tratto da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio. In colloquio con Peter Seewald, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 54-62
Non posso trasformare Cristo in una proprietà privata e pretendere di
averlo soltanto per me. Cristo implica anche la scomodità della sua famiglia.
Il tramite per cui ci è giunto il dono della fede è questo tessuto di relazioni
collettive che è la comunità, non possiamo attingervi in altro modo. Chi ha
conosciuto Cristo non può distinguerlo dalla Chiesa, deve vivere Cristo dentro
la Chiesa.
Dio sì, Chiesa no?
D. Il termine greco da
cui deriva la parola «Chiesa» significa in origine: «Coloro che appartengono al
Signore». Questo significa che la Chiesa appartiene a Dio stesso?
R.
Esattamente. Ekklesia significa chiamare,
coloro che sono stati chiamati. Tecnicamente il termine allude all’«assemblea»,
con questo termine, nel contesto culturale greco, ci si riferisce ai raduni
popolari delle democrazie dell’epoca. Nell’uso linguistico cristiano il punto
di riferimento è costituito dalle adunanze del popolo d’Israele al Sinai. Da
questo punto di vista significa «coloro che sono stati radunati da Dio», coloro
che si sono raccolti nel suo nome, che appartengono a Dio e sanno che Dio è tra
di loro.
Sullo
sfondo sta la concezione, come dice Lei, della Chiesa come particolare
proprietà di Dio nel mondo e che tale è diventata in seguito alla
consacrazione, come qualcosa che gli appartiene in maniera particolare, il
Tempio vivente. I cristiani credono
fortemente che il Dio vivente non possa abitare un tempio di pietra. Il vero
Tempio sono perciò gli uomini, tra i quali abita e che gli appartengono.
Anche l’espressione popo[54]lo di Dio si riferisce in particolare
alla loro consacrazione a Dio e al loro vivere di questo rapporto di proprietà.
D. Nei 2000 anni di
storia del Cristianesimo, la Chiesa ha subito numerose scissioni. Nel frattempo
sono sorte circa 300 diverse Chiese protestanti, ortodosse e di altre
confessioni cristiane. Il numero delle comunità battiste negli Stati Uniti
supera il migliaio. Per contro continua a esistere la Chiesa cattolico-romana,
al cui vertice sta il Papa e che afferma di essere l'unica vera Chiesa. E in
effetti è, al di là di tutte le critiche, la Chiesa più diffusa nel mondo, più
significativa, e che vanta maggiori successi, annoverando tanti seguaci quanti
mai ne aveva avuti nel corso della sua storia precedente.
R.
Penso che dovremmo lasciarci guidare dallo spirito del Concilio Vaticano II ed
evitare innanzitutto ogni atteggiamento trionfalistico e ogni abuso della
nostra forza istituzionale e numerica. Se noi iscrivessimo questa forza tra i
nostri meriti, ci potremmo già al di fuori dell’appartenenza a Dio e ci
trasformeremmo in un’associazione privata dotata di forza autonoma. Una Chiesa può
godere in un Paese di grande forza istituzionale, ma, se la fede che la anima è
fragile, crolla ben presto anche il quadro istituzionale.
Forse
conosce l’aneddoto medievale su quell’ebreo che si reca in viaggio alla corte
pontificia e si fa cattolico. Al suo ritorno, un tale che conosce bene l’ambiente
della corte papale, gli chiede se si era reso conto di quanto avveniva colà. «Si,
certo», risponde quello, «tutte quelle cose scandalose, certo che le ho viste».
«E ciò nonostante ti sei fatto cattolico?! E un controsenso», si stupisce l’altro.
Replica l'ebreo: «Proprio per questo mi
sono fatto cattolico. Perché, se la Chiesa continua ad esistere nonostante
tutto, allora dev’esserci davvero qualcun altro a sorreggerla». E in un
altro apologo si racconta che Napoleone aveva detto una volta che avrebbe annientato
la Chiesa. Un Cardinale gli avrebbe risposto: «Ma se nemmeno noi siamo riusciti
a farlo!». Credo che in questi paradossi venga alla luce qualcosa di [55] molto
importante.
