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L’unità della Bibbia come criterio di interpretazione del racconto della creazione

tratto da Joseph Ratzinger, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006, Parte I - Dio creatore, § L'unità della Bibbia come criterio di interpretazione, pp. 21-30

L’unità della Bibbia come criterio di interpretazione

Perciò dobbiamo domandarci ancora una volta: la distinzione tra immagine e affermazione vera e propria è solo una scappatoia, perché non riusciamo più a comprendere il testo e tuttavia vogliamo [21] continuare a farlo, oppure la Bibbia stessa ci fornisce dei criteri che ci indicano questa strada e avallano perciò tale  distinzione? E ancora: essa stessa ci mette a disposizione delle distinzioni di questo tipo? La fede della Chiesa conosceva e aveva già operato queste distinzioni?


Dopo aver posto queste domande, riapriamo di nuovo la Sacra Scrittura! Per prima cosa constatiamo che il racconto della creazione appena letto non è un blocco erratico, definito e compatto fin dall’inizio. Anzi, l’intera Scrittura non è stata scritta semplicemente dal principio alla fine come un romanzo o come un manuale: essa è piuttosto l’eco della storia di Dio con il suo popolo; è il frutto delle lotte e degli itinerari di questa storia; attraverso di essa possiamo riconoscere gli slanci, le depressioni, le sofferenze, le speranze, la grandezza e poi di nuovo i fallimenti di questa storia.

La Bibbia è quindi l’espressione della lotta di Dio con l’uomo per farsi a poco a poco da lui capire, ma è anche l’espressione della lotta dell’uomo per capire a poco a poco Dio. Per questo il tema della creazione non viene proposto  tutto in una volta, ma attraversa con Israele la storia, anzi tutta l’antica al[22]leanza è un cammino compiuto insieme con la parola di Dio.
Solo in questo cammino l’affermazione autentica della Bibbia si è formata passo dopo passo. Perciò anche noi possiamo riconoscere la sua vera direzione solo nella totalità di tale cammino. In questo modo – in qualità di cammino – Antico e Nuovo Testamento sono tra loro collegati. L’Antico Testamento appare nel suo insieme al cristiano come marcia di avvicinamento a Cristo; solo quando perviene a Cristo, diventa chiaro quel che intendeva propriamente dire, quel che passo dopo passo significava. Così i singoli elementi ricevono il loro senso dal tutto, e il tutto riceve il suo significato dal fine a cui tende, da Cristo.
Perciò noi interpretiamo teologicamente nella maniera giusta il singolo testo – come i Padri e la fede della Chiesa ha sempre insegnato in tutti i tempi – solo se lo comprendiamo come tratto di un cammino progressivo, solo se riconosciamo in esso la tendenza, l’orientamento intrinseco di questo cammino[nota 1].

Che significa ora quanto detto per l’intelligenza del racconto della creazione? Facciamo una prima constatazione: Israele ha sempre creduto nel Dio [23] creatore, e questa fede la condivideva con tutte le grandi culture del mondo antico. Infatti, pur tra gli offuscamenti del monoteismo, tutte le grandi culture hanno sempre riconosciuto un Creatore del cielo e della terra, con sorprendenti elementi comuni anche tra civiltà che non poterono mai incontrarsi esteriormente. In questi elementi comuni possiamo senz’altro vedere qualcosa del contatto profondissimo, mai completamente perduto, dell’umanità con la verità di Dio.
Nello stesso Israele il tema della creazione è passato attraverso varie vicende. Esso non fu mai del tutto assente, ma non fu neppure sempre importante allo stesso modo. Ci furono periodi in cui Israele era così preso dalle sofferenze o dalle speranze della sua storia, così direttamente legato al presente da non sentire il bisogno, da non essere capace di spingere il suo sguardo fino alla creazione.
L’ora veramente grande, in cui il tema della creazione divenne il tema dominante, fu l’esilio babilonese. Durante quel periodo anche il racconto che abbiamo appena ascoltato trovò – ovviamente sulla base di antichissime tradizioni – la sua formulazione attuale e autentica. Israele aveva perso il suo paese e il suo [24] tempio. Per la mentalità di allora ciò era incomprensibile, poiché significava che il Dio d’Israele era stato vinto, che era stato possibile sottrargli il suo popolo, la sua terra e i suoi adoratori. Un Dio che non era capace di difendere i propri adoratori e la propria adorazione dimostrava di essere un Dio debole, anzi di non essere Dio. Perciò la deportazione dal proprio paese e l’eliminazione dalla carta geografica rappresentavano una terribile tentazione per la fede d’Israele: il nostro Dio è ormai vinto, la nostra fede vana?

Proprio in quest’ora i profeti aprirono una nuova pagina insegnando a Israele che solo ora si stava manifestando il vero volto del loro Dio, che non era legato ad un fazzoletto di terra. Anzi, non lo era mai stato: aveva promesso quel pezzo di terra ad Abramo prima che egli vi risiedesse; poi aveva liberato il suo popolo dall’Egitto: ambedue queste imprese aveva potuto compierle perché non era il Dio di un paese, ma colui che disponeva del cielo e della terra. Per questo poteva ora disperdere il suo popolo infedele in un altro paese, per dare testimonianza di sé.
Ora si capiva finalmente che questo Dio non era un Dio come gli altri dèi, ben[25]sì il Dio che disponeva di tutti i paesi e di tutti i popoli. Tutto questo poteva farlo perché lui stesso aveva creato tutto, il cielo e la terra. L’esilio, l’apparente sconfitta di Israele, permettono di giungere alla conoscenza del Dio che ha in mano tutti i popoli e tutta la storia, il Dio che sorregge tutto, perché è il Creatore di tutto e ha il potere su tutto.

