Il diritto alla vita e l’Europa
III.
Decisivo lo sguardo
Ma oltre al problema giuridico, a un
livello più fondamentale, sta il problema morale, che passa attraverso il cuore di ciascuno di noi, in quella
interiorità recondita dove la libertà si decide per il bene o per il male. Dicevo poco fa che, nella
decisione per l’aborto, vi è necessariamente un momento in cui si accetta di
diventare ciechi di fronte al diritto alla vita del piccolo appena concepito.
Il dramma morale, la decisione per il bene o per il male, comincia
dallo sguardo, dalla scelta di guarda il volto dell’altro o meno. Perché oggi si rifiuta quasi
unanimemente l’infanticidio, mentre si è diventati quasi insensibili
all’aborto? Forse solo perché nell’aborto non si vede il volto di [81] chi
verrà condannato a non vedere mai la luce. Molti psicologi hanno rivelato che
nelle donne intenzionate ad abortire vengono represse le fantasie spontanee di
una mamma in attesa, che dà un nome al figlio, che se ne immagina il volto e il
futuro… E proprio queste fantasia rimosse e represse ritornano poi spesso come
sensi si colpa irrisolti a tormentare la coscienza.
Il volto dell’altro è carico di un appello alla mia libertà, perché lo
accolga e ne prenda cura, perché affermi il suo valore in se stesso e non nella
misura in cui viene a coincidere con un mio interesse. La verità morale, come verità del valore
unico e irripetibile della persona, fatta a immagine di Dio, è una verità
carica di esigenza per la mia libertà. Decidere di guardarla in faccia è
decidere di convertirmi, di lasciarmi interpellare, di uscire da me e di fare
spazio all’altro.
Pertanto [82] anche l’evidenza del valore morale dipende in buona parte da una
segreta decisione di libertà che accetta di vedere e perciò di essere provocata
e di cambiare.
Nella
sua prefazione al noto libro del biologo francese Jascques Testart, L’œuf transparent, il filosofo Michel
Serres (apparentemente un non credente), affrontando la questione del rispetto
dovuto all’embrione umano, si pone la domanda: «Chi è l’uomo?». Egli rivela che
non vi sono risposte univoche e veramente soddisfacenti nella filosofia e nella
cultura. Tuttavia egli nota che noi, pur non avendo una definizione teorica
precisa dell’uomo, comunque nell’esperienza della vita concreta chi sia l’uomo
lo sappiamo bene. Lo sappiamo soprattutto quando ci troviamo di fronte a chi
soffre, a chi è vittima del potere, a chi è indifeso e condannato a morte: «Ecce homo!». Sì, questo non creden[83]te
riporta proprio la frase di Pilato, che aveva tutto il potere davanti a Gesù,
spogliato, flagellato, coronato di spine e orami condannato alla croce: Chi è
l’uomo? È proprio il più debole e indifeso, colui che non ha né potere né voce
per difendersi, colui al quale possiamo passare accanto nella vita facendo
finta di non vederlo. Colui al quale possiamo chiudere il nostro cuore e dire
che non è mai esistito.
E così,
spontaneamente, ritorna alla memoria un'altra pagina evangelica, che voleva
rispondere a una simile richiesta di definizione: «Chi è il mio prossimo?».
Sappiamo che per riconoscere chi è il nostro
prossimo occorre accettare di farsi prossimo, cioè fermarsi, scendere da
cavallo, avvicinarsi a colui che ha bisogno, prendersi cura di lui. «Ciò
che avrete fatto al più piccolo di que[84]sti miei fratelli lo avrete fatto a
me» (Mt 25, 40).
Vorrei segnalarvi un brano del grande pensatore italo-tedesco, Romano
Guardini: «L’uomo non è intangibile per il fatto che vive. Di tale diritto
sarebbe titolare anche un animale, in quanto esso pure si trova a vivere […].
La vita dell’uomo rimane inviolabile poiché egli
è una persona […].
L’essere persona non è un dato di natura psicologica, ma esistenziale:
fondamentalmente non dipende né dall’età, né dalla condizione psicologica, né
dai doni di natura di cui il soggetto è provvisto […]. La personalità può rimanere sotto la soglia della coscienza – come
quando si dorme – tuttavia essa permane e ad essa bisogna fare riferimento. La personalità può essere non ancora
sviluppata come quando si è bambini, tuttavia fin dall’inizio essa pretende
il rispetto morale. È addirittu[85]ra possibile che la personalità in generale
non emerga negli atti, in quanto mancano i presupposti psico-fisici, come
accade nei malati di mente […]. E infine
la personalità può anche rimanere nascosta come nell’embrione; ma essa è data
fin dall’inizio in lui e ha i suoi diritti. È questa personalità a dare agli uomini la loro
dignità. Essa li distingue dalle cose e li rende soggetti […]. Si tratta
una cosa come se fosse una cosa quando la si possiede, la si usa e alla fine la
si distrugge o – detto per gli esseri umani – la si uccide. Il divieto di uccidere l’essere umano
esprime nella forma più acuta il divieto di trattarlo come se fosse una cosa»
(da I diritti del nascituro,
pubblicato in Studi cattolici,
maggio/giugno 1974).
