimangano solo brandelli e che successivamente qualche dotto studioso possa dire che la Risurrezione è un’invenzione posticcia, che tutto è stato aggiunto a posteriori e che niente tiene.

Tutto questo è possibile. Anche perché sia la storia che la fede sono qualcosa di umano. Da questo punto di vista le dispute sulla fede non avranno mai termine. Questa controversia è anche la lotta dell’uomo con se stesso e con Dio che proseguirà fino all’alba della fine della storia.

D. La società moderna dubita che possa esistere un'unica verità. Questo si ripercuote anche sulla Chiesa che insiste imperterrita su questo concetto. Lei ha detto una volta che l’attuale profonda crisi che il Cristianesimo attraversa è dovuta essenzialmente all’esitazione con cui rivendica la verità del messaggio di cui e portatore. Perché?
R. Perché nessuno ha più il coraggio di dire che ciò che dice la fede è verità. Si teme di dimostrarsi intolleranti rispetto alle altre religioni o visioni del mondo. E i cristiani si rinsaldano a vicenda nel loro timore di una pretesa di verità troppo elevata.

Da un lato questo è in qualche modo salutare. Perché, se con troppa rapidità e superficialità si difendono come verità le istanze di cui siamo portatori e ci si accomoda con troppa tranquillità e rilassatezza su questa pretesa verità, non c’è solo il rischio di diventare autoritari, ma anche quello di etichettare troppo facilmente come verità qualcosa che è solo provvisorio e secondario.

La cautela con cui dobbiamo rivendicare la verità è del tutto opportuna. Non ci deve però indurre a rinunciare completamente e in maniera generalizzata a questa istanza. Perché allora finiamo per brancolare nel buio della molteplicità dei modelli tradizionali. [28]

D. Comunque i confini si sono fatti davvero più indistinti. Molti sognano  una specie di religione sincretistica, composta comunque di ingredienti selezionati e particolarmente attraenti. Avanza sempre più una distinzione tra religione «buona» e religione «cattiva».
R. È interessante che il concetto di tradizione abbia sostituito ampiamente il concetto di religione e di confessione – e quindi anche quello di verità. Le singole religioni vengono viste come tradizioni. Sono considerate «venerabili» e «belle», e si dice che ognuno deve rispettare la tradizione nel cui alveo è cresciuto, e che tutti debbono rispettarsi a vicenda.

Ma, se tutto quello che abbiamo sono tradizioni, entra in crisi la dimensione della verità. E prima o poi finiremo per chiederci perché rispettare ancora la tradizione. Ed ecco fondata la ribellione contro la tradizione.

Mi vengono in mente le parole di Tertulliano, che una volta disse: Dio non ci ha detto «lo sono l'abitudine» bensì «Io sono la verità». Dio non sanziona semplicemente l’abitudine, ma ci conduce oltre l'abitudine. Vuole che ci mettiamo in marcia, ci incita a cercare la verità, ciò che ci immette nella realtà del Creatore, del Redentore, del nostro proprio essere. Da questo punto di vista dobbiamo considerare la cautela con cui rivendicare la verità come un obbligo, ma avere anche il coraggio di non perdere la sete di verità, di tendere ad essa e di accettare con umiltà e gratitudine il dono con cui ci viene offerta.

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