Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

Il blog non è un prodotto editoriale, è realizzato da volontari, ed è senza alcuna finalità di lucro. L'unico obiettivo è quello di fare conoscere in maniera più approfondita gli insegnamenti e le preziosa eredità lasciataci, per essere di invito all'acquisto ed alla lettura delle opere integrali. L'aggiornamento non ha una periodicità fissa.

Si invita a segnalare ogni eventuale violazione del diritto d'autore all'indirizzo scrittijosephratzinger@gmail.com.

Riflessioni preliminari sulla situazione della Chiesa

Riflessioni preliminari sulla situazione della chiesa

Da ciò risulta per la chiesa una confusione davvero babelica, nella quale non soltanto le opinioni pro e contro si intrecciano nella maniera più singolare, ma sembra addirittura impossibile raggiungere ancora un’intesa. La sfiducia aumenta soprattutto perché la permanenza nella chiesa non ha più il carattere chiaro e inequivocabile di un tempo e nessuno più si sente di avere fiducia della sincerità dell’altro. Nel 1921 Romano Guardini faceva una constatazione piena di speranza: è incominciato un processo di grande [74] portata: la chiesa si ridesta nelle anime. Oggi sembra vero il contrario: è in corso un processo di grande portata: la chiesa si spegne nelle anime e si disgrega nelle comunità. In mezzo ad un mondo che tende all’unità, la chiesa di disperde in risentimenti nazionalistici, nell’esaltazione dei propri valori e nella denigrazione degli altrui.

Fra i difensori della realtà mondana e la reazione di chi è troppo attaccato all'esteriorità e al passato, fra il disprezzo della tradizione e la fedeltà esagerata alla lettera non sembra esistere alcuna possibilità di compromesso; l'opinione pubblica assegna inesorabilmente a ciascuno il proprio posto, ha bisogno di posizioni chiare e precise e non può accettare sfumature di sorta: chi non è per il progresso è contro di esso; o si è conservatori oppure progressisti. Grazie a Dio la realtà è naturalmente diversa: ancor oggi esistono, tranquilli e quasi senza voce, coloro che credono con tutta semplicità e che anche in questo momento di confusione realizzano la vera missione della Chiesa: l'adorazione di Dio e la sopportazione della vita quotidiana sulla base della parola del Signore. Costoro però non quadrano bene nell'ideale di Chiesa che ci si prefigge e si continua perciò a lasciarli in disparte. La vera Chiesa dunque non è invisibile, ma profondamente nascosta dalle potenti manovre degli uomini. [75]

Resta così abbozzato nelle sue grandi linee lo sfondo nel quale va oggi inserita la domanda: perché io rimango ancora nella chiesa. Per poter dare una risposta adeguata dobbiamo prima approfondire l’analisi del contesto storico contemporaneo ed individuare i motivi per cui ci troviamo in questa situazione.

Come si poté giungere ad una così strana confusione nel momento in cui si aspettava invece una nuova Pentecoste? Come fu possibile che proprio quando il Concilio sembrava raccogliere la messe maturata negli ultimi decenni, invece dell’abbondanza e della pienezza si rivelò all’improvviso un vuoto sconcertante? Come mai dal sincero desiderio di unità sorse la disgregazione? Vorrei cercare di rispondere ricorrendo anzitutto a un paragone, che ci propone subito qual è il nostro compito, lasciando intravedere una soluzione positiva fra le molte negative che sono possibili. Nel nostro sforzo per giungere ad una comprensione della chiesa, sulle tracce del Concilio che per questo si è battuto accanitamente, noi ci siamo avvicinati tanto a questa chiesa, che non riusciamo più a vederla nel suo complesso; le prima case ci impediscono di vedere la città, i primi alberi non ci consentono di abbracciare con lo sguardo tutto il bosco. La situazione in cui la scienza ci ha condotto a pro[76]posito di molti aspetti della realtà, sembra ora ripetersi anche a riguardo della chiesa. Noi vediamo il particolare così da vicino e così dettagliatamente, che non riusciamo più a cogliere il tutto: l’aumento di esattezza significa qui diminuzione di verità. Quando osserviamo al microscopio un pezzetto di albero, ciò che vediamo è incontestabilmente giusto, ma potrebbe ugualmente nasconderci una parte di verità se ci facesse dimenticare che la singola cosa non è soltanto singola, ma esiste in un tutto, il quale, anche se non è visibile al microscopio, è ugualmente vero, anzi più vero della cosa presa isolatamente in se stessa. Ma lasciamo da parte i paragoni. L’epoca presente con le sue particolari prospettive ha influenzato il nostro occhio in un determinato senso, cosicché noi oggi praticamente guardiamo la chiesa soltanto dal punto di vista dell’efficienza, preoccupati di scoprire che cosa possiamo fare di essa. Gli sforzi prolungati di riformare la chiesa hanno alla fine fatto dimenticare tutto il resto.

