La crisi della fede
D. Signor Cardinale, il
bisogno della fede cristiana è cresciuto nella maggior parte dei continenti
come mai prima d'ora. Solo negli ultimi 50 anni il numero dei cattolici nel
mondo è raddoppiato, fino a raggiungere la cifra di un miliardo di persone.
Tuttavia, in molti Paesi del cosiddetto Vecchio Mondo ci scontriamo con una
crescente secolarizzazione. Sembra che larghi strati delle società europee si
vogliano sganciare del tutto dalla loro eredità. Gli avversari della fede
parlano di una «maledizione del Cristianesimo», da cui ci si deve finalmente
liberare.
Nel nostro primo libro,
Il sale della terra, abbiamo affrontato questa tematica approfonditamente.
Molte persone sono pronte a seguire senza riflettere questi stereotipi
anticristiani o antiecclesiastici. La ragione di tutto questo sta spesso nel
fatto che abbiamo smarrito i contenuti e i segni della fede. Non sappiamo più
cosa significhino. La Chiesa non ha più nulla da dire ?
R. Viviamo indubbiamente in un periodo storico in
cui la tentazione di fare a meno di Dio si è fatta molto forte. La nostra cultura
tecnologica e del benessere poggia sulla convinzione che in sostanza tutto è
fattibile. Naturalmente, se i presupposti sono questi, la vita si esaurisce in
ciò che può essere fatto, prodotto, dimostrato da noi. La questione
di Dio esce di scena. La generalizzazione di questo atteggiamento – e la
tentazione è molto forte perché la ricerca di Dio presuppone effettiva[22]mente
che ci si sposti su un altro piano, una volta forse più facilmente accessibile –
induce ad affermare con naturalezza: ciò che non facciamo noi stessi nemmeno
esiste.
R.
Certamente, e il calcolo che guida questi tentativi è di cercare quello che si
suppone l’umanità prediliga. D’altro lato abbiamo
anche tentativi di fare della realizzazione interiore dell’uomo, della
felicità, un prodotto costruibile. Oppure c'è la via di fuga in forme
religiose che apparentemente fanno a meno della fede in offerte esoteriche che
poi spesso si riducono a tecniche per il raggiungimento della felicità.
Tutti
questi modi di mantenere un certo ordine nel mondo e di risolvere l’enigma dell’esistenza
sono coerenti con il modello esistenziale del presente. La parola della Chiesa pare invece provenire
dal passato, sia che intendiamo per passato il radicamento di questa parola in
un altra epoca storica alla quale noi non apparteniamo più, sia che ci
riferiamo al suo nesso con una forma di vita che non e più quella del presente.
Di
sicuro la Chiesa non ha ancora effettuato fino in fondo il balzo nel presente. Il grande compito che
ci attende è quello di riempire di esperienza di vita le vecchie, grandi parole
della tradizione che sono ancora davvero valide, cosi da renderle comprensibili. Abbiamo ancora molto da fare da questo punto di vista.
D. Un'immagine di Dio di
derivazione esoterica ci trasmette l'idea di un Dio completamente diverso, che
nei suoi nuovi messaggi prende sempre più le distanze dalle dottrine ebraiche e
cristiane. Si arriva a dire che non i rabbini o i sacerdoti, e nemmeno la
stessa Bibbia, sarebbero la fonte dei suoi messaggi: gli uomini dovrebbero
piuttosto lasciarsi guidare da quello che sentono. Dovrebbero liberarsi dalle
costrizioni di queste stupide religioni tramandate e delle loro caste sacerdotali
assetate di potere e ritornare integri e felici come erano [23] stati pensati fin dalle origini. Molte di queste affermazioni suonano
molto promettenti.
R.
Tutto questo corrisponde esattamente al nostro attuale bisogno di religione, e
anche al nostro bisogno di semplificazione. In questo ha in sé qualcosa di
illuminante e di promettente. Ma poi bisogna naturalmente anche chiedersi chi o
che cosa legittimi questo messaggio; la sua apparente plausibilità lo rende per
questo anche legittimo? La plausibilità è
un criterio sufficiente a rendere accettabile un messaggio su Dio? O non può
essere proprio la plausibilità una seduzione che ci lusinga? Ci indica
certamente la strada più semplice ma ci ostacola anche nella ricerca della
realtà.
Infine
noi facciamo così dei nostri sentimenti
il parametro con cui misurare chi è Dio e come dovremmo vivere. Ma i sentimenti
sono instabili e allora notiamo ben presto da soli che stiamo costruendo su un
terreno sdrucciolevole. Per quanto queste idee possano apparire dapprima
illuminanti, io in esse mi imbatto soltanto in elaborazioni umane, che in
ultima analisi rimangono dubbie. Ma l’essenza della fede sta esattamente in questo: in essa
non mi confronto con delle elaborazioni, quello che mi viene incontro è più
grande di qualsiasi cosa che noi esseri umani possiamo concepire.
D. Obiezione: questo lo
dice la Chiesa!
R.