Le nefandezze umane non sono mai mancate nella
Chiesa cattolica. Se continua a reggere, nonostante i mille scricchiolii, se
continua a esistere, se continua a produrre grandi figure di martiri e di
credenti, persone che mettono a disposizione la loro vita come missionari, come
infermiere, come educatrici, questo mostra davvero che c’è qualcun altro che la
tiene in piedi.
Non
possiamo quindi ascrivere a nostro merito i successi della Chiesa, ma possiamo
tuttavia dire con il Concilio Vaticano II che – per quanto anche nelle altre
Chiese e comunità sia presente molta della vitalità che proviene dal Signore –
la Chiesa, in quanto soggetto ideale, è presente e si conserva proprio in questo soggetto. E ciò si spiega solo
con quello che lui dà e che gli
uomini non possono operare.
D. Guardini una volta ha
descritto in questi termini il significato della Chiesa: «Deve riproporre agli
uomini, immutabili, le verità ultime, l'immagine definitiva della perfezione, i
più profondi criteri di giudizio, senza lasciarsi confondere dalla passione,
dall'oscillazione nei sentimenti, dalle astuzie dell'egoismo». Non è poco
quello che viene chiesto alla Chiesa.
R.
Sì, ma è giusto così. Per quanto qui sia stato formulato in maniera impervia.
Guardini, che era un uomo molto comprensivo, amava esprimere ciò che si
aspettava dalla Chiesa in tutta la sua grandezza, e anche questo è importante.
Non dobbiamo avvilire in formule di compromesso la grandezza di queste aspettative
per poi farle gradualmente scomparire. La Chiesa non può
ispirare il proprio comportamento alla distinzione tra ciò che è fattibile e ciò
che non lo è. Non è suo compito trovare formule di compromesso quanto più
possibile sopportabili, ma porgere agli uomini in tutta la loro integra
grandezza la parola e la volontà di Dio, anche contro se stessa e i propri
rappresentanti.
Continuano
a impressionarmi le parole che san Paolo pronunciò nel suo discorso di commiato
dai sacerdoti di Efeso (sapeva che a Gerusalemme lo attendeva il carcere): «Vi
ho [56] annunciato, così diceva, l’intera
volontà di Dio. Non vi ho risparmiato nulla, né ho tentato di rendere l’annuncio
più accomodante. Nemmeno ho tentato di consegnarvi una mia formula personale,
ma vi ho annunciato l’intera volontà di Dio!». E in effetti la missione della
Chiesa è questa.
D. Immagino che non
abbia mai pensato di lasciare la Chiesa. Non c’è nulla nella Chiesa che la fa
arrabbiare o che addirittura la irrita ?
R.
ln effetti non potrei proprio immaginare di
lasciare la Chiesa: è la mia patria più intima. Sono fuso con lei dalla nascita
a tal punto che, per separarmi da lei, dovrei lacerare la mia stessa carne e
distruggere me stesso.
Naturalmente
ci sono sempre cose che fanno arrabbiare, su piccola scala come su quella
grande: a partire dalla chiesa locale fin su, fino all’ambito del governo
universale della Chiesa dove sto lavorando ora. Nella misura in cui si estende la presenza
umana possono essere presenti anche cose deprecabili. Ma non ci si separa dalla
propria famiglia solo perché ci si è arrabbiati; innanzitutto non ci
si separa se l’amore che ci lega gli uni agli altri è più forte dei motivi di
irritazione; se è la forza originaria che sorregge la nostra vita.
