VIII. PENTECOSTE
Lo Spirito Santo e la Chiesa
Lo Spirito Santo e la Chiesa
Capita spesso di sentir lamentare
che nella Chiesa si parla troppo poco dello Spirito Santo. Talvolta questa lamentela arriva sino all’idea che dovrebbe esistere una
certa simmetria tra il discorso su Cristo e quello sullo Spirito Santo; a tutto
quello che si dice di Cristo dovrebbe corrispondere un discorso analogo sullo
Spirito Santo. Chi pretende questo, dimentica però che Cristo e lo Spirito sono
parte del Dio Trinità. Dimentica che la Trinità non può essere pensata come una
serie di presenze parallele e simmetriche. Se fosse così, allora noi crederemmo
in tre divinità e con ciò sarebbe radicalmente misconosciuto quel che intende
la confessione cristiana dell’unico Dio in tre persone.
Qui, come spesso
accade, la liturgia della Chiesa Orientale può fornirci un aiuto prezioso. Essa
celebra alla domenica di Pentecoste la festa della Santissima Trinità, il
lunedì successivo l’effusione dello Spirito Santo e la domenica seguente la
festa di Ognissanti.
Questa sequenza
liturgica possiede una solida coerenza interna e manifesta qualcosa della
logica interna della fede. Lo
Spirito Santo non è una entità isolata e isolabile. La sua natura è di
rinviarci all’unità del Dio trinitario. Se nella storia della salvezza,
che noi ripercorriamo da Natale a Pasqua, il Padre e il Figlio appaiono l’uno
di fronte all’altro, nella missione e nell’obbedienza, lo Spirito
Santo non si pone come una terza persona accanto o in mezzo a loro: egli ci
porta all’unità di Dio.
Guardare a Lui
significa superare la sempli[57]ce contrapposizione e riconoscere il cerchio
dell’eterno amore, che è l’unità suprema. Chi vuole parlare dello Spirito Santo, deve parlare della Trinità di Dio. Se la dottrina dello Spirito Santo, da un certo punto di vista, può
valere come correzione rispetto a un cristocentrismo unilaterale, allora tale
correzione consiste nel fatto che lo Spirito ci insegna a vedere Cristo
totalmente inscritto nel mistero del Dio trinitario: come la nostra via verso
il Padre, in un ininterrotto dialogo d’amore con lui.
Lo Spirito Santo rinvia alla Trinità, e proprio in questo modo rinvia anche
a noi. Il Dio trinitario è infatti l’archetipo dell’umanità nuova, riunificata; l’archetipo della Chiesa, di cui la preghiera di Gesù può essere vista
come l’atto di fondazione: «Che siano una sola cosa, come noi siamo uno» (Gv
17,11.21s).
La Trinità è la misura e il
fondamento della Chiesa: essa deve portare a compimento la parola
del giorno della creazione «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza»
(Gn 1,26). In essa l’umanità, che nella sua frammentazione
è divenuta proprio l’immagine antitetica di Dio, può tornare a essere l’unico
Adamo, la cui immagine – come dicono i Padri – venne lacerata dal peccato e ora
giace in pezzi. Nella Chiesa deve tornare alla luce la misura divina dell’uomo,
quell’unità che noi siamo. È così che la Trinità, Dio stesso, è
l’archetipo della Chiesa; la
Chiesa non è un’altra idea che si aggiunge all’uomo, ma il venire dell’uomo
sulla strada verso se stesso. Ma se lo Spirito Santo esprime l’unità di
Dio, allora è lui l’elemento vitale della Chiesa, in cui ciò che sta di fronte
si riconcilia con la reciprocità e i frammenti dispersi di Adamo vengono
ricomposti in unità.
Per questo la rappresentazione
liturgica dello Spirito Santo comincia con la celebrazione della Trinità. Tale celebrazione ci dice che cosa è lo Spirito: nulla in se stesso,
che si possa porre accanto a qualcosa d’altro, ma il mistero per cui Dio è
pienamente uno nell’amore, una sola realtà, e, in quanto amore, è allo stesso
tempo reciprocità, scambio e comunione.
