OMELIA DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
Spianata Marisabella
Domenica, 29 maggio 2005
Domenica, 29 maggio 2005
...Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: "Amici, avrebbe potuto dire, non preoccupatevi! Ho parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti". Ma no, Gesù non ha fatto ricorso a simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla defezione di molti suoi discepoli...
Carissimi Fratelli e Sorelle,
"Glorifica
il Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio" (Sal. resp.).
L’invito del Salmista, che riecheggia anche nella Sequenza, esprime molto bene
il senso di questa Celebrazione eucaristica: ci
siamo raccolti per lodare e benedire il Signore. E' questa
la ragione che ha spinto la Chiesa italiana a ritrovarsi qui, a Bari, per il
Congresso Eucaristico Nazionale. Anch’io ho voluto unirmi oggi a tutti voi per
celebrare con particolare rilievo la Solennità
del Corpo e del Sangue di Cristo, e così rendere omaggio a Cristo nel
Sacramento del suo amore, e rafforzare al tempo stesso i vincoli di comunione
che mi legano alla Chiesa che è in Italia e ai suoi Pastori. A questo
importante appuntamento ecclesiale avrebbe, come sapete, voluto essere presente
anche il mio venerato e amato Predecessore, il Papa Giovanni
Paolo II. Sentiamo tutti che Egli è vicino a noi e con noi glorifica il
Cristo, buon Pastore, che egli può ormai contemplare direttamente.
Questo
Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha inteso
ripresentare la domenica come "Pasqua settimanale", espressione
dell’identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua
missione. Il tema scelto – "Senza
la domenica non possiamo vivere" -
ci riporta all'anno 304, quando l’imperatore Diocleziano proibì ai cristiani,
sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per
celebrare l’Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene,
una piccola località nell’attuale Tunisia, 49 cristiani furono sorpresi una
domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l’Eucaristia
sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero condotti a Cartagine per
essere interrogati dal Proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la
risposta che un certo Emerito diede al Proconsole che gli chiedeva perché mai
avessero trasgredito l’ordine severo dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non possumus": cioè senza riunirci in assemblea
la domenica per celebrare l’Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le
forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci
torture, questi 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così, con
l’effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li
ricordiamo nella gloria del Cristo risorto.
È un’esperienza, quella dei martiri di Abitene,
sulla quale dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo.
Neppure per noi è facile vivere da cristiani, anche se non ci sono questi
divieti dell’imperatore. Ma da un punto di vista spirituale, il mondo in cui ci
troviamo, segnato spesso dal consumismo sfrenato, dall’indifferenza religiosa,
da un secolarismo chiuso alla trascendenza, può apparire un deserto non
meno aspro di quello "grande
e spaventoso" (Dt 8,15) di cui ci ha parlato la prima
lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio. Al popolo ebreo in difficoltà Dio
in questo deserto venne in aiuto col dono della manna, per fargli capire che "l’uomo non vive soltanto di
pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore" (Dt 8,3). Nel Vangelo di oggi Gesù ci
ha spiegato a quale pane Dio, mediante il dono della manna, voleva preparare il
popolo della Nuova Alleanza. Alludendo all'Eucaristia ha detto: "Questo è il Pane disceso dal
cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia di
questo Pane vivrà in eterno" (Gv 6,58). Il
Figlio di Dio, essendosi fatto carne, poteva diventare Pane, ed essere così
nutrimento del suo popolo, di noi che siamo in cammino in questo mondo, verso
la terra promessa del Cielo.
Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le
fatiche e le stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è
l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita.
Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle
nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi
del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle
in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può
trovare l’energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni
settimana. Un cammino, peraltro, non arbitrario: la strada che Dio ci indica
nella sua Parola va nella direzione iscritta nell'essenza stessa dell’uomo. La Parola di Dio e la ragione vanno
insieme. Seguire la Parola di Dio, andare con Cristo significa per l’uomo
realizzare se stesso; smarrirla equivale a smarrire se stesso.
Il Signore
non ci lascia soli in questo cammino. Egli è con noi; anzi, Egli desidera
condividere la nostra sorte fino ad immedesimarsi con noi. Nel
colloquio che ci ha riferito poc'anzi il Vangelo Egli dice: "Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (Gv 6,56). Come non gioire di una tale promessa? Abbiamo sentito però che, a
quel primo annuncio, la gente, invece di gioire, cominciò a discutere e a
protestare: "Come può
costui darci la sua carne da mangiare?" (Gv 6,52). Per la verità,
quell'atteggiamento s'è ripetuto tante altre volte nel corso della storia. Si direbbe che, in fondo, la gente non voglia
avere Dio così vicino, così alla mano, così partecipe delle sue vicende. La
gente lo vuole grande e, in definitiva anche noi spesso lo vogliamo un po’
lontano da noi. Si sollevano allora questioni che vogliono dimostrare, alla
fine, che una simile vicinanza sarebbe impossibile. Ma restano
in tutta la loro chiarezza le parole che Cristo pronunciò in quella
circostanza: "In verità,
in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete
il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53). In verità abbiamo bisogno di un Dio
vicino. Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su
parole rassicuranti: "Amici, avrebbe potuto dire, non preoccupatevi! Ho
parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo
una profonda comunione di sentimenti". Ma no, Gesù non ha fatto ricorso a
simili addolcimenti. Ha mantenuto
ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla
defezione di molti suoi discepoli (cfr Gv 6,66). Anzi, Egli si è dimostrato
disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di
non mutare in nulla la concretezza del suo discorso: "Forse anche voi volete andarvene?" (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio
Pietro ha dato una risposta che anche noi, oggi, con piena consapevolezza
facciamo nostra: "Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Gv 6,68). Abbiamo bisogno di un Dio vicino, di un
Dio che si dà nelle nostre mani e che ci ama.
