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La professione di fede della Chiesa e lo Spirito Santo

tratto da Joseph Ratzinger, Vieni, Spirito Creatore. Omelie sulla Pentecoste, §. La professione di fede della Chiesa e lo Spirito Santo, Lindau, Torino 2006, pp. 11-17.


La professione di fede della Chiesa e lo Spirito Santo

La Grazia della festa di Pentecoste risponde a una domanda che di questi tempi è diventata addirittura una questione di sopravvivenza. La Pentecoste è la festa dell’unione, della comprensione e della convivenza umana. Noi però viviamo in un tempo in cui, anche se siamo sempre più vicini uno all’altro e se le distanze nel mondo svaniscono e sembrano contare appena, tuttavia la comprensione tra gli uomini si fa sempre più difficoltosa. Il primo, il secondo e il terzo mondo si contrappongono, le generazioni si contrappongono, [11] e quotidianamente ci rendiamo contro di come gli uomini diventino reciprocamente sempre più aggressivi, scontrosi e cattivi, e la comprensione diventi sempre più difficile. Come può esserci quell’unità di cui abbiamo tanto bisogno? Come mai le cose tra noi vanno spesso così male?

Il racconto della Pentecoste lascia trasparire sullo sfondo l’antica storia della costruzione della torre di Babele – la storia di un regno in cui si era concentrato tanto potere che gli uomini potevano credere di non dover più attendere il favore di una divinità lontana, ma di essere invece abbastanza forti da costruire per proprio contro una via verso il cielo, da spalancarne le porte, da diventare essi stessi dèi e procurarsi il paradiso. E proprio allora accadde qualcosa di singolare. Mentre si trovavano a costruire insieme, si trovarono improvvisamente a costruire uno contro l’altro. E mentre cercavano di diventare dèi, corsero il rischio di non essere neanche uomini, poiché in essi andò distrutto ciò che c’è di più umano, l’accordo e la capacità di comprendersi.

Fino a vent’anni fa si poteva ancora sostenere che questo fosse un vecchio mito orientale, del [12] quale fosse difficile riconoscere la verità. Ma oggi sappiamo che esso è vero, perché si verifica in mezzo a noi. Attraverso il progresso della scienza e della tecnica abbiamo ottenuto il potere di penetrare il mondo fin nei suoi minimi elementi, di trasformare il mondo e di fabbricarne gli esseri umani. Pregare Dio, che è così distante, sembra allora sorpassato, quando noi stessi possiamo realizzare ciò che vogliamo e quando basta lavorare per edificare il paradiso, il mondo migliore della completa libertà e del consumo senza limiti.
Ci troviamo così a rivivere la medesima esperienza: mentre sempre più condivisi sono il linguaggio, l’informazione, gli stili di vita, sempre meno ci comprendiamo. Tra gli uomini sorge una ferocia prima sconosciuta; sorge la diffidenza, il sospetto, il timore reciproco e diventiamo addirittura pericolosi l’uno per l’altro. Per avvertirlo basta seguire i notiziari, osservare gli eventi quotidiani. Perché è così? Come può esserci unità?

A questo, le Sacre Scritture rispondono: unità ci sarà solo se ci verrà dato un nuovo Spirito, il quale ci doni un nuovo cuore e una nuova lingua. Ma qui si pone anche una questione pratica: don[13]de dovrebbe venire questo nuovo spirito? Come accoglierlo? Da che cosa lo riconosceremo?
Nella prima lettura della Lettera ai Corinzi, che abbiamo appena ascoltato, San Paolo dà una risposta sorprendentemente pratica. Così pratica che per noi è persino troppo facile. Vale per noi come per Naaman il siriano, a cui era stato detto che gli sarebbe bastato bagnarsi nel Giordano per guarire dalla lebbra; ma per lui era troppo facile, la guarigione non poteva avvenire così semplicemente. Nello stesso modo, anche noi stiamo di fronte a quella risposta. Dunque, Paolo ci dice che lo Spirito Santo non opera qualsiasi cosa. La nuova parola che Esso pone sulla nostra lingua, la lingua infuocata che Esso ci ha donato e che muta il nostro cuore, significa semplicemente: Gesù è il Signore. Questo è la nuova parola che supera le divisioni e unisce gli uomini. Per comprendere la semplice e purtuttavia sconfinata richiesta che sta in queste parole, dobbiamo calarci nella loro profondità.