Per noi oggi essa è soltanto un'organizzazione che si può trasformare e il nostro grande problema è quello di determinare quali sono i cambiamenti che la rendono «più efficiente» per i singoli scopi che ciascuno si propone. Affondato in questa problematica, il concetto di riforma ha subito nella coscienza dei più profonde dege[77]nerazioni, che lo hanno privato del suo nucleo centrale.
Infatti nel suo significato originale la riforma è un processo spirituale che, essendo del tutto simile alla conversione, rientra nel cuore stesso del fenomeno cristiano: soltanto attraverso la conversione si diventa cristiani, ciò vale per tutta la vita del singolo, come per tutta la storia della Chiesa. Anche questa infatti rinnova la propria vita soltanto convertendosi continuamente al Signore, evitando di chiudersi in se stessa e nelle proprie care abitudini, così facilmente contrarie alla verità.
Quando la riforma viene strappata da questo contesto, dallo sforzo e dal desiderio di conversione, quando ci si aspetta la salvezza soltanto dal cambiamento degli altri, dalla trasformazione delle strutture, da sempre nuove forme di aggiornamento, si può forse giungere a qualche utilità immediata, ma nel complesso la riforma diventa una caricatura di se stessa, capace di cogliere della Chiesa soltanto le realtà secondarie e meno importanti. 

Nessuna meraviglia che alla fine la stessa chiesa le appaia come qualcosa di secondario. Ciò fa anche meglio comprendere le ragioni profonde del paradosso derivato dai tentativi di rinnovamento propri della nostra epoca: gli sforzi per allentare le strutture ormai rigide, per correggere le forme dell’ufficio ecclesiastico provenienti dal Me[78]dioevo o ancor più dai tempi dell’assolutismo, per liberare la Chiesa da queste sovrapposizioni e renderla più adatta ad un servizio più semplice e più conforme allo spirito del Vangelo – tutti questi sforzi hanno effettivamente condotto ad una tale sopravvalutazione dell’elemento ufficiale della chiesa, che è senza precedenti nella sua storia.
Le istituzioni e gli uffici ecclesiastici sono, è vero, oggetto di critica radicale come mai prima di oggi, ma anche assorbono l’attenzione generale con una esclusività più accentuata di prima. Non pochi credono che la chiesa consista oggi soltanto in essi e riducono perciò tutta la problematica su di essa alle sue istituzioni. Non si vuole che un così vasto apparato rimanga infruttuoso, ma d’altra parte lo si trova per molti aspetti inadeguato a raggiungere gli scopi che gli si dà.

Dietro a tutto ciò, si profila il problema centrale della questione: la crisi della fede. A motivo del suo aspetto sociologico, la chiesa si protende molto al di là della cerchia dei fedeli veri e propri; questa mancanza di verità, ormai istituzionalizzata, la aliena profondamente nella sua vera natura: la pubblicità derivata dal concilio e la prospettiva di un possibile accostamento tra fede e non fede, che si volle vedere nei suoi documenti ha radicalizzato al massimo questa alienazione. Molte volte il concilio fu applaudito an[79]che da coloro che non avevano nessuna intenzione di diventare credenti nel senso della tradizione cristiana, ma che salutarono questo ‘progresso’ della chiesa come una conferma delle proprie scelte e delle vie da essi percorse. Nello stesso tempo anche all’interno della chiesa la fede è entrata in una movimentata fase di fermento.

Il problema della mediazione storica pone l’antico credo in una luce incerta e ambigue, nella quale le verità perdono i propri contorni, mentre le obiezioni delle scienze naturali e ancor più di ciò che si ritiene la concezione cosmologica moderna acuiscono questo processo.
Proprio a proposito delle verità principali diventa sempre più difficile riconoscere i limiti fra la spiegazione e la negazione. Per esempio che cosa significa propriamente «risorto dai morti»? Chi sono quelli che credono, quelli che spiegano, quelli che negano? E mentre si discute fino a dove possono arrivare i limiti della spiegazione, si perde sempre più di vista il volto di Dio. La ‘morte di Dio’ è un processo del tutto reale, che penetra oggi profondamente all'interno della Chiesa. Dio muore nella cristianità, così almeno sembra. Infatti là dove la risurrezione diventa l'esperienza di una missione sentita come superata, Dio non è più presente con la sua opera. 
Ma Dio agisce poi ancora? Questa è la domanda che viene su[80]bito spontanea. Ma chi ha ancora il coraggio di essere così reazionario da credere all’affermazione realistica «Egli è risorto»? Così per uno è soltanto progresso ciò che per l’altro è vera e propria incredulità.
Prima era inconcepibile, oggi è una cosa normale che delle persone, le quali da tempo hanno abbandonato la fede della chiesa, si considerino ancora in coscienza cristiani veramente progressisti. Secondo costoro, l’unico criterio per giudicare la chiesa è la sua efficienza. Rimane naturalmente da stabilire quale sia la vera efficienza e per quali scopi la si debba usare. Per criticare la società, per aiutare i paesi in via di sviluppo, per fomentare la rivoluzione? Oppure per solennizzare le feste locali? In tutti i casi occorre ricominciare da capo, perché inizialmente la chiesa non era stata concepita per questo ed effettivamente nella sua forma attuale non è adatta a questi scopi. E così aumenta il disagio sia nei credenti che nei non credenti. Il diritto di cittadinanza che l’incredulità ha acquistato nella chiesa rende la situazione sempre più insopportabile sia per gli uni che per gli altri. Specialmente tragico è il fatto che tutto ciò abbia posto il programma di riforma in una ambiguità veramente singolare e per molti irrimediabile.

