La ragionevolezza della fede nella creazione
Dobbiamo ora approfondire quest’idea in due direzioni.
Per
prima cosa
vogliamo
trattare il semplice «dato» della creazione. Tale dato esige una [39] causa; essa rinvia
a quella potenza, che era all’inizio e che poté dire: Sia fatto!
Nel secolo
XIX
poteva sembrare che le cose stessero diversamente. Le scienze naturali erano
caratterizzate dalle due grandi leggi della conservazione della materia e
dell’energia. Sembrava così che questo mondo fosse un cosmo eternamente
sussistente e dominato dalle leggi perenni della natura, un cosmo esistente in
sé e per sé, che non bisognava di nulla al di fuori di sé. Esso appariva
come un tutto di cui Laplace poteva dire: «Non ho più bisogno dell’ipotesi
Dio».
Ma poi
sopraggiunsero nuove conoscenze. Si scoprì la
legge dell’entropia, la quale dice che l’energia viene consumata e
trasformata in uno stato da cui non può più essere fatta retrocedere. Questo però significa che il mondo vive un
processo di divenire e di passaggio. Esso porta in sé inscritta la temporalità.
Poi si
scoprì che la materia si trasforma in energia, ciò che modificò
automaticamente le due leggi della conservazione.
Quindi
sopraggiunsero le teorie della relatività e altre conoscenze, le quali mostrarono
che il mondo porta in se stesso i propri orologi che ci permetto[40]no di
riconoscere un principio e una fine, un cammino che va dal principio alla fine.
Anche se i tempi si allungarono immensamente,
tuttavia attraverso l’oscurità dei miliardi di
anni la conoscenza della temporalità dell’essere fece di nuovo intravvedere
quell’istante che la Bibbia chiama il principio, quel principio che rimanda a
Colui che ebbe il potere di porre l’essere, il potere di dire: sia fatto – e fu
fatto.
Una seconda riflessione non si riferisce più solamente
al dato dell’essere.
Essa prende per così dire in considerazione il disegno del mondo,
il modello secondo cui è costruito. Da quel «sia fatto» non derivò infatti un magma informe. Più
conosciamo il mondo più vediamo balenare in esso una intelligenza, di cui
possiamo ripercorrere pieni di stupore le vie. Attraverso di esse riconosciamo
in maniera completamente nuova quello Spirito creatore cui anche la nostra
ragione deve sé stessa.
Albert Einstein disse una volta che nelle leggi
della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del
pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente
insignificante» [nota 1]. Riconosciamo come nel [42] macrocosmo, nel mondo
delle stelle, si rivela una ragione potente, che tiene insieme l’universo. Sempre
più però impariamo a guardare anche nel microcosmo, nelle cellule, nelle unità
originarie della vita; pure qui scopriamo una
razionalità stupefacente, che ci induce a dire con san Bonaventura: «Colui che
qui non vede, è cieco. Colui che qui non ode, è sordo. Colui che qui non comincia
ad adorare e a lodare il Creatore, è muto».
Jacques
Monod,
che respinse
ogni genere di fede in Dio come non scientifica e ricondusse tutto il mondo al
gioco del caso e delle necessità, nell’opera in cui cerca di esporre
e di giustificare sinteticamente questa visione della realtà racconta che François
Mauriac, dopo aver ascoltato le conferenza poi raccolte nel libro, avrebbe
detto: «Quanto dice questo professore è ancora più incredibile di quel che
crediamo noi poveri cristiani» [nota 2]. Monod non contesta questa
affermazione. La
sua tesi è che tutto il concerto della natura è frutto di errori e stonature.
Egli non può fare a meno di dire spontaneamente
che una simile concezione è davvero assurda. Ma il metodo scientifico – così prosegue
– ci costringe a non ammettere una domanda cui è necessario rispon[42]dere con
la parola «Dio». Quale misero metodo, possiamo solo dire!
Attraverso la ragione della creazione,
Dio stesso ci guarda. La fisica, la biologia,
le scienza naturali in genere, ci hanno fornito un racconto della creazione
nuovo, inaudito, con immagini grandiose e nuove, che ci permettono di
riconoscere il volto del Creatore e ci fanno di nuovo sapere: sì, all’inizio e
al fondo di tutto l’essere c’è lo Spirito
creatore.
Il
mondo non è il prodotto dell’oscurità e dell’assurdo. Esso deriva da un’intelligenza,
deriva da una libertà, da una bellezza che è amore. Riconoscere questo ci
infonde il coraggio di vivere, il coraggio che ci rende capaci di affrontare
fiduciosi l’avventura della vita.
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