È dimostrato dalla storia che ne è scaturita. Nella storia Dio si è sottoposto
a verifica e continuerà a farlo. Penso che nel corso di questo colloquio
torneremo ad approfondire l’argomento.
In
ultima analisi, però, non è sufficiente per l’uomo sapere che Dio ci ha
comunicato questo o quello o che ce lo possiamo immaginare in un modo piuttosto
che in un altro. Soltanto se ha fatto
o se è qualcosa per noi, allora si verifica ciò di cui abbiamo bisogno e su cui
può reggersi la nostra esistenza.
Dobbiamo
riconoscere che non ci sono solo parole che parlano di Dio, c’è anche una
realtà di Dio.
Che non solo delle persone hanno
immaginato qualcosa, ma che qualcosa è acca[24]duto, qualcosa di identificabile con la Passione. Questa realtà è più
grande di qualsiasi parola, anche se difficilmente attingibile.
D. Per molti non solo
non è credibile, ma anche segno di presunzione, un'enorme provocazione, credere
che un singolo individuo, giustiziato attorno al 30 in Palestina, sia l’Unto e
l’Eletto to di Dio, il «Cristo», appunto. Che una singola persona sia il centro
della storia.
Ci sono in Asia
centinaia di teologi che affermano che Dio è troppo grande e onnicomprensivo
per potersi incarnare in un singolo individuo. E in effetti non si immiserisce
la fede se la salvezza del mondo si focalizza attorno a un unico?
R.
Questa esperienza religiosa in Asia da un lato ritiene Dio incommensurabile e
dall’altro le nostre capacità intellettive così limitate da poter rappresentare
Dio soltanto in una molteplicità di riflessi. Cristo potrebbe allora essere un
simbolo privilegiato di Dio ma pur sempre un riflesso, incapace cogliere la
totalità.
Apparentemente questa
concezione è espressione dell’umiltà dell’uomo nei confronti di Dio. Si ritiene
persino impossibile che Dio abbia contratto se stesso fino a incarnarsi in un singolo
uomo. E
partendo da un punto di vista umano non potremmo forse attenderci altro che di
poter vedere di Dio soltanto una scintilla, un piccolo frammento.
D. Non suona
irragionevole.
R.
Sì. Ragionevolmente
si dovrebbe infatti dire che Dio e troppo grande per comprimere se stesso nella
limitatezza di un essere umano. Dio è troppo grande perché un’idea o una
scrittura possano abbracciare la sua parola; può solo rispecchiarsi
in molteplici esperienze anche contraddittorie. D’altro
canto l’umiltà si trasformerebbe in presunzione se noi contestassimo a Dio la
possibilità che lui disponga della liberta e della potenza dell’amore per farsi
così piccolo.
La fede
cristiana ci offre la consolazione che Dio è talmente [25] grande da potersi fare piccolo. E questa è per me davvero
l'inaspettata e non preventivabile grandezza di Dio, il fatto che lui abbia la
possibilità di piegarsi sulla sua creazione. Che
davvero si incarni in un uomo, che non si travesta più con le sue spoglie fino
a deporle di nuovo e a indossare un altro abito, ma che si faccia davvero
quell’uomo. Proprio in questo vediamo la vera
infinità di Dio perché proprio per questo è più potente, inconcepibile e
insieme salvifico di qualsiasi altro Dio.
In
caso contrario dovremmo convivere con una quantità di non verità. I
contraddittori frammenti esistenti ci propongono, nel Buddismo come nell’Induismo,
la soluzione della mistica negativa. Ma
allora Dio si trasforma davvero nella negazione dell’esistente, e non ha
nemmeno, in ultima analisi, più nulla da dire a questo mondo di positivo e di
costruttivo.
Al contrario, questo è un Dio che ha la forza di realizzare amore in modo
tale da essere se stesso in un uomo, da essere presente e da offrirsi a noi
perché lo conosciamo, da stabilire con noi un’esistenza comunitaria, proprio ciò
di cui abbiamo bisogno per non dover convivere fino alla fine con frammenti e
mezze verità.
Questo
non significa che non possiamo imparare di più dalle altre religioni. O che il
canone della fede cristiana sia così cementato che non possiamo andare oltre. L’avventura della fede cristiana è sempre
nuova, e la sua incommensurabilità si dischiude proprio nel momento in cui
riconosciamo a Dio queste possibilità.
D. La fede è sempre
presente in linea di principio nell’uomo?
R.
Per quanto, grazie ai ritrovamenti archeologici, siamo in grado di ricostruire
della storia dell’umanità fin dai suoi primi albori, possiamo
constatare che l’idea di Dio c’è sempre stata. I marxisti avevano previsto
la fine della religione. Con la fine dell’oppressione, la medicina
rappresentata da Dio non avrà più ragione d’essere, si diceva. Ma anche loro hanno dovuto riconoscere che
il sentimento religioso non si è mai esaurito perché è davvero radicato
nell’uomo. [26]
Questo sensore
interno non funziona comunque con l’automatismo di un apparecchio tecnico, ma è
qualcosa di vivo che può crescere con l'uomo o anche essere anestetizzato e spegnersi
quasi del tutto.