Naturalmente si piò obiettare che non tutta [81] quanta la situazione si presta a tinte così fosche. Negli ultimi anni sono nate e maturate molte cose positive, che non è giusto tenere semplicemente nascoste: la nuova liturgia più accessibile al popolo, la sensibilità per i problemi sociali, la migliore comprensione tra cristiani separati, la diminuzione della paura dovuta ad una fede troppo legata alla lettera e molte altre innovazioni.
Ciò è senz’altro vero e va riconosciuto, ma non traduce esattamente l’atmosfera generale della chiesa. Infatti anche tutto ciò è stato nel frattempo intaccato dall’ambiguità dovuto alla scomparsa di precisi limiti tra fede e incredulità. Soltanto all’inizio sembrò che la conseguenza di questa scomparsa potesse essere una specie di liberazione. Oggi è chiaro che, nonostante tutte le speranze ancora esistenti, da un simile processo, invece che una chiesa moderna, ne è sorta una profondamente dilaniata e quanto mai problematica.

Dobbiamo ammetterlo senza mezzi termini: il Vaticano I aveva descritto la Chiesa come il «signum levatum in nationes», come il grande vessillo escatologico che, visibile anche da lontano, raccoglieva gli uomini attorno a sé. Secondo il Concilio del 1870 essa era il segno sperato da Isaia (11,12), la bandiera che anche da lontano tutti potevano riconoscere e che a tutti indicava chiaramente la via da percorrere. Con la sua me[82]ravigliosa diffusione, la sua profonda stabilità, essa rappresentava il vero miracolo del cristianesimo, la miglior prova della sua origine divina di fronte al mondo e alla storia[nota 1].

Oggi sembra vero tutto il contrario: non più una comunità meravigliosamente diffusa, ma un'associazione stagnante, che non è stata capace di superare veramente i confini dello spirito europeo e medievale; non più profonda santità, ma un insieme di debolezze umane, una storia vergognosa ed umiliante, alla quale non è stato risparmiato nessun scandalo, dalle persecuzioni degli eretici e dai processi contro le streghe, dalla persecuzione degli Ebrei e dall'asservimento delle coscienze fino all'autodogmatizzazione e alla resistenza contro l'evidenza scientifica, cosicché chi appartiene a questa storia non può fare altro che coprirsi vergognosamente il volto; infine non più stabilità incrollabile, ma accondiscendenza a tutte le correnti della storia, al colonialismo, al nazionalismo, e recentemente anche il tentativo di venire a patti con il marxismo e, dove possibile, di mimetizzarsi con esso... 

Stando così le cose, sia ha l’impressione che la chiesa non sia più il segno che invita alla fede [83], ma addirittura ostacolo principale alla sua accettazione.
Sembra che la vera teologia possa consistere soltanto nel togliere alla chiesa i suoi predicati teologici, nel considerarla e trattarla in modo puramente politico. Non si guarda più a essa come a una realtà di fede, ma come a un’organizzazione di credenti, puramente casuale anche se forse necessaria e comunque da modificare il più presto possibile secondo i più moderni criteri della sociologia. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, questo è lo slogan che dopo tante delusioni si preferisce adottare nei confronti delle realtà ecclesiastiche. Il principio sacramentale non sembra più sufficientemente chiaro; soltanto il controllo democratico appare degno di fede[nota 2]; in fondo anche lo Spirito Santo è un po’ troppo inafferrabile.

Chi non ha paura di guardare al passato sa bene che gli obbrobri e gli orrori della storia derivano proprio dal fatto che ad un certo punto l’uomo credette di dover assumere i pieni poteri [84] e di considerare come unica, vera realtà soltanto le proprie imprese.



[nota 1] Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, Freiburg 1963 ediz. 32^, n. 3013ss.
[nota 2] In questa esigenza si nascondono elementi senz’altro giustificabili e per molti aspetti conciliabili con il carattere sacramentale della gerarchia ecclesiastica. Tutto ciò è esposto, con le dovute distinzioni e chiarificazioni, in J. Ratzinger – H. Maier, Demokratie in der Kirche, Limburg 1970 [trad. it., Democrazia nella Chiesa. Possibilità, limiti e pericoli, Paoline, Roma 1971]

Nessun commento:

Posta un commento