Ed è a partire dalla Trinità che lo Spirito ci dice che cosa è l’idea di
Dio con noi: unità secondo l’immagine di Dio. Ma [58]
egli ci dice anche che noi uomini possiamo realizzare l’unità tra di noi solo
se ci ritroviamo in un’unità più profonda, ovvero in un Terzo: solo se siamo
una cosa sola con Dio, possiamo essere vicendevolmente uniti. La via verso l’altro passa
attraverso Dio; se non c’è questo tramite della nostra unità, noi restiamo
eternamente separati l’uno dall’altro da abissi che neppure la buona volontà
può superare.
Chiunque abbia
una percezione lucida della propria umanità, si accorge che qui non parliamo
di semplici teorie teologiche.
Raramente
l’inaccessibilità ultima dell’altro, l’impossibilità di donarsi reciprocamente
e di comprendersi in modo durevole, è stata sperimentata tanto drammaticamente
come nel nostro secolo. «Vivere significa essere soli, nessuno conosce l’altro,
ciascuno è solo», così ha espresso questa percezione Hermann Hesse. Quando
parlo con l’altro è come se tra di noi si frapponesse una parete di vetro
opaco: ci vediamo, eppure non ci vediamo; siamo vicini, eppure non possiamo
avvicinarci. È questa l’immagine con cui Albert Camus descrive questa stessa
esperienza.
Pentecoste, la
presenza del mistero trinitario nel nostro mondo umano, è la risposta a questa
esperienza. Lo Spirito Santo ha a che fare con la domanda fondamentale dell’uomo: come
possiamo giungere gli uni agli altri? Come è
possibile che io rimanga me stesso, rispetti l’alterità dell’altro e tuttavia
esca dalla gabbia della solitudine e incontri l’altro dal di dentro?
Le religioni asiatiche hanno
risposto con l’idea del nirvana: finché esiste l’io, non è possibile, affermano
esse. L’io è la prigione. Devo dissolvere l’io,
lasciare dietro di me la personalità come prigione e luogo della non
liberazione, lasciarmi cadere nel nulla come nel vero tutto. La liberazione è
un cessare di divenire e deve essere messa in atto: il ritorno nel nulla, la
cancellazione dell’io come la sola vera e definitiva liberazione. Chi esperimenta
giorno per giorno il peso dell’io e il peso del tu può comprendere il fascino
di un tale programma.
Ma il nulla è davvero meglio
dell’essere, la dissoluzione della persona meglio del suo compimento? [59]
Un semplice attivismo non è una risposta a tale fuga mistica; al contrario:
provoca questa fuga. Difatti tutte
le nuove iniziative che intraprende diventano delle nuove prigioni se l’io e il
tu non si riconciliano.
D’altra parte l’io e il tu
non possono riconciliarsi se la persona non è riconciliata con il proprio io.
Ma come può accettarsi questo io, permanentemente assetato e desideroso, che
grida invocando amore, invocando il tu, ma che allo stesso tempo si sente
ferito, minacciato e limitato da questo tu?
Rispetto alla
grande pretesa delle religioni asiatiche anche le moderne tecniche della dinamica di gruppo, della
riconciliazione dell’uomo con se stesso e con il tu, malgrado le loro
sofisticate procedure, non sono altro che povere soluzioni di ripiego.
L’io e il tu vengono messi insieme sulla base di un preteso denominatore comune
ridotto ai minimi termini, vengono abituati a delle regole per far sì che si
incontrino e si prendano sul serio il meno possibile ed evitare quindi che si
rovinino a vicenda. La loro passione divina viene ridotta a un paio di
pulsioni; la persona è
trattata come un’apparecchiatura di cui si devono conoscere le istruzioni per
l’uso. Si cerca di risolvere la questione dell’essere uomini,
negando la persona umana nella sua specificità e trattandola come un sistema smontabile
di procedure che si può imparare a dominare.
Ora forse vi
chiederete: che cosa ha a che fare tutto questo con lo Spirito Santo e con la
Chiesa?
