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Essere cristiani significa essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere gli uni per gli altri. La decisione cristiana fondamentale, l’accettazione dell’essere cristiani, significa il distacco dall’essere centrati sull’ “io” e l’aggancio all’esistenza di Gesù Cristo, che è rivolta al tutto

Tratto da Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolicoCon un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 200715Excursus - Strutture dell'essere-cristiano, pp. 242-245.


2. Il principio del ‘per’

Siccome la fede cristiana esige il singolo, ma lo vuole per il tutto e non per se stesso, nella preposizione “per” si esprime la vera e propria legge fondamentale dell’esistenza cristiana: è la logica conseguenza che scaturisce necessariamente da quanto detto finora.

Ecco perché nel principale sacramento cristiano, che costituisce il centro della liturgia cristiana, l’esistenza di Gesù Cristo viene presentata come esistenza «per i molti» - «per voi» [nota 41], come esistenza aperta, che rende possibile e crea, attraverso la comunicazione con lui, la comunicazione vicendevole fra tutti. Ecco perché, come già abbiamo visto, l’esistenza di Cristo si realizza e trova compimento come esistenza esemplare nell’apertura della croce. Ecco perché egli, preannunciando e spiegando la sua morte, può affermare: «Va[242]do, ma torno a voi» (Gv 14,28): mentre mi allontano da voi la parete della mia esistenza, che ora mi limita, viene demolita, sicché questo avvenimento costituisce il mio reale venire, in cui realizzo ciò che veramente io sono, vale a dire colui che fa entrare tutti nell’unità del suo nuovo essere, colui che non è più limite, bensì unità.

I Padri della chiesa hanno interpretato in questo senso le braccia spalancate del Signore sulla croce.
Scorgono in esse in primo luogo la forma originaria del gesto cristiano di preghiera, l’atteggiamento dell’orante, così come lo incontriamo, in modo toccante, nelle raffigurazioni delle catacombe. Le braccia del Crocifisso lo mostrano come l’orante, ma nello stesso tempo danno alla preghiera una nuova dimensione, che costituisce lo specifico della glorificazione cristiana di Dio: quelle braccia spalancate sono espressione di preghiera anche e soprattutto in quanto esprimono la completa dedizione agli uomini, sono il gesto dell’abbraccio, della piena e indivisa fraternità.
A partire dalla croce, la teologia dei Padri ha visto rappresentata simbolicamente nel gesto della preghiera cristiana l’unità di preghiera e fraternità, l’inseparabilità del servizio agli uomini e della glorificazione di Dio.

Essere cristiani significa essenzialmente il passaggio dall’essere per se stessi all’essere gli uni per gli altri. In tal modo si chiarisce anche ciò che in verità s’intende con il concetto di elezione (“predestinazione”), che spesso ci risulta così estraneo. Essa non indica una preferenza che lascia che il singolo viva per se stesso, separandolo dagli altri, bensì l’inserirsi in quella missione comune di cui si parlava poc’anzi.

Di conseguenza la decisione cristiana fondamentale, l’accettazione dell’essere cristiani, significa il distacco dall’essere centrati sull’ “io” e l’aggancio all’esistenza di Gesù Cristo, che è rivolta al tutto. La stessa cosa intende la parola della sequela della croce, che non indica affatto una devozione privata, ma esprime l’idea fondamentale che l’uomo, lasciandosi alle spalle l’isolamento e la tranquillità del proprio [243] “io”, esca da se stesso, per seguire, in questo coinvolgersi con gli altri, il Crocifisso ed esistere per gli altri.

Le grandi immagini della storia salvifica, che rappresentano al contempo le grandi figure fondamentali del culto cristiano, sono senz’altro forme espressive di questo principio del “per”.
Pensiamo, per esempio, all’immagine dell’esodo (“uscita”), che da Abramo in poi e ben oltre il classico esodo dall’Egitto, narratoci dalla storia sacra, rimane il pensiero fondamentale all’insegna del quale si svolge l’esistenza del popolo di Dio e di chi appartiene a esso: ognuno è chiamato al continuo esodo del superamento di sé.

La medesima idea riecheggia nell’immagine della pasqua, nella quale la fede cristiana ha formulato il collegamento tra il mistero della croce e della risurrezione di Gesù e l’idea dell’esodo dell’antica Alleanza.
L’evangelista Giovanni ha reso di nuovo il tutto con un’immagine mutuata dalla natura. Con essa l’orizzonte si dilata, oltre le dimensioni antropologica e storico-salvifica, alla dimensione cosmica: ciò che qui viene chiamato una struttura portante della vita cristiana rappresenta in fondo già il segno distintivo della creazione stessa.

«In verità vi dico: se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Già a livello cosmico vige la legge che solo attraverso la morte, attraverso la perdita di se stessi, scaturisce la vita. Ciò che così si annuncia nella creazione, si attua in pieno nell’uomo e, in definitiva, in quell’uomo esemplare che è Gesù Cristo: nell’accettare la sorte del granello di frumento, nel passare attraverso l’essere sacrificato, nel lasciarsi squarciare e nel perdersi, egli inaugura la vera vita.

Guardando alle esperienze della storia delle religioni, che su questo punto collimano strettamente con la testimonianza della Bibbia, si potrebbe anche affermare: il mondo vive di sacrificio. Quei grandi miti che esprimono la conoscenza secondo la quale il cosmo sarebbe stato costruito sulla base di un sacrificio primordiale e continuerebbe a vivere soltanto grazie all’auto-sacrificio, sareb[244]be stabilito sul sacrificio [nota 42], ricevono qui la loro verità e validità.

Attraverso queste immagini mitiche appare chiaro il principio cristiano dell’esodo: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25 ; cfr. il testo parallelo di Mc 8,35).

Concludendo, bisogna anche dire che tutti gli sforzi di superamento di sé, intrapresi dall’uomo, non possono mai bastare.
Chi vuol solo dare e non è pronto a ricevere, chi vuol essere solo per gli altri, senza riconoscere che anch’egli, a sua volta, vive del dono gratuito e inesigibile del “per” degli altri, misconosce il tratto fondamentale dell’essere uomini, finendo così per distruggere anche il vero senso dell’essere per gli altri.

Per risultare fruttuosi, tutti i superamenti di sé hanno bisogno del ricevere da parte degli altri e, in definitiva, da parte dell’Altro che è il veramente Altro dell’intera umanità e contemporaneamente totalmente a essa unita: l’uomo-Dio Gesù Cristo.



[nota 41] Così si legge nel Canone Romano della Messa, che segue il rito d’istituzione dell’Eucaristia riportato in Mc 14,24.
[nota 42] Cfr. il mito Purusa della religione vedica; cfr. in proposito il saggio di C. Régamey, in E KöningCristo e le religioni del mondo. Storia comparata delle religioni III, Marietti, Torino 1962, 87ss; dello stesso autore, ancora in E KöningReligionswissenschaftliches Wörterbuch, Freiburg 1956, 470ss. [trad. it., Dizionario delle religioni, Herder, Roma 1960]; J. GondaLe religioni dell’India. Veda e antico Induismo, Jaca Book, Milano 1981, 188ss. Il testo principale a questo riguardo: Rigveda 10, 90.

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