La professione di fede
della Chiesa e lo Spirito Santo
La
Grazia della festa di Pentecoste risponde a una domanda che di questi tempi è
diventata addirittura una questione di sopravvivenza. La Pentecoste è la festa dell’unione, della
comprensione e della convivenza umana. Noi però viviamo in un tempo in cui, anche se siamo sempre più
vicini uno all’altro e se le distanze nel mondo svaniscono e sembrano contare
appena, tuttavia la comprensione tra gli
uomini si fa sempre più difficoltosa. Il primo, il secondo e il terzo mondo
si contrappongono, le generazioni si contrappongono, [11] e quotidianamente ci
rendiamo contro di come gli uomini diventino reciprocamente sempre più
aggressivi, scontrosi e cattivi, e la comprensione diventi sempre più
difficile. Come
può esserci quell’unità di cui abbiamo tanto bisogno? Come mai le cose tra noi
vanno spesso così male?
Il racconto della Pentecoste lascia trasparire sullo
sfondo l’antica storia della costruzione della torre di Babele – la storia di un regno in cui si era
concentrato tanto potere che gli uomini potevano credere di non dover più
attendere il favore di una divinità lontana, ma di essere invece abbastanza
forti da costruire per proprio contro una via verso il cielo, da spalancarne le
porte, da diventare essi stessi dèi e procurarsi il paradiso. E proprio allora
accadde qualcosa di singolare. Mentre si trovavano a
costruire insieme, si trovarono improvvisamente a costruire uno contro l’altro.
E mentre cercavano di diventare dèi, corsero il rischio di non essere neanche
uomini, poiché in essi andò distrutto ciò che c’è di più umano, l’accordo e la
capacità di comprendersi.
Fino
a vent’anni fa si poteva ancora sostenere che questo fosse un vecchio mito
orientale, del [12] quale fosse difficile riconoscere la verità. Ma oggi
sappiamo che esso è vero, perché si verifica in mezzo a noi. Attraverso il
progresso della scienza e della tecnica abbiamo ottenuto il potere di penetrare
il mondo fin nei suoi minimi elementi, di trasformare il mondo e di fabbricarne
gli esseri umani. Pregare Dio, che è
così distante, sembra allora sorpassato, quando noi stessi possiamo realizzare
ciò che vogliamo e quando basta lavorare per edificare il paradiso, il mondo
migliore della completa libertà e del consumo senza limiti.
Ci
troviamo così a rivivere la medesima esperienza: mentre sempre più condivisi sono il linguaggio,
l’informazione, gli stili di vita, sempre meno ci comprendiamo. Tra
gli uomini sorge una ferocia prima sconosciuta; sorge la diffidenza, il
sospetto, il timore reciproco e diventiamo addirittura pericolosi l’uno per
l’altro. Per avvertirlo basta seguire i notiziari, osservare gli eventi
quotidiani. Perché è così? Come può esserci unità?
A
questo, le Sacre Scritture rispondono: unità ci sarà solo se
ci verrà dato un nuovo Spirito, il quale ci doni un nuovo cuore e una nuova
lingua. Ma qui si pone anche una questione pratica: don[13]de dovrebbe venire questo nuovo spirito? Come accoglierlo? Da che cosa
lo riconosceremo?
Nella
prima lettura della Lettera ai Corinzi, che abbiamo appena ascoltato, San Paolo dà una risposta sorprendentemente
pratica. Così pratica che per noi è persino troppo facile. Vale per noi
come per Naaman il siriano, a cui era stato detto che gli sarebbe bastato
bagnarsi nel Giordano per guarire dalla lebbra; ma per lui era troppo facile,
la guarigione non poteva avvenire così semplicemente. Nello stesso modo, anche
noi stiamo di fronte a quella risposta. Dunque, Paolo ci dice che lo Spirito Santo non opera qualsiasi cosa. La nuova
parola che Esso pone sulla nostra lingua, la lingua infuocata che Esso ci ha
donato e che muta il nostro cuore, significa semplicemente: Gesù è il Signore. Questo è la nuova
parola che supera le divisioni e unisce gli uomini. Per comprendere la semplice
e purtuttavia sconfinata richiesta che sta in queste parole, dobbiamo calarci
nella loro profondità.
