1.
Risvegliarsi alla forza che viene dal silenzio
Pentecoste
e Spirito Santo... da quando esiste la cristianità sono parole di una forza
quasi magnetica, il cui effetto, proprio nell’età moderna, supera l’ambito dei
fedeli praticanti.
Agli inizi, per
l’esperienza che la Chiesa terrena faceva dei propri limiti e piccolezze umane,
nutriva costantemente il desiderio di una Chiesa dello Spirito, della libertà e
dell’amore. Si comincia
con i predicatori montanisti del secondo secolo e si giunge fino alle speranze
e ai desideri che accompagnarono il Concilio Vaticano II.
Nell’alto medioevo l’abate
Gioacchino da Fiore, in Calabria, ha elaborato una teoria su questa attesa che
è cresciuta di secolo in secolo addirittura come una valanga. Egli insegnava
che al primo regno del Padre e al secondo regno del Figlio avrebbe fatto
seguito un terzo regno, il regno dello Spirito, nel quale non sarebbero più
state necessarie le leggi e le norme esterne, perché lo Spirito e l’amore
avrebbero guidato gli uomini alla libertà, rendendo superfluo ogni dominio
esteriore.
Dal
dodicesimo secolo, questa visione ha continuato ad ispirare teologi, filosofi e
politici. I primi [51] tentativi medievali di ristabilire la repubblica romana
in contrapposizione al dominio dei Papi in Italia si richiamavano all’abate
profeta, persino il Duce di infausta memoria, conosciuta la dottrina del
religioso medievale in una conferenza di Ginevra, voleva portarla a compimento.
E così Hegel si senti
ispirato da Gioacchino, e una traccia per quanto esile delle sue teorie è
presente anche nelle speranze marxiste di una società senza classi, senza
alienazione né sfruttamento.
Le
variazioni sul tema dello Spirito Santo sono infinite e giungono addirittura
alla speranza di poter istituire il regno dello Spirito come regno della
materia.
Ma qual è il vero messaggio della Pentecoste? Con quale
risposta la Chiesa, dalla quale il tema è scaturito, ha affrontato le
variazioni che nelle loro conseguenze si sono per lo più ribaltate contro di
essa? A questo proposito
ha da dire qualcosa di significativo anche per l’oggi, che può avere importanza
oltre l’ambito ristretto dei suoi seguaci?
Una
risposta che resti nella tradizione originaria della fede è tanto più difficile
perché non si può contrapporre niente di altrettanto evidente alle speranze e
ai programmi tangibili.
Si
può avvertire questo dilemma molto presto, fin dal Vangelo di Giovanni, che, in
mezzo a parole di grandezza spesso impenetrabile, contiene interrogativi di un
realismo quasi sconcertante. Così, per esempio, Giuda Taddeo, proprio durante
il discorso di commiato di Gesù, domanda: «Signore, perché devi manifestarti a
noi e non al mondo?» (14,22).
Questa è la
domanda che segretamente conti[52]nuiamo a sollevare:
perché dunque il Risorto è rimasto soltanto nella cerchia dei suoi, invece di
presentarsi in tutta la sua potenza agli avversari, cancellando ogni dubbio?
Perché, per tutta la storia, si lascia cogliere solo a fatica attraverso le
parole del Vangelo, invece di fondare inequivocabilmente un regno dello Spirito
e dell’amore?
La risposta di
Gesù nel Vangelo di Giovanni è cifrata. Agostino l’ha formulata in questo modo:
dipende dal fatto che solo chi ha lo Spirito può vedere lo Spirito. Si rifà ad una frase del filosofo
Plotino, da lui ammirato, che Goethe ha così tradotto in tedesco: «Wär nicht
das Auge sonnenhaft, die Sonne könnt es nicht erkennen» (se l’occhio non fosse
solare non potrebbe riconoscere il sole).
Ma chiediamoci di
nuovo: cosa sono realmente la Pentecoste e lo Spirito Santo? Poiché non è
possibile mostrarli direttamente, si può ricorrere solo a delle immagini per
chiarire il loro significato.
Fin dai tempi antichi la
liturgia della Chiesa ha trovato una valida immagine nel Salmo 68 (67),
inteso già nella Lettera agli Efesini (4,7) come un inno di trionfo per
l’Ascensione di Gesù Cristo e quindi come rappresentazione del nesso che lega
la Pasqua alla Pentecoste.
Il
versetto 19 di questo Salmo recita: «Sei salito in alto conducendo prigionieri,
hai ricevuto uomini in tributo». Nell’interpretazione data da Paolo nella sua
Lettera ciò significa: Cristo, in quanto Messia, è un re vittorioso che ha
combattuto e vinto la battaglia decisiva della storia del mondo: la battaglia
contro la morte, nemica originaria della vita. Ora rivendica il diritto del
vincitore a spartire il bottino.
Ma
[53] qual è il bottino che egli distribuisce? La
risposta è: il dono di Dio è Dio stesso, lo Spirito Santo.