La risposta è: l’alternativa cristiana al nirvana è la Trinità,
quell’unità ultima in cui l’io e il tu non vengono affatto meno stando l’uno di
fronte all’altro, ma si compenetrano intimamente nello Spirito Santo. In Dio vi è una pluralità di persone e proprio in questo modo Egli è la
piena realizzazione dell’unità ultima. Dio
non ha creato la persona perché essa venga annullata, ma perché essa si apra in
tutta la sua altezza e nella sua più estrema profondità, là, dove lo Spirito
Santo la abbraccia ed è l’unità delle diverse persone. Può darsi che ciò suoni molto teologico, ma noi dobbiamo cercare, passo
dopo passo, di avvicinarci al programma di vita che qui si cela.
È su questa
strada che arriviamo se riflettiamo ancora una [60] volta sulla
sequenza delle feste liturgiche nella Chiesa orientale.
Dopo la festa
della Trinità nella domenica di Pentecoste, il lunedì viene celebrata
l’effusione dello Spirito Santo, la fondazione della Chiesa; la domenica
successiva – come abbiamo già ricordato – è la volta della festa di Ognissanti.
La comunione di tutti i santi è
l’umanità riplasmata nell’unità secondo il modello trinitario; è la città futura, che fin d’ora si sta formando e che noi cerchiamo di
costruire con la nostra vita. Essa è l’immagine ideale della Chiesa, al termine – per così dire – della settimana al cui inizio si trova la
Chiesa terrena, nata nel Cenacolo di Gerusalemme.
La Chiesa che vive nel tempo è
in tensione tra questa Chiesa dell’inizio e la Chiesa della fine, che già ora
sta crescendo. Nella tradizione artistica dell’Oriente la
Chiesa degli inizi, la Chiesa del giorno di Pentecoste, è l’icona dello Spirito
Santo. Lo Spirito Santo si rende
visibile e rappresentabile nella Chiesa. Se Cristo è l’icona del Padre,
l’immagine di Dio e, insieme, l’immagine dell’uomo, allora la Chiesa è
l’immagine dello Spirito Santo.
A partire da qui
possiamo comprendere che cos’è davvero la Chiesa, nel profondo della sua
essenza: il superamento del confine tra io e tu, l’unione degli uomini tra
loro, mediante il superamento di sé, in ciò che rappresenta il loro fondamento,
nell’amore eterno. La Chiesa è il luogo in
cui avviene l’inserimento dell’umanità nello stile di vita del Dio trinitario.
Per questo essa non è
cosa che riguardi un gruppo, un circolo di amici; per questo non può essere
Chiesa nazionale o identificarsi con una razza o una classe: se è così, essa
deve essere cattolica, «radunare in unità i figli dispersi di
Dio», come si legge nel vangelo secondo Giovanni (11,52).
L’idea del «cessare di divenire», che descrive il processo spirituale delle
religioni asiatiche, può certo risultare poco adatta a rappresentare la via
cristiana. È vero però che essere cristiani implica un
dischiudersi e un lasciarsi dischiudere, come capita al chicco di grano, che
muore ma, aprendosi, porta frutto. Diventare cristiani è essere riuniti: i
pezzi dell’immagine frantumata di Adamo devono essere ricomposti. [61]
Essere cristiani non è un’autoconferma, ma un inizio e una partenza verso
la grande unità che abbraccia l’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi. La fiamma dell’infinito desiderio non viene spenta, ma orientata, così
da unirsi al fuoco dello Spirito Santo.
La Chiesa non comincia quindi come un club, comincia cattolica: nel suo
primo giorno essa parla in tutte le lingue, nelle lingue di tutto il mondo. Fu
Chiesa universale prima di generare delle Chiese locali. La Chiesa universale
non è una federazione di Chiese locali, ma la loro madre. La Chiesa totale ha generato le Chiese particolari e queste restano
Chiesa nella misura in cui si staccano dal loro particolarismo ed entrano a far
parte del tutto: solo in questo modo, a partire dal tutto, esse sono icona
dello Spirito Santo, che è la dinamica dell’unità.
Se parliamo
della Chiesa come icona dello Spirito Santo e di quest’ultimo come Spirito
dell’unità, allora non possiamo non tenere in considerazione un tratto particolare del racconto della Pentecoste: le lingue di fuoco si
dividevano e si posavano su ciascuno di loro (At 2,3). Lo Spirito Santo è dato a ciascuno personalmente e a ciascuno in modo
proprio. Cristo ha assunto la natura umana, quel che ci unisce tutti, ed è
a partire da essa che egli ci unisce.