Lo stesso
avviene con la Chiesa. Anche in questo caso io so che la mia presenza non è
dettata da questa o da quella persona, so anche che sono stati commessi numerosi errori
storici, che ci possono essere fatti che suscitano la nostra collera. Ma so
anche che tutto ciò non può cancellare la specificità di questa Chiesa perché
questa ha tutt’altra provenienza e tornerà sempre ad imporsi.
D. Scrive Joseph Roth
nel suo romanzo La
Marcia di Radetzky: «La Chiesa romana, in
questo mondo in via di dissoluzione, è rimasta l'unica a conferire e conservare
la forma. Si, si può dire a dispensare la forma... Nello stesso atto con cui
stabilisce i peccati già li perdona. Nemmeno concepisce l'esistenza di uomini
che non abbiano commesso errori: questo è ciò che [57] la rende eminentemente umana... In questo modo la Chiesa romana
testimonia la sua precipua tendenza, il perdono». La Chiesa è per sua essenza
una Chiesa di peccatori?
R. È evidente! Abbiamo appena visto che la Chiesa è
sorretta da Dio nonostante i peccatori. Nella citazione emerge in
primo piano una certa ottica con cui si guarda alla Chiesa e che a partire da
considerazioni meramente profane ne sottolinea la bontà e l'utilità sociale. È essenziale
che la Chiesa conferisca una forma, che consolidi una struttura, che non si
dissolva nell’indeterminatezza, che possa annunciare la volontà di Dio. Se però
la comprensione che si ha della Chiesa si fonda unicamente sulla sua grandezza
storica, si mette Dio al servizio di finalità umane. Allora accade che si
desideri avere una religione qualsiasi, che si consideri Dio come una
costruzione umana che contribuisce a cementare il rapporto tra gli uomini e a vincolarli
a sé.
C’è
un altro aspetto della citazione che vorrei mettere in discussione, l’affermazione
secondo la quale la Chiesa cattolica istituirebbe i peccati e subito dopo li
perdonerebbe. La Chiesa ovviamente non si inventa i
peccati, ma è depositaria della volontà di Dio e ha l’obbligo di annunciarla.
La significatività di questa citazione sta nel riconoscimento del fatto che la Chiesa, che pure
proclama la volontà di Dio in tutta la sua grandezza, nella sua assolutezza e
nel rigore per mettere a disposizione dell’uomo dei parametri di giudizio,
contemporaneamente ha ricevuto la grazia di poter annoverare tra i suoi compiti
quello di dispensare agli uomini il perdono.
In
effetti la Chiesa può dire agli uomini: Chi
pretende di raggiungere la rettitudine con le sue sole forze, chi crede di non
aver bisogno del perdono si sbaglia. Allora nascono l’arroganza, la presunzione
dell’autosufficienza, che sono in ultima analisi disumane.
Si
tratta appunto di rigettare la
tentazione dell’orgoglio. Non sono nemmeno in grado di rinunciare al
perdono. Al contrario, se tento di entrare in sintonia con la volontà di Dio, di
identificare la sua con la mia volontà, so anche che riceverò sempre il
[58] suo
perdono. Sono un essere
che ha l’umiltà di accettare di aver bisogno del perdono. In quest’ottica,
umiltà e fiducia sono le caratteristiche che rendono l’uomo davvero umano.
D. «Dio sì, la Chiesa
no» è uno slogan piuttosto diffuso. San Cipriano, vescovo di Cartagine
(200-258), disse a questo proposito: «Fuori dalla Chiesa non c'è salvezza» perché
«chi non ha per madre la Chiesa non può avere Dio per padre». È ancora così ?
R.
Non è vero se si interpretano le parole di Cipriano come condanna dei non
cristiani alla dannazione eterna. In realtà significa che si ha bisogno della
propria madre anche se non la si conosce: la comunità che partorisce l’individuo
nella fede e che lo guida fino a Dio.