Questa fede doveva ora trovare una sua fisionomia proprio di fronte alle tentazioni della religione, apparentemente vincitrice, di Babilonia. Questa si esprimeva in liturgie solenni, ad esempio nella liturgia della festa di capodanno, in cui veniva celebrata e vissuta liturgicamente la creazione del mondo. Doveva trovare una sua fisionomia di fronte all’Enuma elish, il grande racconto babilonese della creazione, che descrive a modo suo l’origine del mondo.
Vi si dice che il mondo ebbe origine dalla lotta fra potenze contrapposte e che prese la sua forma attuale quando entrò in scena Marduk, il dio della luce, che aveva tagliato in due il corpo del drago originario. Le due parti del corpo sarebbero diventate il cielo e la terra. Il firmamento e la terra sarebbero quindi il corpo lacerato del drago ucciso, mentre dal sangue Marduk [26] avrebbe creato gli uomini. Ci troviamo quindi di fronte a un’immagine inquietante del mondo e dell’uomo: il mondo è propriamente il corpo di un drago; nelle vene dell’uomo scorre sangue di drago. Al fondo del mondo è in agguato una potenza inquietante e nel più profondo dell’uomo si annidano la ribellione, il demoniaco e il male. Si tratta di una visione secondo la quale solo il rappresentante di Marduk, il dittatore, il re di Babilonia, può soggiogare il demoniaco e mettere ordine nel mondo[nota 2].

Tali idee non erano semplici favole: esse riflettono le esperienze inquietanti dell’uomo col mondo e con se stesso. Spesso abbiamo infatti davvero l’impressione che il mondo sia una caverna di draghi e il sangue dell’uomo sangue di drago. Ma di fronte a tutte queste esperienza opprimenti il racconto della Sacra Scrittura dice: non è stato così.
Tutta la storia delle potenze inquietanti si riduce a una mezza frase: «La terra era deserta e disadorna». I termini ebraici corrispondenti echeggiano ancora le espressioni che avevano rappresentato il drago, la potenza demoniaca. Ora esso è solo il nulla, di fronte a cui sta Dio, l’unico potente. [27]
E alla nostra paura di fronte a queste potenze demoniache viene detto: Dio soltanto, la ragione eterna che è l’amore eterno, ha creato il mondo e lo tiene nelle sue mani. Solo su questo sfondo comprendiamo la polemica che si cela dietro il testo biblico, il suo significato drammatico, che consiste nell’eliminare tutti quei miti confusi e nel ricondurre il mondo alla ragione e alla parola di Dio.
Lo potremmo dimostrare passo dopo passo col nostro testo, ad esempio quando il sole e la luna vengono definiti come lampade che Dio appende al cielo per misurare i tempi. Agli uomini di allora doveva apparire un’enorme empietà dichiarare le grandi divinità del sole e della luna due lampade per misurare il tempo. È questo l’ardimento, il realismo della fede, che in polemica con i miti pagani fa brillare la luce della verità, mostra che il mondo non è l’arena dei demoni bensì proviene dalla ragione, dalla ragione di Dio, e poggia sulla parola di Dio.

In tal modo il racconto della creazione si rivela come l’«illuminismo» decisivo della storia, l’esodo dalle paure che avevano attanagliato l’uomo. Significa la consegna del mondo alla ragione, il riconoscimento [28] della sua razionalità e libertà.
Dimostra di essere il vero illuminismo, anche per il fatto che àncora la ragione umana al fondamento originario della ragione creatrice di Dio, per mantenerla così nella verità e nell’amore, senza le quali l’illuminismo diviene sregolato ed alla fine stolto.

Un’altra cosa dobbiamo aggiungere.
Ho detto poco fa che questo popolo sperimenta che cos’è la «creazione» lentamente, in polemica con l’ambiente pagano, in polemica con il proprio cuore. Ciò implica che il racconto classico della creazione non è l’unico racconto di creazione che troviamo nel libro sacro. Subito dopo ne troviamo un altro, composto antecedentemente con altre immagini.
Nei Salmi ne troviamo altri ancora, e dopo di essi il tentativo di chiarire la fede nella creazione continua: nell’incontro con la grecità, la letteratura sapienziale riprende di nuovo questo tema, senza ritenersi legata alle vecchie immagini come quella dei sette giorni etc. Vediamo così come la stessa Bibbia modifichi di continuo le immagini e le adatti alle successive mentalità; essa le trasforma di continuo per testimoniare in maniera sempre nuova l’unica verità, che le è stata veramente co[29]municata dalla parola di Dio, cioè il messaggio che Dio è il creatore.


Nella stessa Bibbia le immagini sono libere, si correggono continuamente e mediante questo lento e faticoso progresso ci fanno capire che sono solo immagini, che rivelano qualcosa di più profondo e grande.





[nota 1] Per questo e per quel che segue, cfr. C. Westermann, Genesis, vol. I, Neukircher-Vluyn 1974, pp. 1-103; per la lettura della Bibbia alla luce dell’unità della storia in essa descritta, cfr. H. Gese, Zur biblischen Theologie. Alt-testamentliche Vorträge, München 1977, pp. 9-30 [34].

[nota 2] Il testo dell’Enuma elish lo si può trovare in C. Schedl, Storia dell’Antico Testamento, Roma 1959, vol. I, pp. 38-42. [35]

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