Per
la creatura umana era ed è troppo e troppo poco al tempo stesso. Certo, Israele attendeva un vincitore che
conducesse battaglie e portasse a casa, al popolo eletto, un bottino di valore
senza uguale. Ma questa battaglia
– la croce – e questo bottino: lo
Spirito Santo come forza nei credenti, deludevano le loro aspettative. Non era
ciò che avevano desiderato. Si allontanarono da lui, cercando e
trovando altri messia, che combatterono battaglie violente e disperatamente
eroiche contro la superpotenza romana, portando infine il paese alla rovina. Il
bottino lo fece la morte; essa fu la vera vincitrice di quella lotta secolare.
E il mondo
cristiano e noi qui ed ora? Da un liberatore ci aspetteremmo anche noi doni
completamente diversi da quelli descritti da Paolo. Noi aspettiamo una casa, del denaro,
buon cibo, bei viaggi, successo, prestigio, comodità, pace e sicurezza.
Ma non lo Spirito Santo,
perché esso è in realtà il contrario di tutto questo: ci fa sentire a disagio
per le nostre proprietà, la nostra comodità e il prestigio, che tanto spesso
poggia su dubbi compromessi. È un uragano. Non ci lascia tranquilli nella
nostra comodità, ci sottopone al ridicolo mettendoci al servizio della verità e
spingendoci a superare noi stessi per amare l’altro «come noi stessi».
C’insegna una liberazione completamente diversa da quella del «terzo regno» e
di tutti i paradisi terrestri.
Eppure...
l’uragano che libera l’uomo da se stesso, che lo rende autentico [54] e buono, non è
forse la più profonda delle rivoluzioni, la sola vera speranza del mondo?
Ma, viene da domandarsi, non è una contraddizione?
Da una parte sentiamo che lo Spirito Santo è qualcosa che
non si può mostrare; che è invisibile in un senso molto profondo, come l’amore
che sconvolge l’uomo e lo trasforma, ma che non si può mostrare come si
esibisce un’auto nuova. Dall’altra parte si dice che lo Spirito Santo è un
uragano, un principio di trasformazione tale da essere indicato come la forza
della nuova creazione, il cui intervento sulla realtà non è meno fondamentale
di una «creazione».
Com’è possibile? Il nocciolo della risposta è già stato
dato accennando all’amore che non si può esibire ma che è la forza fondamentale
della vita umana, anzi, della realtà.
Forse
una parabola può contribuire a spiegare meglio ciò che intendo dire. Alcuni
anni fa è uscito un film impressionante, intitolato «Seelenwanderung»
(Metempsicosi). Raccontava di due poveri diavoli che, per la loro bontà, non
riuscivano a farsi strada. Ad uno un giorno viene l’idea, non avendo più niente
da dar via, di vendere l’anima, che viene acquistata a poco prezzo e sistemata
in una scatola. Da quel momento, con sua grande sorpresa, tutto cambia nella
sua vita. Inizia una rapida ascesa, diventa sempre più ricco, ottiene grandi
onori e alla sua morte è console, largamente provvisto di denaro e di beni. Dal
momento in cui si era liberato della sua anima non aveva avuto più riguardi né
umanità. Agiva senza scrupoli, badando solo al guadagno e al suc[55]cesso.
L’uomo non contava più niente. Lui stesso non aveva più un’anima. Il film
dimostrava in maniera impressionante come dietro alla facciata del successo si
nasconda un’esistenza vuota. Apparentemente l’uomo non ha perduto niente, ma
gli manca l’anima e con essa manca tutto.
È ovvio che l’essere umano
non può gettare via letteralmente la propria anima, è ciò che Io rende persona.
Rimane comunque persona umana. Eppure ha la spaventosa possibilità di essere un
disumano, di rimanere persona vendendo e perdendo al tempo stesso la propria
umanità. La distanza tra la persona umana e essere
disumano è immensa eppure non si può dimostrare; è la cosa realmente essenziale
eppure è apparentemente senza importanza. Mi sembra che questa metafora possa
spiegare molti aspetti della Pentecoste.
Se lo Spirito Santo, il dono della nuova creazione
penetra nella persona o no, se questa le fa spazio o no, non lo si può vedere
né dimostrare esteriormente. Apparentemente non ha importanza. Tuttavia questo
fatto apre una nuova dimensione della vita umana, dalla quale, in ultima
analisi, dipende tutto.
Perciò il senso della Pentecoste non è quello di farci sognare mondi migliori per il futuro, né tanto meno quello di fare di noi degli strateghi del futuro, che sacrificano alla leggera il presente alla chimera di ciò che sarà. Il senso di questo giorno è piuttosto, al contrario, quello di destarci all’oggi, alla silenziosa forza della bontà divina che bussa alla nostra esistenza e vorrebbe trasformarla. Il risveglio alla forza che viene dal silenzio... non potrebbe essere un compito e una [56] speranza per cristiani e non cristiani, un’interpretazione della Pentecoste che può toccare tutti?
Perciò il senso della Pentecoste non è quello di farci sognare mondi migliori per il futuro, né tanto meno quello di fare di noi degli strateghi del futuro, che sacrificano alla leggera il presente alla chimera di ciò che sarà. Il senso di questo giorno è piuttosto, al contrario, quello di destarci all’oggi, alla silenziosa forza della bontà divina che bussa alla nostra esistenza e vorrebbe trasformarla. Il risveglio alla forza che viene dal silenzio... non potrebbe essere un compito e una [56] speranza per cristiani e non cristiani, un’interpretazione della Pentecoste che può toccare tutti?
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