2.
Libertà individuale e valori collettivi
Ecco
la domanda che Sacharov ci pone oggi: come può il mondo libero adempiere alla
propria responsabilità morale?
La libertà conserva la pro[12]pria dignità solo se
rimane riferita al proprio fondamento morale ed al proprio compito morale; se
il suo unico contenuto fosse il soddisfacimento dei bisogni, non sarebbe
libertà umana, ma rimarrebbe nella sfera animale. La libertà individuale priva di contenuto annulla se stessa, perché il
singolo può rimanere libero solo all’interno di un ordine delle libertà: è
necessario un contenuto comune, che potremmo definire la garanzia dei diritti
umani.
In
altre parole: il concetto di libertà chiede per sua
natura di essere integrato da altri due concetti: il diritto ed il bene.
Potremmo dire che la libertà include la facoltà della coscienza di riconoscere
i valori fondamentali dell’umanità, quelli che riguardano tutti.
A
questo punto dobbiamo sviluppare il pensiero di Sacharov per trasporlo
appropriatamente nella situazione presente. Pur essendo grato al mondo libero
per l’impegno a favore suo e di altri perseguitati, Sacharov ha dovuto
sperimentare drammaticamente il ripetuto fallimento dell’occidente in molti
avvenimenti politici ed in molti destini personali.
Non
considerava suo compito analizzare i motivi profondi di questi fallimenti, però
ha visto
chiaramente che la libertà
è spesso intesa in modo egoistico e superficiale [nota 1]. Non la
si può volere solo per se stessi: essa è indivisibile, e dev’essere sempre
vista come compito dell’intera umanità. Ciò significa che [13] non si può averla
senza sacrifici e rinunce. Occorre preoccuparsi che la morale sia
intesa come un vincolo pubblico e collettivo, affinché possa ricevere (poiché
di per sé non ne ha) il potere che davvero serve all’uomo. La libertà richiede che i governi e tutti coloro che hanno delle
responsabilità pubbliche si inchinino a qualcosa che è per natura disarmato e
non può esercitare nessuna costrizione.
Qui
sta il pericolo
per le democrazie moderne, il pericolo che dobbiamo affrontare nello
spirito di Sacharov; perché è difficile vedere
come la democrazia, che si basa sul principio di maggioranza, possa far
rispettare i valori non sostenuti da una convinzione maggioritaria senza
introdurre un dogmatismo estraneo alla propria natura.
Rorty
ritiene che una ragione orientata alla maggioranza includa sempre alcune idee
intuitive come ad esempio il rifiuto della schiavitù. Nel XVII secolo P. Bayle espresse opinioni ancora più ottimistiche:
alla fine delle sanguinose guerre in cui le grandi controversie religiose
avevano gettato l’Europa, egli riteneva
che la metafisica non toccasse la vita politica: bastava la verità pratica. Vi
era un’unica morale universale e necessaria, una vera e chiara luce che tutti
gli uomini potevano vedere purché aprissero gli occhi [nota 2].
Le
idee di Bayle rispecchiamo la situazione stori[14]co-spirituale del suo secolo:
l’unità nella fede era disgregata, le verità della sfera metafisica non erano
più tutelate come patrimonio comune; ma le basilari convinzioni morali con le quali
il cristianesimo aveva formato le anime erano ancora certezza indiscusse, che
apparentemente potevano essere percepite nella loro pura evidenza soltanto
dalla ragione.
Gli sviluppi di
questo secolo ci hanno insegnato che non esiste questa evidenza come fondamento
perfetto ed affidabile di ogni libertà. La ragione può perdere molto facilmente di vista i valori
essenziali: anche l’intuizione in cui confida Rorty ha i suoi limiti.
L’idea
che la schiavitù sia qualcosa da rifiutare, ad esempio, non esistette per
secoli, e quanto sia facile allontanarsene di nuovo lo mostra con sufficiente
chiarezza la storia degli stati totalitari del nostro secolo. La libertà può distruggersi, può stancarsi di se stessa,
quando è divenuta vuota. Nel nostro secolo abbiamo sperimentato anche questo:
che una decisione della maggioranza può servire ad abolire la libertà.
All’origine
dell’ingenuità e del cinismo dell’occidente che preoccupavano Sacharov sta una libertà vuota e priva di direzione. Il rigido positivismo
espresso nell’assolutizzazione del principio di maggioranza, ad un certo punto,
si trasforma inevitabilmente in nichilismo: per difendere la libertà
ed i diritti umani dobbiamo combattere questo pericolo. [15]
Nel
1938 il politico di Danzica Hermann Rauschning diagnosticò il nazionalsocialismo come una rivoluzione del nichilismo: «Non vi
è stato e non vi è alcuno scopo che il nazionalsocialismo non sarebbe pronto a
sacrificare o ad adottare in qualunque momento, se servisse al movimento» [nota 3]. Il nazionalsocialismo era soltanto uno strumento del nichilismo, che a
sua volta sarebbe stato pronto in qualunque momento a gettarlo via per
sostituirlo con qualcos’altro.
Mi
sembra che anche i fatti che osserviamo con una certa preoccupazione
nell’odierna Germania non siano stati spiegati a sufficienza dall’etichetta
“xenofobia”. Anch’essi, alla fin fine, sono originati da un
nichilismo che deriva dallo svuotamento delle anime: sia nella dittatura
nazionalsocialista che in quella comunista non vi erano azioni che fossero considerate
malvagie in se stesse, sempre e comunque immorali; ciò che serviva agli scopi
del movimento o del partito era buono, per quanto inumano fosse.
Così,
già da decenni, si
è verificato un calpestamento del senso morale destinato a diventare
completo nichilismo nel momento in cui non rimaneva più alcuno degli
scopi precedenti, e la libertà era solo più la possibilità di fare tutto ciò che
può dare ad una vita svuotata un attimo di tensione e di interesse.
[16]
[nota 1] Cfr. ad es. Mein Land und die Welt, cit., pp. 21 e
s., p. 89.
[nota 2] Cfr. V.
Possenti, Le società liberali al
bivio. Lineamenti di filosofia della società, Genova 1991, p. 293; cfr,
anche il terzo saggio di questo libro, pp. 67 ss.
[nota 3] H.
Rauschning, Die Revolution des
Nihilismus, Zurigo 1938, riedita (abbreviata) da Golo Mann, Zurigo 1964. Cfr.
J. Ratzinger, Kirche, Ökumene und Politik, Einsiedeln 1987, pp. 153 s.
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