È così
anche chiaro che lo sguardo che liberamente accetto
di volgere all’altro decide della mia stessa dignità. Così come
posso [86] accettare di ridurre l’altro a una cosa, da usare e distruggere,
allo stesso modo devo accettare le
conseguenze di questo mio modo di guardare, conseguenze che si ripercuotono su
di me. «Con la misura con cui misurate, sarete misurati».
Lo sguardo che porto sull’altro decide della mia umanità. Posso
trattarlo semplicemente come cosa nella dimenticanza della sua e della mia dignità, del suo e mio essere a
immagine e somiglianza di Dio. L’altro è custode della mia dignità. Ecco perché la morale, che inizia da
questo sguardo sull’altro, custodisce la verità e la dignità dell’uomo: l’uomo
ne ha bisogno per essere se stesso e non smarrire la sua identità nel mondo
delle cose.
Vi è un
ultimo, decisivo passo da compiere nella nostra riflessione, un passo che ci
riconduce al brano della Genesi da
cui siamo partiti. Come è possibile
all’uomo questo sguardo capace nello stesso [87] tempo
di cogliere e rispettare la dignità dell’altra persona e di garantirgli la
propria? Il dramma del nostro
tempo consiste proprio nell’incapacità di guardarci così, per cui lo sguardo
dell’altro diventa una minaccia da cui difenderci. In realtà la morale vive
sempre inscritta in un più ampio orizzonte religioso, che ne costituisce il
respiro e l’àmbito vitale. Fuori da questo àmbito essa diventa asfittica e
formale, si indebolisce e poi muore.
Il riconoscimento etico della sacralità della vita e l’impegno per il
suo rispetto hanno bisogno della fede nella creazione come loro orizzonte:
così come un bambino può
aprirsi con fiducia all’amore se si sa amato e può svilupparsi e crescere se si
sa seguito dallo sguardo di amore dei suoi genitori, allo stesso modo anche noi riusciamo a guardare gli altri nel rispetto
della loro dignità di persone se facciamo esperienza dello sguardo di
[88] amore di Dio su di noi, che ci rivela quanto è
preziosa la nostra persona. «E Dio
disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza […]. E Dio vide quanto
aveva fatto: ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 26.31).
Il cristianesimo è quella memoria dello sguardo di amore del Signore
sull’uomo, nel quale sono custoditi la sua piena verità e la garanzia ultima
della sua dignità. Il
mistero del Natale ci ricorda che nel Cristo che nasce ogni vita umana, fin dal suo primo
inizio, è definitivamente benedetta e accolta dallo sguardo di misericordia di
Dio. I
cristiani sanno questo e stanno con la propria vita sotto questo sguardo di
amore; ricevono con ciò stesso un messaggio che è essenziale per la vita
e il futuro dell’uomo. Allora essi possono assumere oggi con umiltà e fierezza il lieto
annunzio della fede, sen[89]za del quale l’esistenza umana non
sussiste a lungo. In questo compito di annuncio della dignità dell’uomo e dei
doveri di rispetto della vita che ne conseguono, essi saranno probabilmente
derisi e odiati, ma il mondo non potrebbe vivere senza di loro.
Vorrei
concludere con le stupende parole dell’antica Lettera a Diogneto, nella quale si descrive l’insostituibile
missione dei cristiani nel mondo: «I cristiani, infatti, non sono distinti
dagli altri uomini né per territorio, né per lingua né per modi di vivere […].
Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, e
adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del
vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa e che – a confessione
di tutti – ha dell’incredibile. Abitano la
loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti gli oneri
come cit[90]tadini e sopportano tutto come stranieri. Ogni terra straniera è
patria per loro e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli
altri e hanno figli, ma non espongono i neonati. Hanno in comune la mensa, ma
non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla
terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il
loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono
perseguitati. […] Per dirla in una parola, i cristiani sono nel mondo ciò
che l'anima è nel corpo. […] L’anima ama la carne, che la odia, e le membra:
anche i cristiani amano coloro che li odiano. L’anima è racchiusa nel corpo, ma
essa stessa sostiene il corpo; anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come
in una prigione, ma essi sostengono il mondo. […] Tanto alto è il posto che ad essi assegnò Dio; né è loro lecito
abbandonarlo». [91]
***
Leggi la seconda parte del testo:
"L'aborto: quando il diritto della forza prevale sulla forza del diritto"
http://scrittidijosephratzinger.blogspot.it/2013/05/laborto-quando-il-diritto-della-forza.html
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Leggi la seconda parte del testo:
"L'aborto: quando il diritto della forza prevale sulla forza del diritto"
http://scrittidijosephratzinger.blogspot.it/2013/05/laborto-quando-il-diritto-della-forza.html
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