Innanzitutto
dobbiamo renderci contro che qui Paolo
cita precisamente la professione di fede della Chiesa. Con ciò egli vuol
dirci: ciò che è importante dello Spirito Santo non è [14] un qualche esaltato
sconvolgimento, presente anche nel paganesimo. Nel precedente versetto 2, egli
aveva ricordato ai Corinzi il tempo in cui si lasciavano trascinare «verso gli
idoli muti» e in cui avevano vissuto forma di entusiasmo ed estasi comuni anche
al paganesimo.
Lo Spirito Santo
– ci fa capire – non parla con entusiasmo, Esso è
serio. La nuova parola che Esso ci dona
consiste nell’umiltà di confessarci insieme con la fede della Chiesa;
consiste in una semplicità di cuore, che non è troppo grande per entrare nella
fede comunitaria che si estende sopra i secoli e i continenti e in questo modo
conduce gli uomini fuori di sé gli uni verso gli altri. La voce
dello Spirito Santo è la professione della fede comune della vera Chiesa
cattolica che abbraccia il mondo intero.
Nel
seguire il ragionamento di San Paolo, dobbiamo compiere un altro passo innanzi e interrogarci sul
contenuto di questa professione che costruisce la Chiesa e senza la quale essa
non ci sarebbe. Questo contenuto suona così: Gesù è il Signore. «Signore» è
l’attributo di Dio nell’Antico Testamento, che nella lettura della Bibbia
prendeva il posto dell’impronunciabile nome di Dio. [15] Questa
frase professa allora la divinità di Gesù Cristo come uomo. Ed effettivamente,
se questo è vero, tutto cambia nel mondo così come nella nostra vita. Se in
Cristo Dio è venuto nel mondo, allora cade l’eterna incertezza se Dio esiste,
come esiste, che cosa vuole da noi, se in generale il mondo e la vita hanno un
senso e una direzione.
Allora
la porta è aperta, la via è indicata, la risposta a cui tutto anela è data. Gesù è il Signore. Ma questo significa
anche: solo questo può dire colui che si rimette al Regno di Gesù, colui che
aderisce alla sua esemplarità, colui che si lascia plasmare nel proprio intimo
da Lui, colui che è pronto a camminare al suo fianco e a seguirlo.
Una tale parola, Gesù è il Signore, la regola, il motivo
del mio esistere, non può essere pronunciata solo mediante la lingua; essa
coinvolge l’uomo tutto intero. E in vista di ciò è necessario rinunciare al
possesso di noi stessi e accettare la sua massima, accordarci ad essa.
Quindi, se tutti noi non
viviamo secondo la nostra mentalità, ma conformiamo la nostra vita a quella di
Colui che ci precede, Colui che ci ha amati fino alla morte in croce, allora
veramente vivremo in comunione gli uni con gli altri. [16]
E
così si fa chiaro perché Babilonia è Babilonia e la Pentecoste è Pentecoste.
Laddove gli
uomini vogliono farsi dèi, possono solo mettersi uno contro l’altro. Laddove invece
si pongono nella verità del Signore, allora si pongono nello Spirito che
sostiene tutti i loro spiriti e veramente li unisce. Ma c’è un solo Signore che può sollevare
tutte queste pretese, senza distruggere la libertà di alcuni e anzi unendoci
tutti: Colui che è un uomo e Dio insieme. Così si rivela il rapporto tra Cristo
e lo Spirito Santo. La Pentecoste rinvia alla Trinità. Lo Spirito Santo non
opera qualunque cosa: nella sua sobrietà ci pone sotto il comando di Gesù.
Ma
seguire Gesù Cristo a sua volta non significa legarsi a
un individuo, bensì significa entrare nella pienezza della verità. Seguirlo
significa diventare spiritualmente aperti e liberi in spirito: a immagine e
somiglianza di Dio.
Preghiamo
in quest’ora lo Spirito Creatore che ha fondato la Chiesa con i fedeli di ogni
tempo: vieni, Spirito Creatore e rinnova noi e questa Terra.
Amen.
Omelia nel Duomo di Monaco di Baviera,
29 maggio 1977
[17]
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