CONCELEBRAZIONE
EUCARISTICA IN PIAZZA DELLA VITTORIA A GENOVA
OMELIA DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
Solennità
della Santissima Trinità
Domenica, 18 maggio 2008
Cari fratelli e sorelle,
al termine di un’intensa giornata trascorsa in questa vostra
Città, ci ritroviamo uniti attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, nella
solennità della Santissima Trinità. […]
Abbiamo ascoltato, nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), un testo biblico che ci presenta la rivelazione del nome di Dio. E’ Dio
stesso, l’Eterno e l’Invisibile, che lo proclama, passando davanti a Mosè nella
nube, sul monte Sinai. E il suo nome è: “Il Signore, Dio misericordioso e
pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà”. San Giovanni, nel
nuovo Testamento, riassume questa espressione in una sola parola: “Amore” (cfr 1 Gv 4,8.16).
Lo attesta
anche il Vangelo odierno: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito” (Gv 3,16). Questo nome
esprime dunque chiaramente che il Dio della Bibbia non è una sorta di monade
chiusa in se stessa e soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che
vuole comunicarsi, è apertura, relazione. Parole come “misericordioso”,
“pietoso”, “ricco di grazia” ci parlano tutte di una relazione, in particolare
di un Essere vitale che si offre, che vuole colmare ogni lacuna, ogni mancanza,
che vuole donare e perdonare, che desidera stabilire un legame saldo e
duraturo. La Sacra Scrittura non conosce altro Dio che il Dio
dell’Alleanza, il quale ha creato il mondo per effondere il suo amore su tutte
le creature (cfr Messale
Romano, Pregh. Euc. IV) e che si è scelto un popolo per stringere con esso
un patto nuziale, farlo diventare una benedizione per tutte le nazioni e così
formare dell’intera umanità una grande famiglia (cfr Gn 12,1-3; Es 19,3-6).
Questa rivelazione di Dio si è pienamente
delineata nel Nuovo Testamento, grazie alla parola di Cristo. Gesù ci ha
manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è
Amore, Amore Padre - Amore Figlio - Amore Spirito Santo. Ed è
proprio nel nome di questo Dio che l’apostolo Paolo saluta la comunità di
Corinto, e saluta tutti noi: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio
[Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2 Cor 13,13).
C’è dunque, in queste Letture, un contenuto principale che
riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il
Signore, ci invita a salire in un certo senso “sul monte” come fece Mosè. Questo
sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà
si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche le
indicazioni fondamentali per questa nostra vita: un po’ come accadde a Mosè,
che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge
incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare
avanti, per trovare la libertà e per formarsi come popolo in libertà e
giustizia. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto
il nostro cammino.
Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha
fatto conoscere rivelandoci il suo “nome”, cioè il suo volto, deriva una certa
immagine di uomo, cioè il concetto di persona.
Se Dio è
unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e
somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a
realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in
relazione. In particolare, Gesù ci ha
rivelato che l’uomo è essenzialmente “figlio”, creatura che vive nella
relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e
sorelle.
L’uomo non
si realizza in un’autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al
contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e
verso i fratelli, nei cui volti ritrova l’immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e
dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e
quindi di società. E’ un modello che sta prima di ogni regolamentazione
normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni
culturali; un modello di umanità come famiglia, trasversale a tutte le
civiltà, che noi cristiani esprimiamo affermando che gli uomini sono tutti
figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal
principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un
progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale.
Ricchissimo
è il Magistero della Chiesa che si è sviluppato a partire proprio da questa
visione di Dio e dell’uomo. Basta percorrere i capitoli più importanti della
Dottrina Sociale della Chiesa, a cui hanno dato apporti sostanziali i miei
venerati Predecessori, in particolare negli ultimi centovent’anni, facendosi
autorevoli interpreti e guide del movimento sociale di ispirazione cristiana.
