Il presente blog propone estratti dai libri e dagli scritti di Joseph Ratzinger.

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La fede parla alla nostra ragione perché dà voce alla verità

tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 40-43

Dio e la ragione

D. La Chiesa e i Santi sottolineano come si possa comprendere, dimostrare e motivare le fede cristiana anche con categorie razionali. È vero?
R. Sì, ma entro determinati limiti. È vero nel senso che la fede non è un qualsivoglia intreccio di simboli che consenta di compiere scelte diverse. La fede parla alla nostra ragione perché dà voce alla verità, e perché la ragione è stata creata per accogliere la verità. Da questo punto di vista una fede senza ragione non è autentica fede cristiana.


La fede sfida la nostra capacità di comprensione. Anche in questo colloquio stiamo cercando di mettere in luce come tutto questo – a partire dal pensiero della creazione fino alla speranza cristiana – abbia un senso da cui germoglia una proposta razionale. Da questo punto di vista si può dimostrare che anche la fede è conforme a ragione.

D. Proprio gli scienziati hanno ripetutamente affrontato la questione di Dio e della fede. Ho portato alcune citazioni. lsaak Newton, ad esempio, fondatore della fisica teorica, disse: «La meravigliosa struttura e l'armonia dell’universo non possono che essere il frutto del progetto di un essere onnisciente e onnipotente. Questa è e rimane una mia profonda e immutabile convinzione». Augustin Louis Chauchy, matematico francese, affermava: «Sono un cristiano, in altri termini credo alla divinità di Cristo come Tycho de Brahe, Copernico, Descartes, Newton, Leibnitz, Pascal... Come tutti i grandi matematici e astronomi del passato». E l’italiano Guglielmo Marconi, un premio Nobel cui dobbiamo l 'invenzione del telefono senza fili e quindi l'individuazione del principio in base al quale funzionano oggi i cellulari, si esprimeva cosi: «Dichiaro con orgoglio di essere credente. Credo alla forza della preghiera. Non vi credo solo in quanto cattolico, ma anche in quanto scienziato».
R. Sicuramente non sprofondiamo in un’avventura superstizio[40]sa diventando cristiani. Vorrei solo avanzare due riserve: la fede non è comprensibile nel senso, totalmente cristallino, in cui lo può essere una formula matematica, perché si spinge in strati sempre più profondi, fino a sfiorare l’infinità di Dio, il mistero dell’amore. In questo ambito c’è un limite a quello che può essere compreso razionalmente. Innanzitutto a ciò che i limiti umani consentono di comprendere e rielaborare razionalmente.

Già non siamo in grado di comprendere fino in fondo gli altri esseri umani perché questo ci imporrebbe di calarci in recessi più profondi di quelli che possiamo razionalmente esplorare. In ultima analisi non possiamo neppure comprendere la struttura della materia, se non fino a un certo punto. A maggior ragione non possiamo sottomettere alla ragione ciò che ci viene incontro in Dio e nella parola di Dio perché va ben al di là di questa.

In questo senso la fede non è nemmeno dimostrabile. Non posso dire che chi non l’accetta sia stupido. Proprio della fede è un percorso esistenziale in cui l’oggetto di fede trova gradualmente conferme nel vissuto e si dimostra nella sua totalità gravido di senso. Dal punto di vista della ragione ci sono quindi approssimazioni che mi danno il diritto di avvicinarmi ad essa. Mi danno la certezza che non mi sto consegnando a una qualche superstizione. Ma una dimostrabilità esaustiva, quale può esistere per le leggi naturali, non c’è.

D. Si può dire che è necessario ampliare gli orizzonti dell’animo umano per meglio conoscere Dio?
R. La nozione che di Dio può avere un uomo semplice non è necessariamente inferiore a quella di un uomo colto. Non è così automatico che l’ampia conoscenza di dati scientifici e storici di cui disponiamo ci metta maggiormente in grado di acquisire una retta visione di Dio. Nella marea di dati e di nozioni si può anche affogare. Chi non riesce a sollevare lo sguardo sul mistero, che governa i fatti della natura e della storia, imbottisce la sua mente e il suo cuore di una quantità di [41] dati che forse addirittura comprimono la grandezza e la profondità della sua anima.

L’effetto delle grandi conoscenze scientifiche può quindi essere da un lato l’incapacità dell’uomo di guardare oltre il fattuale fino a comprimere in ultima analisi i propri orizzonti. Poiché sa così tanto, non può far altro che continuare a dipanare la propria riflessione sul piano del fattuale, e non riesce più a compiere il salto nel mistero. Vede ormai solo ciò che è tangibile. E, da un punto di vista metafisico, l’uomo diventa persino più stupido. D’altro canto può però anche avvenire che, proprio nella grandiosità della visione con cui noi percepiamo le molteplici rifrazioni della ragione divina nella realtà, l’idea che abbiamo di Dio si faccia davvero più grande e ci spinga a comparire dinanzi a lui con tanta più riverenza e anche umiltà e ammirazione.

D. Un esempio pratico di una possibile trasformazione dell'immagine di Dio: la precedente concezione secondo cui Dio vede ogni essere umano e sa perfettamente cosa ognuno di noi fa in ogni istante è stata a un certo punto rigettata. Sarebbe un'idea cervellotica, se non addirittura uno strumento di intimidazione a uso della Chiesa. Oggi il progresso tecnologico ci ripropone curiosamente quest’immagine. Nel frattempo nell'universo non abbiamo installato soltanto satelliti che ci trasmettono immagini televisive, ma anche sistemi di navigazione capaci di localizzare ogni singola auto e di guidarla alla meta. E ancora: la tecnologia informatica e Internet dimostrano che, grazie a stimoli adeguati, milioni di impulsi e movimenti possono essere guidati e messi in rete in frazioni di secondo, ad Oslo come a Città del Capo. La dilatazione dei confini dell'immaginazione ripropone una concezione di Dio che era già stata relegata in un angolo perché pareva troppo ingenua e che oggi pare improvvisamente nuova e interessante.

R. Sì, è giusto riconoscere – ed è anche segno di gratitudine ammetterlo – che ci vengono in soccorso nuovi spunti per comprendere. Da questo punto di vista si riaprono porte che [42] erano già state chiuse. Man mano si accresce la nostra comprensione del mondo, anche l’immagine che abbiamo di Dio si fa più grande e comprensibile. Ma questo processo non è automatico.

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