tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 51-54
I miracolo sono veri?
D. Per la fede i
miracoli sono possibili in ogni momento e già agli Apostoli, quando erano
ancora in vita, era stato offerto del denaro perché rivelassero il segreto
della loro capacità di operare miracoli.
Ci sono molte stimolanti
testimonianze di fatti inspiegabili che da un lato muovono all’ironia,
dall’altro però alla devozione. Nella basilica di Padova, ad esempio, è esposta
in una teca la lingua di sant'Antonio, che si dice sia stato un grande
predicatore. A Nevers sono conservate le spoglie di Bernadette, a Lisieux
quelle di santa Teresa, ed entrambe sono perfettamente intatte. E non sono
state trattate chimicamente, a differenza di quanto fecero i comunisti quando
vollero santificare Lenin. Com'è possibile? Se adesso potessimo interrogare
Dio, cosa ci direbbe a proposito dei miracoli?
R.
Non ho la presunzione di azzardare quanto Dio direbbe. Ma la questione del
miracolo è nei fatti ed è proprio della fede cristiana presupporre che Dio
abbia potere sul mondo e che sia effettivamente in grado di agire.
In
che misura le leggi naturali debbano essere scavalcate o se in esse siano già
implicite le variabili di cui Dio si serve non è questione di primaria
importanza. Oggi ci rendiamo conto sempre più chiaramente di conoscere le leggi
naturali solo come regole applicative. In ultima analisi non siamo in grado di
stabilire cosa sia intrinseco alla natura e quale sia la portata delle leggi
naturali. È importante rendersi conto che Dio non
si è ritratto dal mondo dopo averlo creato. Ritratto in questo senso: lasciare
funzionare il meccanismo secondo quelle regole che sono state prestabilite una
volta per tutte.
[51] No, Dio può agire. Continua ad essere il
Creatore e a conservare la capacità di intervenire.
D. Ogni intervento
costituisce un miracolo?
R.
Non si può trasformare questa fede in
una concezione superstiziosa del miracolo, come se si potessero provocare
automaticamente i miracoli. Non si possono dispensare ricette a buon mercato.
Ma si deve anche mettere da parte la supponenza
razionalistica che pretende di prescrivere a Dio ciò che questi può fare.
Ho
letto un’interessante osservazione a questo proposito. Proviene da un libro che
tratta di un teologo evangelico, Adolf Schlatter, un uomo di grande fede.
Schlatter fu chiamato a Berlino quando vi insegnava Adolf von Harnack, il
grande teologo liberale. La Chiesa evangelica voleva in questo modo controbilanciare
un poco il liberalismo di von Harnack.
Harnack
era un uomo d’animo davvero nobile. Accolse molto positivamente questo
Schlatter, per quanto la sua nomina fosse stata decisa contro di lui, e disse
che si sarebbero compresi perfettamente. Ed effettivamente collaborarono proficuamente.
Una volta, nel corso di una seduta, di una discussione, quando qualcuno alluse
ai contrasti tra i due teologi, Harnack disse: «Noi due, il signor Schlatter ed
io, siamo divisi solo dalla questione dei miracoli». Schlatter replicò subito
vivacemente: «No, dalla questione di Dio!».
Perché
nella questione dei miracoli è implicita quella di Dio. Chi
non riconosce i miracoli, ha un’altra concezione di Dio. Penso che siamo giunti
alla questione chiave. Non si tratta di stabilire se questo o quell’evento
straordinario costituisca un miracolo. Si tratta di affermare che Dio rimane
Dio. E che può continuare ad agire nel mondo come Creatore e Signore quando vuole
e nel modo che vuole e che è meglio per il mondo.
D. Giovanni Paolo II ha
detto una volta: «Chi mette Dio al centro del proprio impegno, può ricevere una
scintilla della luce che illumina le vie del Signore e rivelare cosi qualcosa
del
[52] piano di Dio». Questo significa che
grazie alla fede si può vedere nel futuro?
R.
In effetti possiamo arrivare a
comprendere qualcosa del progetto di Dio. Questa nozione va oltre il
destino individuale della mia persona e del mio percorso. Se volgiamo uno sguardo retrospettivo al corso
della storia, ci rendiamo conto che non vi domina il caso ma che vi è disegnato
un cammino e che la prua della nave è volta verso una meta. In un
evento apparentemente casuale possiamo imparare a distinguere una razionalità
interna, la ragione di Dio.
Se
anche non siamo in grado di prevedere ciò che accadrà, possiamo affinare una certa sensibilità per i pericoli che si annidano
in determinate cose e viceversa per le speranze che possono germogliare
altrove. Si sviluppa una facoltà di percepire il futuro
grazie alla capacità di riconoscere da un lato ciò che può distruggere il
futuro – perché si contrappone alla logica interna del percorso – e dall’altro ciò che lo può condurre più
innanzi – perché apre positivamente delle porte e corrisponde al piano
interno della totalità. Da questo punto di vista matura la capacità di diagnosticare il futuro.
È
così anche per i
profeti. Non vanno intesi come veggenti ma come voci di persone cui Dio dona la
capacità di leggere i segni dei tempi e possono perciò ammonire dal perseguire
ciò che è distruttivo e d’altro canto additare il percorso che conduce in
porto.
D. Se Gesù Cristo è
Figlio di Dio e Dio lui stesso, onnipotente e onnisciente, allora dovremmo
forse anche poter dire: Si, mi conosceva già allora, personalmente, in
quell'ora di 2000 anni fa in cui subì il martirio della croce. Conosceva
persino, nella sua divina Provvidenza, il mio nome.
R.
Nella lettera ai Galati Paolo dice: «Mi conosceva e si è sacrificato per me».
Da un punto di vista meramente empirico, ovviamente non aveva mai incontrato
Paolo. Ma Paolo sapeva di essere stato chiamato dal Risorto e che lo sguardo
del Signore era rivolto anche a lui. [53]
Non
dovremmo cercare di immaginarci come Cristo incarnato potesse cogliere in uno
sguardo d’insieme l’infinità delle persone di cui si compone la storia, ma si può affermare in ultima analisi che, in
quell’istante sul Monte degli Olivi in cui è stato colto dalla paura, in
quell'istante in cui ha pronunciato il suo Sì alla croce, ha visto anche noi,
ha conosciuto anche me.
Quest’atto racchiude quella
decisione ispirata dall’amore che è stata presa nell’eternità e che si è
materializzata nella vita terrena di Cristo determinandola. In questo modo anch’io so di non
essere soltanto un postero qualsiasi, uno che sta al di fuori del cono di luce,
so che Cristo ha con me una relazione personale, che ha il suo ancoraggio più
intimo nell’atto del suo sacrificio.
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