Joseph Ratzinger, Mistero pasquale e devozione al Cuore di Gesù, Apostolato della Preghiera, Roma 2010, pp. 25-30
2.3. Antropologia e teologia del cuore
nella Bibbia e nei Padri
Con ciò che abbiamo detto abbiamo
mostrato che la
devozione cristiana include i sensi, che ricevono il loro ordine e la loro
unità dal cuore, e include i sentimenti, che hanno nel cuore il loro centro.
Abbiamo mostrato che questa
devozione centrata nel cuore corrisponde all’immagine del Dio cristiano, che ha
un cuore. Abbiamo mostrato che tutto questo in definitiva è espressione e interpretazione del
mistero pasquale, nel quale la storia d'amore di Dio con l'uomo trova la sua
ricapitolazione.
Ora però dobbiamo chiederci: una tale accentuazione del termine
«cuore» corrisponde non soltanto al contenuto, ma anche al linguaggio della
tradizione?
Infatti, se il concetto di cuore è così fondamentale come lo abbiamo descritto,
anche come vocabolo esso deve trovare almeno un sostegno fondamentale nella
Bibbia e nella tradizione. A questo riguardo vorrei presentare infine due
osservazioni.
a) Nella mistica medievale, per quanto posso vedere, fu determinante per Io sviluppo della devozione al Cuore di Gesù soprattutto il linguaggio del Cantico dei Cantici, ad esempio l'espressione: «Tu mi hai rapito il cuore» (Ct 4,9), o il versetto citato dall'enciclica Haurietis aquas: «Mettimi come un sigillo sul tuo cuore… perché forte come la morte è l’amore» (Ct 8, 6). I Padri, [25] come pure i grandi teologi e oranti del Medioevo, nel linguaggio vivace e appassionato di questo canto di amore hanno visto espresso il tema dell’amore di Dio per la Chiesa e per l’anima, come pure quello della risposta dell’uomo. Tali parole erano adatte ad integrare tutta la passione dell’amore umano nella relazione dell’uomo con Dio.
Nella misura in cui nell’epoca moderna,
sotto il dominio di una mentalità storica ristretta, scompariva la capacità di
sentire questo trascendimento della parole nel mistero, si esauriva anche la
forza di questa fonte. Pertanto la possibilità di un rinnovamento della
Chiesa e della devozione dipende certamente anche dal fatto che venga
ristabilita la capacità di quella piena comprensione della Bibbia nel suo
movimento storico,
che a causa dei singoli eccessi è stata erroneamente interdetta sotto la voce
«allegoria» [nota 1].
Tuttavia qui non vorrei continuare a
seguire questa pista – decisiva da un punto di vista storico – ma fare riferimento a un testo dell'Antico
Testamento nel quale il tema del cuore è riconoscibile molto chiaramente,
e anche l'autotrascendimento dell’Antico Testamento nel Nuovo è così manifesto
che difficilmente ci si può sottrarre ad esso.
Mi riferisco al capitolo 11 del libro di [26] Osea,
che Heinrich Gross ha messo a confronto con 1Cor 13 e ha definito «il cantico
dell’amore di Dio» [nota 2].
I primi versetti di questo capitolo
descrivono tutta la dimensione dell’amore con cui Dio si è rivolto ad Israele
sin dall’inizio della sua storia: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato
e dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (v. 1). Ma a questo instancabile amore di
Dio, che addirittura rincorre Israele, non corrisponde nulla da parte del
popolo: «Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me» (v. 2).
Secondo il principio di giustizia del
Deuteronomio, a un tale comportamento dell’uomo deve far seguito una risposta
adeguata: Israele si allontana continuamente dalla sua vocazione, si trova, per
così dire, continuamente sulla via del ritorno alla condizione precedente la
sua Pasqua salvifica; e conformemente a ciò si dovrebbe dire: «Ritornerà al
paese di Egitto», il che significa, nelle circostanze concrete: «Assur sarà il
suo re». Israele diventa di nuovo un popolo esiliato, un popolo sotto il
dominio straniero, nella schiavitù: «La spada farà strage nelle loro città,
spaccherà la spranga di difesa, l’annienterà al di là dei progetti» (v. 6).
Ma improvvisamente questo ragionamento di Dio cambia: Israele può anche ritornare alla
condizione anteriore alla sua liberazione, può anche rinnegare la sua elezione,
[27] ma Dio lo può fare?
