La distinzione tra forma e contenuto del racconto della
creazione
Una prima risposta venne elaborata già molto
tempo fa, quando andava a poco a poco cristallizzandosi l’idea scientifica del
mondo; molti di voi ne hanno probabilmente sentito parlare quando frequentavano
le lezioni di religione a scuola. Essa dice: la Bibbia non è e non vuole essere
un manuale di scienze naturali. È un libro religioso, per cui non possiamo
attingere da essa delle nozioni scientifiche né sapere come il mondo ha avuto
scientificamente origine. Immagini, che servono a far capire all’uomo verità
autentica e profonda.
Bisogna
distinguere tra forma e contenuto. La forma fu scelta tra gli elementi che in
quel tempo risultavano comprensibili, tra le immagini in cui gli uomini di
allora vivevano, pensavano e parlavano, tramite le quali riuscivano a capire
realtà autentiche superiori.
Solo il contenuto autentico, che traspare
attraverso le immagini, è l’elemento permanente, quello che la Bibbia intende
affermare. [17]
Secondo
questa concezione la Bibbia non intende raccontarci come sono sorte a poco a
poco le specie vegetali, come il sole, la luna e le stelle si sono formati,
bensì ci dice solamente: Dio ha creato il mondo. Il mondo non è un affastellamento di forze tra loro
contrastanti, come pensavano molto uomini di allora, non è la sede delle
potenze demoniache da cui l’uomo deve difendersi. Il sole e la luna non sono
divinità che regnano sopra di lui, e questo cielo disteso sul nostro capo non è
popolato di divinità inquietanti e tra loro nemiche; tutto questo proviene
piuttosto da un’unica potenza, dalla
ragione eterna di Dio, che nella parola divenne forza creatrice.
Tutto questo proviene dalla parola di Dio, da
quella medesima parola che noi incontriamo nell’evento di fede. E così non solo venne tolta agli uomini,
che appresero che il mondo è dalla parola, l’angoscio di fronte agli dèi e ai
demoni; ma il mondo stesso divenne libero grazie alla ragione, che si eleva a
Dio, e l’uomo fu reso capace di incontrare senza paura Dio. L’uomo
sperimentò in queste parole il vero «illuminismo», che spazza via gli dèi e le
potenze nascoste e gli fa riconosce[18]re che solo una potenza «è al fondo di
tutto e noi nelle sue mani»: il Dio vivo. L’uomo sperimento, inoltre, che
questa medesima potenza, che ha creato la terra e le stelle, è quella stessa
che sorregge tutto l’universo, quella che incontriamo nella parola della Sacra Scrittura.
In tale parola noi tocchiamo la potenza originario del mondo, la potenza vera
che sta al di sopra di tutte le potenze[nota 1].
Penso che questa spiegazione sia
giusta. Però non è ancora sufficiente.
Infatti, quando ci viene detto
che dobbiamo distinguere tra le immagini e il contenuto che le immagini
intendono esprimere, possiamo a nostra volta domandare: Perché questo non fu
detto nei tempi passati? È infatti chiaro che una volta si insegnava
diversamente, altrimenti non ci sarebbe stato il processo a Galileo Galilei.
Nasce così
il sospetto che in fondo questa distinzione sia solo un espediente della Chiesa
e dei teologi, che giunti alla stretta con il loro latino non vogliono
arrendersi ed escogitano così un artificio dietro cui trincerarsi. Del resto si ha l’impressione generale che negli ultimi quattro
secoli la storia del cristianesimo sia stata una continua battaglia di
ripiegamento, nel corso della quale sono state [19] dismesse, una dopo l’altra, molto affermazioni della fede
e della teologia. Naturalmente si è trovato ogni volta qualche
sotterfugio per potersi ritirare. Ma è quasi impossibile sottrarsi al timore
che a poco a poco veniamo sospinti nel vuoto e che arriverà il momento in cui
non avremo più nulla da difendere e nulla dietro cui trincerarci; il momento in
cui tutto il terreno della Scrittura e della fede sarà occupato da una ragione
che non lascerà più sussistere alcunché di tutto questo.
A ciò va unito un altro disagio: se i teologi, o anche la Chiesa, possono in
tal modo spostare il confine tra immagine e asserzione, il confine fra quanto
appartiene al passato e quanto rimane valido, perché non potranno farlo anche
altrove, ad esempio per i miracoli di Gesù? E se già lo fanno qui, perché non
al centro, per la croce, per la risurrezione del Signore?
Una
operazione di
questo tipo, che
intende difendere la fede dicendo che dietro quello che c’è qui, e che noi non
possiamo più difendere, c’è qualcosa di più autentico, ebbene è un’operazione
che si trasforma spesso in un autentico attacco alla fede, perché accantona
subito la domanda sulla correttezza degli interpreti, trascura
subito la doman[20]da se esiste veramente qualcosa di solido.
Molti,
di fronte a simili procedimenti teologici, sono rimasti con l’impressione che la fede della Chiesa sia
come una medusa, che non si sa bene da che parte afferrare e in cui non si
riesce a individuare un nucleo sul quale basarsi. Il
malessere di un cristianesimo che non ha più il coraggio di essere se stesso, e
che di conseguenza non può irradiare fiducia ed entusiasmo, deriva da sommesse
interpretazioni della parola, oggi di moda, le quali somigliano più a
scappatoie che a spiegazioni. Il cristianesimo
fa piuttosto l’impressione di una associazione che continua a parlare benché
non abbia più nulla da dire, perché i suoi discorsi artificiosi non trasmettono
convinzione ma cercano solo di mascherare la sconfitta.
[1] Una buona
esposizione dell’esegesi di questo racconto della Genesi la si trova in M.
Schmaus, Dogmatica cattolica,
Marietti, Torino 1959, vol. I, pp. 472-482 [34].
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