Da ciò risulta per la chiesa una confusione davvero babelica, nella
quale non soltanto le opinioni pro e contro si intrecciano nella maniera più
singolare, ma sembra addirittura impossibile raggiungere ancora un’intesa. La
sfiducia aumenta soprattutto perché la permanenza nella chiesa non ha più il
carattere chiaro e inequivocabile di un tempo e nessuno più si sente di avere
fiducia della sincerità dell’altro. Nel 1921 Romano Guardini faceva una
constatazione piena di speranza: è incominciato un processo di grande [74]
portata: la chiesa si ridesta nelle anime. Oggi sembra vero il contrario: è in
corso un processo di grande portata: la chiesa si spegne nelle anime e si
disgrega nelle comunità. In mezzo ad un mondo che tende all’unità, la chiesa di
disperde in risentimenti nazionalistici, nell’esaltazione dei propri valori e
nella denigrazione degli altrui.
Fra i difensori della realtà mondana e la reazione di chi è troppo
attaccato all'esteriorità e al passato, fra il disprezzo della tradizione e la
fedeltà esagerata alla lettera non sembra esistere alcuna possibilità di
compromesso; l'opinione pubblica assegna inesorabilmente a ciascuno il
proprio posto, ha bisogno di posizioni chiare e precise e non può accettare
sfumature di sorta: chi non è per il progresso è contro di esso; o si è conservatori oppure progressisti. Grazie a Dio la
realtà è naturalmente diversa: ancor oggi esistono, tranquilli e quasi senza
voce, coloro che credono con tutta semplicità e che anche in questo momento di
confusione realizzano la vera missione della Chiesa: l'adorazione di Dio e la
sopportazione della vita quotidiana sulla base della parola del Signore. Costoro però non quadrano bene nell'ideale di Chiesa che ci
si prefigge e si continua perciò a lasciarli in disparte. La vera Chiesa dunque
non è invisibile, ma profondamente nascosta dalle potenti manovre degli uomini. [75]
Resta così abbozzato nelle sue grandi
linee lo sfondo nel quale va oggi inserita la domanda: perché io rimango ancora
nella chiesa. Per poter dare una risposta adeguata dobbiamo prima approfondire
l’analisi del contesto storico contemporaneo ed individuare i motivi per cui ci
troviamo in questa situazione.
Come si poté giungere ad una così strana
confusione nel momento in cui si aspettava invece una nuova Pentecoste? Come fu
possibile che proprio quando il Concilio sembrava raccogliere la messe maturata
negli ultimi decenni, invece dell’abbondanza e della pienezza si rivelò
all’improvviso un vuoto sconcertante? Come mai dal sincero desiderio di unità
sorse la disgregazione? Vorrei cercare di rispondere ricorrendo anzitutto a un
paragone, che ci propone subito qual è il nostro compito, lasciando intravedere
una soluzione positiva fra le molte negative che sono possibili. Nel nostro sforzo per giungere ad una
comprensione della chiesa, sulle tracce del Concilio che per questo si è
battuto accanitamente, noi ci siamo
avvicinati tanto a questa chiesa, che non riusciamo più a vederla nel suo
complesso; le prima case ci impediscono di vedere la città, i primi alberi non
ci consentono di abbracciare con lo sguardo tutto il bosco. La situazione in cui la scienza ci
ha condotto a pro[76]posito di molti aspetti della realtà, sembra ora ripetersi
anche a riguardo della chiesa. Noi vediamo il particolare così da vicino e così dettagliatamente, che
non riusciamo più a cogliere il tutto: l’aumento di esattezza significa qui
diminuzione di verità. Quando osserviamo al microscopio un pezzetto
di albero, ciò che vediamo è incontestabilmente giusto, ma potrebbe ugualmente
nasconderci una parte di verità se ci facesse dimenticare che la singola cosa
non è soltanto singola, ma esiste in un tutto, il quale, anche se non è
visibile al microscopio, è ugualmente vero, anzi più vero della cosa presa
isolatamente in se stessa. Ma lasciamo da parte i paragoni. L’epoca presente
con le sue particolari prospettive ha influenzato il nostro occhio in un
determinato senso, cosicché noi oggi
praticamente guardiamo la chiesa soltanto dal punto di vista dell’efficienza,
preoccupati di scoprire che cosa possiamo fare di essa. Gli sforzi
prolungati di riformare la chiesa hanno alla fine fatto dimenticare tutto il
resto.
Per noi oggi essa è soltanto
un'organizzazione che si può trasformare e il nostro grande problema è quello
di determinare quali sono i cambiamenti che la rendono «più efficiente» per i
singoli scopi che ciascuno si propone. Affondato in questa problematica, il concetto di riforma ha subito nella
coscienza dei più profonde dege[77]nerazioni, che lo hanno privato del suo
nucleo centrale.