«Come potrei abbandonarti Efraim, come
consegnarti ad altri Israele?... Il mio
cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò
sfogo all’ardore della mia ira non tornerò a distruggere Efraim, perché sono
Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (vv.
8-9).
Heinrich Gross ha fatto
notare che nell’Antico Testamento si parla ventisei volte del «cuore di Dio» [nota 3]. Esso è considerato l’organo
della sua volontà, in base al quale l'uomo viene giudicato. Il dolore che il cuore di Dio sente per i peccati degli
uomini è il motivo per cui Egli decreta il diluvio. Al contrario, il
riconoscimento da parte del cuore di Dio della debolezza degli uomini è anche
il motivo per cui Egli in futuro non terrà mai più un tale giudizio.
Questa linea di pensiero viene
ripresa da Os 11 e portata a una profondità del tutto nuova. Dio dovrebbe
revocare la chiamata di Israele, consegnarlo ai suoi nemici, ma dice: «Il mio
cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione». Il cuore si commuove. Qui è adoperato Io
stesso verbo che la Bibbia usa per descrivere il giudizio di Dio sulle città
peccatrici di Sodoma e Gomorra (cf. Gen 19,25); esso è l'espressione di un completo
rovesciamento: non resta [28] pietra su pietra. Questo verbo ora indica il cambiamento dell’amore
nel cuore di Dio in favore del suo popolo.
[28]
«Il cambiamento dell’amore divino nel cuore di Dio annulla... la
sua sentenza contro Israele; l’amore misericordioso di Dio riporta la vittoria
sulla sua inviolabile giustizia, che, nonostante tutto, rimane intatta» [nota 4]
Ma in che modo in questo cambiamento dell’amore la giustizia rimane
intatta?
Questo diventa chiaro solo nel Nuovo Testamento, nel quale il
cambiamento dell’amore effettuato dal cuore di Dio si presenta a noi come reale
passione di Dio; questo cambiamento del cuore consiste nel fatto che ora Dio
stesso sopporta nel suo Figlio il ripudio di Israele, che in Osea viene
chiamato da Dio «mio figlio», con una formula che Matteo applicherà a Cristo:
«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Os 11,1; cf. Mt 2,15).
Dio stesso prende su di se il
destino dell’amore distrutto, si mette al posto del peccatore, e così lascia di
nuovo libero per gli uomini – non più soltanto per Israele, ma per tutti i
popoli – il posto di figlio. Secondo Os 11 la passione di Gesù è
il dramma del cuore divino: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio
intimo freme di compassione».
Il cuore
trafitto del Crocifisso è il compimento letterale
della profezia del cuore di Dio, che capovolge la sua giustizia per
compassione, e proprio così rimane [29] giusto.
Solo in questo accordo tra Antico e
Nuovo Testamento si può riconoscere in tutta la sua grandezza il messaggio
biblico sul cuore di Dio, sul cuore del divino Redentore.
La
devozione al cuore di Gesù ha avuto i suoi inizi nella cerchia di Bernardo di
Chiaravalle, perché in quel tempo si leggevano i due Testamenti nella loro
unità e nel Cantico dei Cantici dell'Antica Alleanza si percepiva il cantico di
amore di Cristo per la sua Chiesa. Questa
devozione può avere anche oggi la sua nuova fondazione, solo se la riceviamo di
nuovo nella totalità della testimonianza biblica e così cogliamo «la larghezza,
la lunghezza, l'altezza e la profondità», che Paolo ci ha incaricato di
comprendere (cf. Ef 3,18).
[nota 1] H. de Lubac si è confrontato in maniera decisiva con queste
domande nella sua Geist und Geschichte. Das Schriftverstandnis der Origenes,
Einsiedeln 1968 (trad. it., Storia e
Spirito, La comprensione della Scrittura secondo Origene, Paoline, Roma
1971). Cfr. anche H. de Lubac, Histoire
et Esprit. L'intelligence de l'Écriture d’après Origène, Paris 2002, pp.
310-316 (trad. it., La comprensione della
Scrittura secondo Origene, Roma 1985).
[nota 2] H. Gross, «Das
Hohelied der Liebe Gottes» in H. Rossman –
J. Ratzinger (edd.), Mysterium der
Gnade (Festschrift für Johann Auer), Regensburg 1975, pp. 83-91.
[nota 3] Ibid., p. 88. Cfr. H. W. Wolff,
Anthropologie des Alten Testaments,
München 1973, pp. 90-95.
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