Cipriano
parla della relazione tra Dio e la Chiesa nel contesto della persecuzione. Si
riferisce a persone che avevano lasciato la Chiesa per timore del martirio e
che credevano di poter comunque rimanere fedeli a Cristo e al Signore. Si
rivolge a loro quando dice che chi lascia la comunità vivente, il corpo vivente,
scende dall’arca di Noè per sprofondare tra i flutti. In questo senso mostra l’inscindibilità
tra la fede in Cristo e quella nella Chiesa.
Non posso trasformare Cristo in una proprietà
privata e pretendere di averlo soltanto per me. Cristo implica anche la
scomodità della sua famiglia. Il tramite per cui ci è giunto il dono della fede
è questo tessuto di relazioni collettive che è la comunità, non possiamo
attingervi in altro modo. Cipriano non si è inventato una teoria per spiegare cosa
Dio farà di coloro che non hanno conosciuto la Chiesa. Anche san Paolo, cui la Chiesa
premeva così tanto, dice che dobbiamo comportarci rettamente all'interno della Chiesa, come Dio si
comporterà con coloro che stanno al di fuori spetta solo a lui giudicarlo. Quindi nemmeno Paolo elabora una teoria su come Dio
agirà nei confronti di chi è al di fuori della Chiesa. Ma ci dice che chi ha conosciuto Cristo non può distinguerlo dalla
Chiesa, deve vivere Cristo dentro la Chiesa. [59]
D. A distanza di 2000
anni questa questione e rimasta di estrema attualità.
R.
Forse posso aggiungere ancora qualcosa: oggi la situazione si è un po’
modificata. Johann Baptist Metz ha detto una volta che oggi ha preso piede
questa formula: Dio no, la religione sì. Si
vorrebbe disporre di una qualche religione, magari anche esoterica. Ma un Dio
personale, che parla, che mi conosce, che ha detto qualcosa di ben preciso e
che si avvicina a me pretendendo da me qualcosa di determinato e che mi vuole
anche giudicare, questo non lo si vuole. Dilaga
il fenomeno per cui si scinde Dio dalla religione. Certo non si vuole
fare a meno di questo sentimento dell’alterità del divino, di questa particolarità
del fattore religioso, si vuole poterne disporre in forma molteplice. Ma il fattore
religioso, in ultima analisi, non costituisce un vincolo se viene a mancare la
volontà di Dio, la presenza di Dio. Da questo punto di vista non ci troviamo tanto in una crisi religiosa –
le religioni addirittura proliferano – quanto piuttosto in
una crisi del ruolo che si riconosce a Dio.
D. Questa mattina volevo
recarmi alla Messa dei monaci presso la chiesa di Montecassino. Ero in ritardo
e avevo molta fretta. Ma disgraziatamente non si vedeva nessuno che mi potesse
aiutare. Ho vagato come un cieco in questo monastero grande quanto una città,
quasi imprecando, ma non sono riuscito a trovare questa maledetta strada. Ho bussato
a innumerevoli porte, ma tutte portavano nel vuoto o comunque non alla meta che
cercavo tanto disperatamente. Si può
trovare da soli la strada che conduce a Dio, alla Chiesa?
Da soli sicuramente no. Fa parte dell’essenza del
Cristianesimo – ed è implicita nel concetto di Chiesa – la natura del nostro
rapporto con Dio, che non può essere meramente interiore, che non può
unicamente fondarsi sulla relazione tra il mio Io e il Tu rappresentato da Dio,
ma che comprende pure il gesto con cui gli altri si rivolgono a noi e con cui
ci guidano.
Ogni percorso di
conversione implica pure un incontro. La [60] Chiesa acquista senso dalla presenza
nel suo grembo di coloro che a loro volta hanno cercato e poi trovato la porta
che conduceva a Dio. Tra le differenti personalità si troverà sempre qualcuno
che mi è più affine e che è in grado di trovare la parola capace di suscitare
degli echi dentro di me.
Il senso della nostra esistenza umana sta nel
veicolare Dio ad altri uomini. Lui si serve sempre di uomini per raggiungere
altri uomini.