Se esercitato interiormente, questo sensore si affina sempre più, diventa più
vitale e reattivo, in caso contrario si ottunde e viene per così dire
narcotizzato. E, ciò nonostante, persiste in qualche modo anche in chi non
crede un interrogativo sulla presenza di un qualcosa che va oltre la nostra
finitezza. Senza quest’organo interiore la storia dell'umanità non sarebbe
nemmeno comprensibile.
D. Dall'altro lato ci
sono intere biblioteche colme di libri e potenti ideologie che tentano di
confutare questa fede. Anche quella fede che nega la fede sembra avere
motivazioni di principio e persino tendenze missionarie. I più grandi esperimenti umani cui la storia abbia assistito fino a
questo momento, il nazionalsocialismo e il comunismo, erano volti a ridurre ad
assurdo la fede in Dio per sradicarla dal cuore degli uomini. E non sarà
certo l'ultimo tentativo.
R.
Perciò la fede in Dio non è un sapere
assimilabile come quello chimico o matematico, ma rimane fede.
Questo significa che ha senz’altro una
struttura razionale, sulla quale ritorneremo più avanti. Non presuppone la
compromissione con qualcosa di oscuro. Mi dà discernimento. E non mancano i motivi
ragionevoli per legarsi ad essa. Ma non
è riducibile a puro sapere.
Poiché la
fede rivendica a sé l’intera esistenza, volontà, amore, la capacità di
lasciarsi andare, richiede la facoltà di andare oltre la mera conoscenza, la
mera dimostrabilità. E proprio perché le cose
stanno in questi termini, posso sempre allontanarmi dalla fede e trovare
motivazioni che paiono confutarla.
Come
Lei sa, ci sono diversi livelli di controargomentazioni. Basti guardare l’immenso
dolore che opprime il mondo. Questo da solo pare confutare l’esistenza di Dio.
O prendiamo la piccolezza, l’innapariscenza di Dio. Per colui cui si sono [27] dischiusi
gli occhi della fede, proprio in questo sta la grandezza di Dio, ma per colui che
non ha ancora saputo o voluto fare il salto ciò rende Dio in qualche modo
confutabile. Ma si può anche dissolvere la totalità in dettagli. Si possono
scomporre le Sacre Scritture, il Nuovo Testamento, in modo che rimangano solo
brandelli e che successivamente qualche dotto studioso possa dire che la
Risurrezione è un’invenzione posticcia, che tutto è stato aggiunto a posteriori
e che niente tiene.
Tutto
questo è possibile. Anche perché sia la
storia che la fede sono qualcosa di umano. Da questo punto di vista le dispute
sulla fede non avranno mai termine. Questa controversia è anche la lotta
dell’uomo con se stesso e con Dio che proseguirà fino all’alba della fine della
storia.
D. La società moderna
dubita che possa esistere un'unica verità. Questo si ripercuote anche sulla
Chiesa che insiste imperterrita su questo concetto. Lei ha detto una volta che
l’attuale profonda crisi che il Cristianesimo attraversa è dovuta
essenzialmente all’esitazione con cui rivendica la verità del messaggio di cui
e portatore. Perché?
R. Perché nessuno ha più il coraggio di dire che ciò che dice la
fede è verità. Si teme di dimostrarsi intolleranti rispetto alle altre
religioni o visioni del mondo. E i cristiani si rinsaldano a vicenda nel loro
timore di una pretesa di verità troppo elevata.
Da
un lato questo è in qualche modo salutare. Perché, se con troppa rapidità e
superficialità si difendono come verità le istanze di cui siamo portatori e ci
si accomoda con troppa tranquillità e rilassatezza su questa pretesa verità,
non c’è solo il rischio di diventare autoritari, ma anche quello di etichettare
troppo facilmente come verità qualcosa che è solo provvisorio e secondario.
La cautela con cui dobbiamo rivendicare la verità
è del tutto opportuna. Non ci deve però indurre a rinunciare completamente e in
maniera generalizzata a questa istanza. Perché allora finiamo per brancolare nel buio
della molteplicità dei modelli tradizionali. [28]
D. Comunque i confini si
sono fatti davvero più indistinti. Molti sognano una specie di religione sincretistica,
composta comunque di ingredienti selezionati e particolarmente attraenti.
Avanza sempre più una distinzione tra religione «buona» e religione «cattiva».
R. È
interessante che il concetto di tradizione abbia sostituito ampiamente il
concetto di religione e di confessione – e quindi anche quello di verità.
Le singole religioni vengono viste come tradizioni. Sono considerate «venerabili»
e «belle», e si dice che ognuno deve rispettare la tradizione nel cui alveo è
cresciuto, e che tutti debbono rispettarsi a vicenda.
Ma, se
tutto quello che abbiamo sono tradizioni, entra in crisi la dimensione della
verità. E prima o poi finiremo per chiederci perché rispettare ancora la
tradizione. Ed ecco fondata la ribellione contro la tradizione.
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