Le parole iniziali della Sacra Scrittura risuonano sempre al mio orecchio come il rintocco festoso di una vecchia grande campana che, stupendo e solenne, tocca il cuore e fa presagire qualcosa del mistero dell’eterno. Eppure proviamo una specie di dissociazione di fronte a queste parole. Esse sono belle e familiari, ma sono anche vere? Tutto sembra indicare il contrario...
Nel principio Dio creò
il cielo e la terra. Ma la terra era deserta e disadorna e v’era tenebra sulla
superficie dell’oceano e lo spirito di Dio era sulla superficie delle acque.
Dio allora ordino: «Vi
sia luce». E vi fu luce. E Dio vide che quella luce era buona e separò la luce
dalla tenebra. E Dio chiamò la luce giorno e la tenebra notte. Poi venne sera,
poi venne mattina: primo giorno.
Dio disse ancora: «Vi
sia un firmamento in mezzo alle acque che tenga separate le acque dalle acque».
E avvenne così. Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il
firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E Dio chiamò il firmamento
cielo. Di nuovo venne sera, poi mattina: secondo giorno.
E Dio ordinò: «Le acque
che sono sotto il cielo si ac[13]cumulino
in una sola massa ed appaia l’asciutto». E avvenne così. Dio chiamò l’asciutto
terra e alla massa delle acque diede il nome di mari. E Dio vide che questo era
buono.
Dio comandò ancora: «La
terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che
producano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie».
E così avvenne. La terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo
la propria specie, ed alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, ciascuno
secondo la propria specie. Poi Dio vide che questo era buono. Così venne sera,
poi mattina: terzo giorno.
Di nuovo Dio ordinò: «Vi
siano delle lampade nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla
notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni, e
facciano da lampade nel firmamento del cielo per illuminare la terra». E
avvenne così. Dio fece le due lampade maggiori, la lampada grande per il
governo del giorno, e la lampada piccola per il governo della notte, e le
stelle. Poi Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra, per
governare il giorno e la notte e per la separazione tra la luce e tra la
tenebra. E Dio [14] vide che era buono. E venne sera, poi mattina:
quarto giorno (Gn 1, 1-19).
Queste
parole iniziali della Sacra Scrittura risuonano sempre al mio orecchio come il
rintocco festoso di una vecchia grande campana che, stupendo e solenne, tocca
il cuore e fa presagire qualcosa del mistero dell’eterno.
Queste parole ricordano inoltre a molti tra di
noi il primo incontro con il libro sacro di Dio, la Bibbia, che ci venne
presentata, la prima volta, a questa pagina. Ci fece uscire subito dal nostro
piccolo mondo infantile, ci conquistò con la sua poesia e ci fece presagire
qualcosa dell’immensità della creazione e del suo Creatore.
Eppure
proviamo una specie di dissociazione di fronte a queste parole. Esse sono belle
e familiari, ma sono anche vere? Tutto sembra indicare il contrario, perché le scienze naturali
da lungo tempo hanno fatto piazza pulita delle idee che abbiamo or ora letto:
l’idea di un mondo spazialmente e cronologicamente misurabile, l’idea di un
creato costruito pezzo dopo pezzo in sette giorni. Oggi ci troviamo di fronte a
misure che superano ogni im[15]maginazione. Sentiamo parlare del «big bang»,
dell’esplosione iniziale verificatasi oltre dieci miliardi di anni fa, con cui
ebbe inizio l’espansione dell’universo, che continua ancora adesso. Le stelle
non vennero «appese» al cielo l’una dopo l’altra né la vegetazione fu creata in
ordine successivo, bensì la terra e l’universo hanno assunto la forma che
conosciamo nel corso di un periodo lunghissimo e per vie quanto mai complicate.
Le
parole che abbiamo appena letto non hanno dunque più alcun valore? In effetti qualche
tempo fa un teologo ha scritto che la creazione è diventata un concetto
irreale. Per essere intellettualmente onesti non dovremmo più parlare di
creazione, bensì solo di mutazione e di selezione. Le parole iniziali della Bibbia non sono dunque
vere? Insieme con la parola di Dio, con tutta la tradizione biblica,
sono forse regredite tra i sogni dell’infanzia dell’umanità, quei sogni di cui
sentiamo magari la nostalgia ma che non possiamo condividere, perché non
possiamo vivere di nostalgia? Oppure esiste una risposta positiva, che possiamo
responsabilmente sostenere in questo nostro tempo? [16]
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