Innanzitutto dobbiamo renderci contro che qui Paolo cita precisamente la professione di fede della Chiesa. Con ciò egli vuol dirci: ciò che è importante dello Spirito Santo non è [14] un qualche esaltato sconvolgimento, presente anche nel paganesimo. Nel precedente versetto 2, egli aveva ricordato ai Corinzi il tempo in cui si lasciavano trascinare «verso gli idoli muti» e in cui avevano vissuto forma di entusiasmo ed estasi comuni anche al paganesimo.
Lo Spirito Santo – ci fa capire – non parla con entusiasmo, Esso è serio. La nuova parola che Esso ci dona consiste nell’umiltà di confessarci insieme con la fede della Chiesa; consiste in una semplicità di cuore, che non è troppo grande per entrare nella fede comunitaria che si estende sopra i secoli e i continenti e in questo modo conduce gli uomini fuori di sé gli uni verso gli altri. La voce dello Spirito Santo è la professione della fede comune della vera Chiesa cattolica che abbraccia il mondo intero.

Nel seguire il ragionamento di San Paolo, dobbiamo compiere un altro passo innanzi e interrogarci sul contenuto di questa professione che costruisce la Chiesa e senza la quale essa non ci sarebbe. Questo contenuto suona così: Gesù è il Signore. «Signore» è l’attributo di Dio nell’Antico Testamento, che nella lettura della Bibbia prendeva il posto dell’impronunciabile nome di Dio. [15] Questa frase professa allora la divinità di Gesù Cristo come uomo. Ed effettivamente, se questo è vero, tutto cambia nel mondo così come nella nostra vita. Se in Cristo Dio è venuto nel mondo, allora cade l’eterna incertezza se Dio esiste, come esiste, che cosa vuole da noi, se in generale il mondo e la vita hanno un senso e una direzione.
Allora la porta è aperta, la via è indicata, la risposta a cui tutto anela è data. Gesù è il Signore. Ma questo significa anche: solo questo può dire colui che si rimette al Regno di Gesù, colui che aderisce alla sua esemplarità, colui che si lascia plasmare nel proprio intimo da Lui, colui che è pronto a camminare al suo fianco e a seguirlo.
Una tale parola, Gesù è il Signore, la regola, il motivo del mio esistere, non può essere pronunciata solo mediante la lingua; essa coinvolge l’uomo tutto intero. E in vista di ciò è necessario rinunciare al possesso di noi stessi e accettare la sua massima, accordarci ad essa.
 Quindi, se tutti noi non viviamo secondo la nostra mentalità, ma conformiamo la nostra vita a quella di Colui che ci precede, Colui che ci ha amati fino alla morte in croce, allora veramente vivremo in comunione gli uni con gli altri. [16]

E così si fa chiaro perché Babilonia è Babilonia e la Pentecoste è Pentecoste.
Laddove gli uomini vogliono farsi dèi, possono solo mettersi uno contro l’altro. Laddove invece si pongono nella verità del Signore, allora si pongono nello Spirito che sostiene tutti i loro spiriti e veramente li unisce. Ma c’è un solo Signore che può sollevare tutte queste pretese, senza distruggere la libertà di alcuni e anzi unendoci tutti: Colui che è un uomo e Dio insieme. Così si rivela il rapporto tra Cristo e lo Spirito Santo. La Pentecoste rinvia alla Trinità. Lo Spirito Santo non opera qualunque cosa: nella sua sobrietà ci pone sotto il comando di Gesù.
Ma seguire Gesù Cristo a sua volta non significa legarsi a un individuo, bensì significa entrare nella pienezza della verità. Seguirlo significa diventare spiritualmente aperti e liberi in spirito: a immagine e somiglianza di Dio.
Preghiamo in quest’ora lo Spirito Creatore che ha fondato la Chiesa con i fedeli di ogni tempo: vieni, Spirito Creatore e rinnova noi e questa Terra.
Amen.

Omelia nel Duomo di Monaco di Baviera,
29 maggio 1977
[17]

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