Infatti nel suo
significato originale la riforma è un processo spirituale che, essendo del tutto
simile alla conversione, rientra nel cuore stesso del fenomeno cristiano:
soltanto attraverso la conversione si diventa cristiani, ciò vale per tutta la
vita del singolo, come per tutta la storia della Chiesa. Anche questa infatti rinnova la propria vita soltanto
convertendosi continuamente al Signore, evitando di chiudersi in se stessa e
nelle proprie care abitudini, così facilmente contrarie alla verità.
Quando la riforma viene strappata da
questo contesto, dallo sforzo e dal desiderio di conversione, quando ci si aspetta la salvezza soltanto dal cambiamento
degli altri, dalla trasformazione delle strutture, da sempre nuove forme di
aggiornamento, si può forse giungere a qualche utilità immediata, ma nel
complesso la riforma diventa una
caricatura di se stessa, capace di cogliere della Chiesa soltanto le realtà
secondarie e meno importanti.
Nessuna meraviglia che alla fine la stessa chiesa le
appaia come qualcosa di secondario. Ciò fa anche meglio comprendere le ragioni
profonde del paradosso derivato dai tentativi di rinnovamento propri della
nostra epoca: gli sforzi per allentare le strutture ormai rigide, per
correggere le forme dell’ufficio ecclesiastico provenienti dal Me[78]dioevo o
ancor più dai tempi dell’assolutismo, per liberare la Chiesa da queste sovrapposizioni
e renderla più adatta ad un servizio più semplice e più conforme allo spirito
del Vangelo – tutti questi sforzi hanno effettivamente condotto ad una tale
sopravvalutazione dell’elemento ufficiale della chiesa, che è senza precedenti
nella sua storia.
Le istituzioni e gli uffici ecclesiastici sono, è
vero, oggetto di critica radicale come mai prima di oggi, ma anche assorbono
l’attenzione generale con una esclusività più accentuata di prima. Non pochi
credono che la chiesa consista oggi soltanto in essi e riducono perciò tutta la
problematica su di essa alle sue istituzioni. Non si vuole che un così vasto
apparato rimanga infruttuoso, ma d’altra parte lo si trova per molti aspetti
inadeguato a raggiungere gli scopi che gli si dà.
Dietro a tutto ciò, si profila il problema centrale della questione: la
crisi della fede. A motivo del suo aspetto sociologico, la
chiesa si protende molto al di là della cerchia dei fedeli veri e propri;
questa mancanza di verità, ormai istituzionalizzata, la aliena profondamente
nella sua vera natura: la pubblicità derivata dal concilio e la prospettiva di
un possibile accostamento tra fede e non fede, che si volle vedere nei suoi
documenti ha radicalizzato al massimo questa alienazione. Molte volte il
concilio fu applaudito an[79]che da coloro che non avevano nessuna intenzione
di diventare credenti nel senso della tradizione cristiana, ma che salutarono
questo ‘progresso’ della chiesa come una conferma delle proprie scelte e delle
vie da essi percorse. Nello stesso tempo
anche all’interno della chiesa la fede è entrata in una movimentata fase di
fermento.
Il problema della mediazione storica pone
l’antico credo in una luce incerta e ambigue, nella quale le verità perdono i
propri contorni, mentre le obiezioni delle scienze naturali e ancor più di ciò
che si ritiene la concezione cosmologica moderna acuiscono questo processo.
Proprio a proposito delle verità
principali diventa sempre più difficile riconoscere i limiti fra la spiegazione
e la negazione. Per esempio che cosa significa propriamente «risorto dai
morti»? Chi sono quelli che credono, quelli che spiegano, quelli che negano? E
mentre si discute fino a dove possono arrivare i limiti della spiegazione, si
perde sempre più di vista il volto di Dio. La ‘morte di Dio’ è un processo del tutto reale, che penetra oggi
profondamente all'interno della Chiesa. Dio muore nella cristianità, così
almeno sembra. Infatti là dove la risurrezione diventa l'esperienza di una
missione sentita come superata, Dio non è più presente con la sua opera.
Ma Dio agisce poi ancora? Questa è la
domanda che viene su[80]bito spontanea. Ma
chi ha ancora il coraggio di essere così reazionario da credere
all’affermazione realistica «Egli è risorto»? Così per uno è soltanto
progresso ciò che per l’altro è vera e propria incredulità.