Così anche noi siamo entrati in relazione con lui grazie ad altri uomini
guidati da lui e in cui lui stesso si è fatto incontro a noi e ha aperto il
nostro cuore a lui. Se la lettura delle Sacre Scritture ci permettesse di
innalzarci fino alla comprensione dei misteri ultimi dell’esistenza, questo
sarebbe un percorso filosofico che non ha in sé questo elemento comunitario che
è una componente così essenziale della fede.
D. A san Lorenzo
l'Imperatore romano aveva ordinato la consegna dei tesori della Chiesa. Poco
tempo dopo Lorenzo, che per il suo rifiuto aveva subito il martirio, apparve in
sogno all’Imperatore e mostrandogli le schiere dei poveri della città gli
disse: «Ecco il più grande tesoro della Chiesa».
R.
Le Sacre Scritture ci dicono che Cristo proveniva dalle fila dei poveri di
Israele. Sua madre, il quarantesimo giorno dalla sua nascita, versa l’obolo dei
poveri e ci fa comprendere che queste persone semplici avevano mantenuto aperto
lo sguardo interiore. Mille sottili distinzioni non avevano appannato la
loro
capacità di cogliere il tutto; al contrario, avevano conservato semplicità,
purezza, sincerità e bontà, qualità queste che li mettevano in grado di vedere.
Naturalmente
la Chiesa ha bisogno anche degli intellettuali. Ha
bisogno di persone che mettano a disposizione la forza del loro spirito. Ha
anche bisogno di persone ricche e generose disponibili a mettere le loro
ricchezze al servizio del bene. Ma vive anche in gran parte di quelle persone
che credono umilmente.
In questo senso la schiera di coloro che hanno
bisogno di amore e che danno amore è il suo vero tesoro: persone sem[61]plici,
capaci di verità perché sono rimaste come i bambini, come dice il Signore.
Attraverso il cammino della storia hanno conservato la capacità di vedere
l'essenziale e mantenuto vivo nella Chiesa lo spirito di umiltà e di amore.
D. La dottrina della
Chiesa ci insegna che con la venuta di Cristo ha avuto inizio il «tempo della
fine». È iniziato il «tempo della Chiesa» che avrà termine solo con il ritorno
del Signore. Che cosa significa? Vuol forse dire che il destino della terra e
degli uomini che la abitano è indissolubilmente intrecciato con quello della
Chiesa? O, detto in modo ancor più pungente: se non fosse stato per la Chiesa,
per i suoi sforzi e le sue preghiere, forse Dio avrebbe già da tempo permesso
che il mondo si spegnesse?
R.
Lasciamo aperta la questione su quanto Dio avrebbe fatto o potrebbe fare. Ma
che la Chiesa cattolica svolga un compito di fondamentale importanza all’interno
del corso della storia, questo, credo, è evidente anche da un punto di vista
meramente empirico. Se la sua fede crollasse in frantumi e dichiarasse per così
dire la bancarotta e dicesse: Ci siamo sbagliati, si aprirebbe una frattura che
attraverserebbe l’intera storia e l’intera umanità e i cui effetti sarebbero
inimmaginabili.
Abbiamo
già visto come la crisi postconciliare forse non ha
innescato la grande crisi del ’68 ma ha indubbiamente svolto la funzione di
moltiplicatore all’ennesima potenza. La drammaticità della crisi del ’68 è
comunque impensabile senza l’effetto che su di essa ha esercitato la crisi
postconciliare. E questo è soltanto ciò che si può, per così dire,
toccare con mano.
Lei ha
parlato a ragione di cose profonde, della forza della preghiera, della fede,
dell’amore. Grazie a questa forza Dio viene sollecitato a lasciarsi coinvolgere
dalla storia del mondo perché tra gli uomini si diffonda una scintilla della
sua luce. Se questa forza venisse meno sarebbe una catastrofe per la storia. [62]
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