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Noi tutti siamo Tommaso, l'incredulo; ma noi tutti possiamo, come lui, toccare il Cuore scoperto di Gesù; quindi toccare, guardare il Logos stesso, e così, con la mano e gli occhi rivolti a questo cuore, giungere alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!»

Joseph RatzingerMistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 12-16

2. Elementi per una nuova fondazione della devozione al Cuore di Gesù a partire dall’enciclica Haurietis aquas

Queste domande dopo il Concilio hanno portato alla considerazione che tutto ciò che era stato detto prima della riforma liturgica poi sia decaduto. Così esse hanno causato realmente un’ampia scomparsa della devozione al Cuore di Gesù. Questo è senza dubbio un fraintendimento del Vaticano II: l’enciclica Haurietis aquas aveva già dato una risposta a queste domande, una risposta che viene presupposta e che non è stata superata dalla riforma liturgica del Concilio.

Così non è solo la circostanza esterna del venticinquesimo anniversario della pubblicazione di questa Enciclica che ci spinge a riflettere di nuovo sul suo messaggio, ma lo esige la situazione stessa della devozione nella Chiesa. Nelle mie riflessioni vorrei semplicemente cercare di riprendere le risposte essenziali dell’Enciclica a queste domande, e chiarire ed esplicitare un po’ di più il suo modo di procedere, alla luce del successivo lavoro teologico.

2.1. Fondazione della devozione in una teologia dell’incarnazione


L’Enciclica sviluppa un’antropologia e una teologia della corporeità, nella quale essa vede il fondamento fi[12]losofìco e anche psicologico del culto al Cuore di Gesù: il corpo non sta accanto allo spirito come qualcosa di esteriore, ma è l'autoespressione dello spirito, la sua «immagine».
Ciò che costituisce la vita biologica, nell'uomo è costitutivo anche della persona. La persona si realizza nel corpo, e pertanto il corpo ne è l’espressione; in esso si può vedere la realtà invisibile dello spirito.

Dal momento che il corpo è l'aspetto visibile della persona, e la persona è immagine di Dio, il corpo è al tempo stesso, in tutto il suo contesto relazionale, lo spazio nel quale il divino si raffigura, diventa esprimibile e visibile.

Perciò la Bibbia sin dall’inizio ha rappresentato il mistero di Dio con le immagini del corpo e del mondo ordinato ad esso. Così facendo, essa non crea immagini esteriori al posto di Dio, ma sa servirsi delle realtà corporee come di immagini, sa parlare di Dio in parabole, perché tutte queste cose sono veramente immagini. Con tale discorso parabolico la Scrittura non stravolge il mondo corporeo, ma ne designa l’elemento peculiare, il nucleo di ciò che esso è. Interpretandolo come una riserva di immagini per la storia di Dio con l’uomo, ne mostra la vera essenza e rende Dio visibile in ciò in cui Egli si esprime realmente.

È in questo contesto che la Bibbia intende anche l’incarnazione: l’assunzione del mondo umano e della persona umana, che si esprime nel corpo, nella parola biblica, la sua trasformazione in somiglianza e immagi[13]ne di Dio attraverso l’annuncio biblico è, per così dire, già un’anticipazione dell’incarnazione.

Nell’incarnazione del Logos si perfeziona ciò che si è andato attuando sin dall’inizio nella storia biblica. La Parola, per così dire, trae a sé continuamente la carne, la fa diventare propria carne, spazio vitale per se stessa.
Da una parte, l’incarnazione può avvenire soltanto perché la carne è da sempre forma in cui si esprime lo spirito, e quindi possibile dimora della Parola; d’altra parte, l’incarnazione del Figlio conferisce in modo definitivo all’uomo e al mondo visibile il loro vero significato [nota 1].

Con questa filosofia e teologia della corporeità l’Enciclica completa quell’aspetto pasquale che in qualche modo in Hugo Rahner era dominante: certamente l’incarnazione non esiste per conto proprio, perché per sua natura essa è ordinata al trascendimento, e quindi alla dinamica del mistero pasquale.
Essa si basa sul fatto che Dio nel suo amore paradossale si trascende nella carne e, pertanto, nella passione dell’esistenza umana; [14] ma in questo trascendersi di Dio si manifesta solo inversamente quell’intimo trascendimento dell’intera creazione che è stato posto in essa dal Creatore: il corpo è movimento di trascendimento di se stesso nello spirito, e lo spirito è movimento di trascendimento di se stesso in Dio.

La visione dell'invisibile nel visibile è un evento pasquale. L’Enciclica lo vede rappresentato in forma sintetica in Gv 20,26-29: l’incredulo Tommaso, che ha bisogno di vedere e di toccare per poter credere, mette la sua mano nel costato aperto del Signore, e ora, nel toccare, riconosce l’intoccabile e lo tocca realmente; guarda l’invisibile e lo vede realmente: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
L’Enciclica illustra ciò con le belle espressioni della «Vite mistica» di san Bonaventura, che costituiscono uno dei punti di riferimento permanenti di ogni devozione al Cuore di Gesù: «La ferita del corpo mostra dunque la ferita spirituale... Vediamo, attraverso la ferita visibile, la ferita invisibile dell’amore!» [nota 2].

Così qui tutto, in definitiva, rimane orientato alla Pasqua. Ma nello stesso tempo si chiarisce qual è il fondamento del mistero pasquale, quale situazione ontologica e psicologica esso presuppone: la connessione di corpo e spirito, di Logos, spirito e corpo, che fa del Verbo in[15]carnato la «scala» sulla quale possiamo salire guardando, sentendo e sperimentando.

Noi tutti siamo Tommaso, l'incredulo; ma noi tutti possiamo, come lui, toccare il Cuore scoperto di Gesù; quindi toccare, guardare il Logos stesso, e così, con la mano e gli occhi rivolti a questo cuore, giungere alla confessione di fede: «Mio Signore e mio Dio!».




[nota 1] Enciclica Haurietis aquas, in AAS 48 (1956) pp. 316-317; cfr. anche 327, 334, 336, 350. La novità che questa Enciclica ha portato riguardo alla precedente fondazione della devozione al Cuore di Gesù è esposta molto bene da F. Hausmann, Haurietis aquas. Marginalien zum dogmatischen Verständnis der Herz-Jesu-Verehrung in der Herz-Jesu-Enzyklika Papst Pius XII, in J. Auer – F. Mussner – G. Schwaiger, Gottesherrschaft – Weltherrschaft (Festschrift R. Graber), Regensburg 1980, pp. 279-294.

[nota 2] San Bonaventura, Vitis mystica, c. 3, 4, ed Quaracchi VIII, p. 163 b. Cfr. Haurietis aquas, cit., p. 337

Per leggere la prima parte della conferenza (§1)


Per leggere la continuazione della conferenza (§2.2)

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