Prima era inconcepibile, oggi è una cosa
normale che delle persone, le quali da tempo hanno abbandonato la fede della
chiesa, si considerino ancora in coscienza cristiani veramente progressisti. Secondo costoro, l’unico criterio per
giudicare la chiesa è la sua efficienza. Rimane naturalmente da stabilire
quale sia la vera efficienza e per quali scopi la si debba usare. Per criticare
la società, per aiutare i paesi in via di sviluppo, per fomentare la
rivoluzione? Oppure per solennizzare le feste locali? In tutti i casi occorre
ricominciare da capo, perché inizialmente la chiesa non era stata concepita per
questo ed effettivamente nella sua forma attuale non è adatta a questi scopi. E
così aumenta il disagio sia nei credenti che nei non credenti. Il diritto di
cittadinanza che l’incredulità ha acquistato nella chiesa rende la situazione
sempre più insopportabile sia per gli uni che per gli altri. Specialmente
tragico è il fatto che tutto ciò abbia posto il programma di riforma in una
ambiguità veramente singolare e per molti irrimediabile.
Naturalmente si piò obiettare che non
tutta [81] quanta la situazione si presta a tinte così fosche. Negli ultimi
anni sono nate e maturate molte cose positive, che non è giusto tenere
semplicemente nascoste: la nuova liturgia più accessibile al popolo, la
sensibilità per i problemi sociali, la migliore comprensione tra cristiani
separati, la diminuzione della paura dovuta ad una fede troppo legata alla
lettera e molte altre innovazioni.
Ciò è senz’altro vero e va riconosciuto,
ma non traduce esattamente l’atmosfera generale della chiesa. Infatti anche
tutto ciò è stato nel frattempo intaccato dall’ambiguità
dovuto alla scomparsa di precisi limiti tra fede e incredulità. Soltanto all’inizio
sembrò che la conseguenza di questa scomparsa potesse essere una specie di
liberazione. Oggi è chiaro che, nonostante tutte le speranze ancora
esistenti, da un simile processo, invece che una chiesa moderna, ne è sorta una
profondamente dilaniata e quanto mai problematica.
Dobbiamo ammetterlo senza mezzi termini:
il Vaticano I aveva descritto la Chiesa come il «signum levatum in
nationes», come il grande vessillo
escatologico che, visibile anche da lontano, raccoglieva gli uomini attorno a
sé. Secondo il Concilio del 1870 essa era il segno sperato da Isaia (11,12), la bandiera che anche da
lontano tutti potevano riconoscere e che a tutti indicava chiaramente la via da
percorrere. Con la sua me[82]ravigliosa diffusione, la sua profonda stabilità, essa rappresentava il vero miracolo del cristianesimo, la
miglior prova della sua origine divina di fronte al mondo e alla storia[nota 1].
Oggi sembra vero tutto il contrario: non più
una comunità meravigliosamente diffusa, ma un'associazione stagnante, che non è
stata capace di superare veramente i confini dello spirito europeo e medievale;
non più profonda santità, ma un insieme di debolezze umane, una storia
vergognosa ed umiliante, alla quale non è stato risparmiato nessun scandalo,
dalle persecuzioni degli eretici e dai processi contro le streghe, dalla
persecuzione degli Ebrei e dall'asservimento delle coscienze fino
all'autodogmatizzazione e alla resistenza contro l'evidenza scientifica, cosicché chi
appartiene a questa storia non può fare altro che coprirsi vergognosamente il
volto; infine non più stabilità
incrollabile, ma accondiscendenza a tutte le correnti della storia, al
colonialismo, al nazionalismo, e recentemente anche il tentativo di venire a
patti con il marxismo e, dove possibile, di mimetizzarsi con esso...
Stando così le cose, sia ha l’impressione che la chiesa non sia più il
segno che invita alla fede [83], ma addirittura ostacolo principale alla sua
accettazione.
Sembra che la vera teologia possa
consistere soltanto nel togliere alla chiesa i suoi predicati teologici, nel
considerarla e trattarla in modo puramente politico. Non si guarda più a essa come a una realtà di fede, ma come a un’organizzazione
di credenti, puramente casuale anche se forse necessaria e comunque da
modificare il più presto possibile secondo i più moderni criteri della
sociologia. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, questo è lo slogan che dopo tante delusioni si
preferisce adottare nei confronti delle realtà ecclesiastiche. Il principio sacramentale non sembra più
sufficientemente chiaro; soltanto il controllo democratico appare degno di fede[nota 2]; in fondo anche lo
Spirito Santo è un po’ troppo inafferrabile.
[nota 1]
Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion Symbolorum, Freiburg 1963
ediz. 32^, n. 3013ss.
[nota 2]
In questa esigenza si nascondono elementi senz’altro giustificabili e per molti
aspetti conciliabili con il carattere sacramentale della gerarchia
ecclesiastica. Tutto ciò è esposto, con le dovute distinzioni e
chiarificazioni, in J. Ratzinger – H. Maier,
Demokratie in der Kirche, Limburg
1970 [trad. it., Democrazia nella Chiesa.
Possibilità, limiti e pericoli, Paoline, Roma 1971]
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