Lo Spirito Santo, invece, è dato a ciascuno come persona: mediante lui Cristo
diventa risposta fondamentale per ciascuno di noi, uno per uno. L’unione degli
uomini, come deve essere realizzata dalla Chiesa, non avviene mediante la
dissoluzione della persona, ma mediante il suo compimento, che significa la sua
infinita apertura.
Per questo della costituzione
della Chiesa fa parte, da un lato, il principio della cattolicità: nessuno agisce semplicemente di propria volontà e genialità, ciascuno
deve agire, parlare, pensare secondo la comunione del nuovo «noi» della Chiesa,
che sta in una relazione di scambio profondo con il «noi» del Dio trinitario.
Ma proprio per questo, d’altro
canto, è vero che nessuno agisce semplicemente come il rappresentante di un
gruppo e di un sistema collettivo, ma ciascuno
sta nella responsabilità personale della coscienza dischiusa e purificata nella
fe[62]de.
Nella Chiesa le tendenze all’arbitrio e all’egoismo non dovrebbero essere
eliminate mediante il ricorso a criteri di forza numerica o di maggioranza, ma
con la coscienza plasmata dalla fede, che non inventa, ma attinge la sua
creatività da ciò che si è ricevuto in comune nella fede.
Nei suoi discorsi di commiato il
Signore presenta la natura dello Spirito Santo con queste parole: «Egli vi guiderà alla verità tutta intera, poiché egli
non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose
future» (Gv 16,13). Qui lo Spirito diventa icona della Chiesa;
descrivendo lo Spirito Santo, il Signore spiega che cos’è la Chiesa e come essa
deve vivere per essere se stessa.
Parlare e agire da cristiani significa non essere mai solamente il proprio
io. Diventare cristiani significa accogliere in se stessi la Chiesa tutta
intera o, ancor di più, lasciarsi interiormente accogliere in essa. Quando io
parlo, penso, agisco, come cristiano lo faccio sempre nel tutto e a partire dal
tutto: in questo modo lo Spirito si fa parola e così gli uomini giungono a
incontrarsi a vicenda. Essi
giungono a incontrarsi esteriormente, solo se prima si sono incontrati
interiormente: se io sono cresciuto interiormente, se mi sono aperto, se ho
accolto l’altro in me nella condivisione della fede e dell’amore, così che non
sono più solo, ma tutto il mio essere è segnato dal senso di questa
«condivisione» dell’altro.
Questo parlare a partire
dall’ascolto, dall’accoglienza, e non a titolo personale, a prima vista può
sembrare un ostacolo alla genialità del singolo. In effetti, si tratterebbe di un ostacolo se la genialità fosse solo una
sopravvalutazione dell’individuo che cerca in qualche modo di eguagliarsi alla
divinità. Il riconoscimento della verità e l’accettazione di un cammino di
crescita non sono certo un ostacolo per questo modo di pensare: lo Spirito
Santo, proprio per il fatto che agisce così, introduce alla verità tutta
intera, a quel che Gesù non ha ancora detto, e proprio così annuncia le cose
future: noi non perveniamo a una nuova
conoscenza chiudendoci nel nostro io; la verità si dischiude solo nella
condivisione di pensiero con ciò che è stato conosciuto prima di noi. [63]
La grandezza di una persona dipende dalla sua disponibilità e capacità di
condividere; solo nel farsi piccola, nel partecipare al tutto, la persona
diventa grande.
Paolo ha
espresso questo fatto con un formula meravigliosa, quando descrive la sua
conversione e il suo battesimo dicendo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo,
è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).
L’essere cristiani significa essenzialmente conversione, e conversione in
senso cristiano non è il cambiamento di alcune idee, ma un morire a se stessi: i confini dell’io vengono spezzati, l’io perde se stesso per ritrovarsi
in un soggetto più grande che abbraccia il cielo e la terra, il passato, il
presente e il futuro e che, per questo, tocca la verità stessa.
Questo «io
eppure non più io» è l’alternativa cristiana al nirvana. Potremmo anche dire: lo Spirito
Santo è questa alternativa. È la forza dell’apertura e della fusione in quel
nuovo soggetto che noi chiamiamo Corpo di Cristo o Chiesa.