Vorrei qui oggi menzionare solo la recente Nota
pastorale dell’Episcopato
italiano “Rigenerati per una
speranza viva”: testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo (29.VI.2007). Questa Nota propone due
priorità: anzitutto, la scelta del
“primato di Dio”: tutta la vita e l’opera della Chiesa dipendono dal mettere al
primo posto Dio, ma non un Dio generico, bensì il Signore con il suo nome e il
suo volto, il Dio dell’Alleanza che ha fatto uscire il popolo dalla schiavitù
d’Egitto, ha risuscitato Cristo dai morti e vuole condurre l’umanità alla
libertà nella pace e nella giustizia.
L’altra scelta è quella di porre al centro la
persona e l’unità della sua esistenza, nei diversi ambiti in cui si dispiega:
la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità sua propria, la
tradizione, la cittadinanza.
Il Dio uno
e trino e la persona in relazione: questi sono i due riferimenti che la
Chiesa ha il compito di offrire ad ogni generazione umana, quale servizio
alla costruzione di una società libera e solidale. La Chiesa lo fa certamente con
la sua dottrina, ma soprattutto mediante la testimonianza, che non per nulla è
la terza scelta fondamentale dell’Episcopato italiano: testimonianza personale
e comunitaria, in cui convergono vita spirituale, missione pastorale e
dimensione culturale.
In una
società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione.
Questa realtà non viene “dal basso” ma è un mistero che ha, per così dire, le
“radici in cielo”: proprio in Dio uno e
trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è
comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per
condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio
Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, “è in Cristo come un sacramento,
cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il
genere umano” (Cost. Lumen
gentium, 1). Anche qui, in questa grande Città, come pure nel suo
territorio, con la varietà dei rispettivi problemi umani e sociali, la
Comunità ecclesiale, oggi come ieri, è prima di tutto il segno, povero ma
vero, di Dio Amore, il cui nome è impresso nell’essere profondo di ogni persona
e in ogni esperienza di autentica socialità e solidarietà.
Dopo queste riflessioni, cari fratelli, vi lascio alcune
esortazioni particolari. Abbiate cura
della formazione spirituale e catechistica, una formazione “sostanziosa”, più
che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico
agli adulti e ai giovani: coltivate una
fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non
cattolici, con i non cristiani e i non credenti.
Portate
avanti la vostra generosa condivisione con i poveri e i deboli, secondo
l’originaria prassi della Chiesa, attingendo sempre ispirazione e forza
dall’Eucaristia, sorgente perenne della carità. Incoraggio con affetto speciale
i seminaristi e i giovani impegnati in un cammino vocazionale: non abbiate
timore, anzi, sentite l’attrattiva delle scelte definitive, di un itinerario
formativo serio ed esigente. Solo la misura alta del discepolato affascina e dà
gioia. Esorto tutti a crescere nella dimensione missionaria, che è
co-essenziale alla comunione. La
Trinità infatti è al tempo stesso unità e missione: quanto più intenso è
l’amore, tanto più forte è la spinta ad effondersi, a dilatarsi, a comunicarsi. Chiesa di
Genova, sii unita e missionaria, per annunciare a tutti la gioia della fede e
la bellezza di essere Famiglia di Dio. Il mio pensiero si allarga alla Città
intera, a tutti i Genovesi e a quanti vivono e lavorano in questo territorio.
Cari amici, guardate al futuro con fiducia e cercate di costruirlo insieme,
evitando faziosità e particolarismi, anteponendo ai pur legittimi interessi
particolari il bene comune.
Vorrei concludere con un augurio che riprendo
dalla stupenda preghiera di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il
Signore cammini sempre in mezzo a voi e faccia di voi la sua eredità (cfr Es 34,9). Ve lo
ottenga l’intercessione di Maria Santissima, che i Genovesi, in patria e nel
mondo intero, invocano quale Madonna della Guardia. Con il suo aiuto e con
quello dei Santi Patroni di questa vostra amata Città e Regione, la vostra fede
e le vostre opere siano sempre a lode e gloria della Santissima Trinità.
Seguendo l’esempio dei Santi di questa terra siate una comunità missionaria: in
ascolto di Dio e al servizio degli uomini! Amen.
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