Volgiamo
ancora una volta il nostro sguardo al lato aperto del Cristo crocifisso,
giacché questo sguardo costituisce il senso intimo del Venerdì santo che vuole
riportare i nostri occhi via da tutte le attrazioni del mondo, dalla fata
Morgana delle sue promesse in vetrina, al vero punto direzionale che unico ci
può garantire il cammino [61] in mezzo al groviglio di viuzze che girano sempre
attorno allo stesso posto.
Giovanni
ha espresso in maniera ancora diversa, rispetto a quella precedentemente
considerata, il pensiero che la chiesa deve la sua origine più profonda al
fianco trafitto di Cristo. Egli accenna al fatto che dalla ferita del fianco
sono usciti sangue ed acqua.
Sangue
ed acqua stanno ad indicare per lui i due sacramenti fondamentali, battesimo ed
eucaristia, che a loro volta costituiscono il contenuto autentico
dell’esser-chiesa della chiesa.
Battesimo
ed eucaristia sono i due modi in cui gli uomini possono essere inseriti nello
spazio vitale di Gesù Cristo. Il battesimo sta a significare
infatti che un uomo diventa cristiano e si pone sotto il nome di Gesù Cristo. E
questo stare sotto un nome significa molto di più che un puro gioco di parole;
ciò che sta a significare può essere visto un po’ attraverso l’evento del
matrimonio e la comunità di nome che si istituisce tra due persone come
espressione dell’unione vicendevole del loro essere, che avviene appunto nel
matrimonio.
Il
battesimo che, come attuazione sacramentale del divenire cristiani, ci unisce
al nome di Cristo, sta a significare esattamente un evento simile al
matrimonio: compenetrazione della nostra esistenza con la sua, inserimento
della nostra vita nella sua, che diventa cosi criterio e spazio del mio essere
umano.
L’Eucaristia
è a sua volta comunione di mensa con il Signore che ci vuole trasformare in lui
per condurci cosi l’uno verso l’altro, giacché tutti mangiamo Io stesso pane.
Non siamo infatti noi ad assumere il corpo del Signore, ma e lui che ci cava,
per [62] così dire fuori da noi stessi e ci inserisce in lui per farci chiesa.
Giovanni
riconduce i due sacramenti alla croce; egli li vede defluire dal fianco aperto
del Signore e considera quindi compiuta la parola del discorso di congedo: io
vado e torno a voi. Proprio mentre me ne vado vengo a voi; anzi la mia
dipartita – la morte sulla croce – è essa stessa il mio ritorno. Fin quando
vivremo il nostro corpo non e soltanto il ponte che ci unisce vicendevolmente,
ma anche la barriera che ci separa, ci rinchiude nell’inaccostabilità del
nostro io dentro alla nostra forma spazio-temporale.
Il
fianco aperto diventa nuovamente il simbolo della nuova apertura che il Signore
viene a costituire mediante la sua morte: ormai la barriera del corpo non lo
lega più, sangue ed acqua scorrono attraverso la storia. In quanto risorto egli
è lo spazio aperto che ci chiama tutti. Il suo ritorno non è soltanto un
avvenimento lontano, alla fine dei tempi, ma è iniziato già nell’ora della sua
morte, a partire dalla quale egli viene sempre nuovamente in mezzo a noi.
Nella
morte del Signore si è compiuto quindi il destino del seme di grano: nel pane
di grano dell’eucaristia noi riceviamo l’inesauribile moltiplicazione di pane
dell’amore di Gesù Cristo, sufficiente a saziare la fame di tutti i tempi e che
proprio in questa maniera vuole assumere anche noi al servizio di questa
moltiplicazione di pani. I due (sic) pani di orzo della nostra vita potranno
apparire inutili, ma il Signore ha bisogno di essi e li esige.
I sacramenti della chiesa sono, come
questa, tutto del seme di grano morente. Riceverli si[63]gnifica per noi donarci a quel movimento da
cui essi provengono.
Si
esige cioè da noi di penetrare in quel perdersi, senza del quale non ci
possiamo ritrovare: «Chi vuole conservare la sua vita la
deve perdere; ma chi la perderà per il mio nome e per il vangelo, la
conserverà»; questa parola del Signore è la formula fondamentale della vita
cristiana.
La fede in ultima analisi non è niente
altro che il dire di sì a questa santa avventura del perdersi, e proprio qui, a
partire dal suo nucleo profondo non è altro che amore autentico.
La
fede cristiana riceve quindi la sua forma determinante dalla croce di Gesù
Cristo e l’apertura del cristiano al mondo, della quale oggi si sente tanto
parlare, non può reperire il proprio modello altrove che nel fianco aperto del
Signore, espressione di quell'amore radicale che solo può redimere.
Dal
corpo trafitto del crocifisso sono usciti sangue ed acqua. Ciò che in primo
luogo
e segno della sua morte, espressione del suo fallimento nell’abisso della
morte, è nello stesso tempo un nuovo inizio: il crocifisso risorgerà e non morrà
più... Dalla profondità della morte si innalza la promessa della
vita eterna. Sulla croce di Gesù Cristo brilla già sempre lo splendore
vittorioso del mattino di Pasqua. Vivere con lui a partire dalla croce
significa quindi sempre vivere anche sotto la promessa della gioia pasquale
[64].
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