Inoltre qui si
vede che questo convenire insieme non è un processo facile. Senza il coraggio della conversione, del lasciarsi
dischiudere come il seme di grano, non può avvenire. Lo Spirito Santo è fuoco;
chi non vuole essere arso, è meglio che non gli si avvicini. Ma deve
anche sapere che in tal modo precipita nella solitudine mortale dell’io chiuso
in se stesso e che ogni forma di comunione che viene tentata scansando questo
fuoco alla fine non è che passatempo e vuota apparenza. «Chi è vicino a me, è vicino al fuoco», suona un detto apocrifo di Gesù
tramandatoci da Origene; esso ci richiama in maniera inimitabile lo
strettissimo rapporto che intercorre tra Cristo, Spirito Santo e Chiesa.
Permettetemi di
concludere con una parola di san Giovanni Crisostomo che va in questa stessa
direzione. Si ricollega a un passaggio degli Atti degli Apostoli in cui si
racconta della guarigione di un paralitico operata a Listra da Paolo e Barnaba.
La folla eccitata aveva scambiato quei due strani individui, dotati di tale
potere, per un’apparizione degli dei Zeus e Ermes, aveva chiamato i sacerdoti e
avrebbe voluto offrire in sacrificio dei tori. Ma i due, indignati, si erano
rivolti alla folla a, gridando: noi siamo esseri umani, mortali come [64] voi,
venuti a portarvi il vangelo (cfr. At 14,8-18).
In proposito
Crisostomo osserva: giusto, erano uomini come gli altri, eppure erano diversi
da loro, poiché alla natura umana era stata aggiunta una lingua di fuoco. Così nasce la
Chiesa. Essa è data a ciascuno in maniera del tutto personale, così che ciascuno è cristiano proprio in
quanto è questa determinata persona, in un modo unico e irripetibile. Ha il
«suo Spirito», la sua lingua di fuoco, tanto che nel saluto liturgico noi ci
rivolgiamo a questo spirito dell’altro e diciamo: «e con il tuo spirito». Lo Spirito Santo è divenuto il suo Spirito, la sua lingua di fuoco. Ma
poiché egli è l’Uno, attraverso di lui possiamo rivolgerci l’uno all’altro,
formare insieme l’unica Chiesa.
All’essere uomo
è stata aggiunta una lingua di fuoco: oggi dobbiamo correggere questa
espressione. Il fuoco non è qualcosa che si possa semplicemente aggiungere
all’altro e che poi sussiste accanto a lui. Il fuoco brucia e trasforma. La fede è una lingua di fuoco che ci brucia e ci fonde, così che sia sempre più vero: «io eppure non più io».
Certo, chi incontra il cristiano
medio di oggi deve chiedersi: dove
è finita la lingua di fuoco? Purtroppo quel che esce dalla bocca dei cristiani
è spesso tutt’altro che fuoco. Ha piuttosto un sapore di acqua
stagnante, appena tiepida, né calda né fredda. Non vogliamo
bruciare noi stessi e neppure gli altri, ma in questo modo ci teniamo distanti
dallo Spirito Santo, e la fede cristiana si riduce a una visione del mondo
costruita a nostra misura, col proposito di non ledere possibilmente in nulla
le nostre comodità, risparmiando il vigore della protesta per le questioni che
a stento possono disturbarci nelle nostre abitudini di vita.
Dove scansiamo il fuoco ardente dello Spirito Santo, l’essere cristiani
diventa comodo solo a prima vista. La comodità del singolo è disagio del tutto. Dove non ci esponiamo più al fuoco di Dio, gli attriti si fanno
insopportabili, e la Chiesa, per usare l’espressione di Basilio, finisce per
essere dilaniata dalle grida e discussioni di parte. Solo se non temiamo la
lingua di fuoco e la tempesta che essa porta con sé, la Chiesa diventa icona
dello Spirito Santo. E solo allora [65] essa apre il mondo alla luce di Dio.
La Chiesa ha avuto inizio quando i discepoli unanimi si sono raccolti nel
Cenacolo e hanno pregato. Ed è in questo modo che essa ha inizio sempre di
nuovo. Nella preghiera allo Spirito Santo dobbiamo riconvocarla
di nuovo, giorno per giorno. [66]
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