Nell'Eucaristia
Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. E' una
presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per assimilarci a sé. Cristo
ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola
con Lui. In questo
modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli e la comunione con il
Signore è sempre anche comunione con le sorelle e con i fratelli. E vediamo la
bellezza di questa comunione che la Santa Eucaristia ci dona.
Qui
tocchiamo un’ulteriore dimensione dell’Eucaristia, che vorrei ancora
raccogliere prima di concludere. Il Cristo che
incontriamo nel Sacramento è lo stesso qui a Bari come a Roma, qui in Europa
come in America, in Africa, in Asia, in Oceania. È
l’unico e medesimo Cristo che è presente nel Pane eucaristico di ogni luogo
della terra. Questo significa che noi possiamo incontrarlo solo insieme con
tutti gli altri. Possiamo riceverlo solo nell’unità. Non è forse
questo che ci ha detto l’apostolo Paolo nella lettura ascoltata poc’anzi?
Scrivendo ai Corinzi egli afferma: "Poiché
c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti
partecipiamo dell'unico pane" (1
Cor 10,17). La conseguenza è
chiara: non possiamo comunicare con il Signore, se non comunichiamo tra noi. Se
vogliamo presentarci a Lui, dobbiamo anche muoverci per andare gli uni incontro
agli altri. Per questo bisogna imparare la grande lezione del perdono: non lasciar
lavorare nell’animo il tarlo del risentimento, ma aprire il cuore alla
magnanimità dell’ascolto dell’altro, aprire il cuore alla comprensione nei suoi
confronti, all’eventuale accettazione delle sue scuse, alla generosa offerta
delle proprie.
L’Eucaristia – ripetiamolo – è sacramento
dell’unità. Ma purtroppo i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento
dell’unità. Tanto più dobbiamo, sostenuti dall’Eucaristia, sentirci stimolati
a tendere con tutte le forze a quella piena unità che Cristo ha ardentemente
auspicato nel Cenacolo. Proprio qui, a Bari, felice Bari, città che custodisce
le ossa di San Nicola, terra di incontro e di dialogo con i fratelli cristiani
dell’Oriente, vorrei ribadire la mia
volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le
energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di
Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di
buoni sentimenti. Occorrono
gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando
ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso
sulla via dell’ecumenismo (cfr. Messaggio
alla Chiesa universale, Cappella Sistina, 20 aprile 2005: l’Osservatore Romano 21 aprile 2005, pag. 8). Chiedo a
voi tutti di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale,
che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare
l’unità.
Cari amici
venuti a Bari da varie parti d’Italia per celebrare questo Congresso
eucaristico, noi dobbiamo
riscoprire la gioia della domenica cristiana. Dobbiamo riscoprire con fierezza
il privilegio di partecipare all’Eucaristia, che è il sacramento del mondo
rinnovato. La risurrezione di Cristo
avvenne il primo giorno della settimana, che nella Scrittura è il giorno della
creazione del mondo. Proprio per questo la domenica era considerata dalla primitiva
comunità cristiana come il giorno in cui ha avuto inizio il mondo nuovo, quello
in cui, con la vittoria di Cristo sulla morte, è iniziata la nuova creazione.
Raccogliendosi intorno alla mensa eucaristica, la comunità veniva modellandosi
come nuovo popolo di Dio. Sant’Ignazio di Antiochia qualificava i cristiani
come "coloro che sono giunti alla nuova speranza", e li presentava
come persone "viventi secondo la domenica" ("iuxta dominicam
viventes"). In tale prospettiva il Vescovo antiocheno si domandava:
"Come potremmo vivere senza di Lui, che anche i profeti hanno
atteso?" (Ep. ad Magnesios, 9,1-2).
"Come
potremmo vivere senza di Lui?". Sentiamo echeggiare in queste parole di
Sant’Ignazio l’affermazione dei martiri di Abitene: "Sine dominico non
possumus". Proprio di qui sgorga la nostra preghiera: che anche noi cristiani di oggi ritroviamo
la consapevolezza della decisiva importanza della Celebrazione domenicale e
sappiamo trarre dalla partecipazione all’Eucaristia lo slancio necessario per
un nuovo impegno nell’annuncio al mondo di Cristo "nostra pace" (Ef2,14). Amen!
Nessun commento:
Posta un commento