Una contraddizione
D. Da un lato ci sono i
comandamenti di Dio, dall’altro la natura umana. Entrambi hanno origine dalla
creazione. E tuttavia è a tutti evidente la difficoltà di conciliare i due
elementi. Anche pensare e compiere il male fa parte evidentemente della natura
umana. In ogni caso questo paradosso ci fa sentire schiacciati sotto il peso di
un dover essere troppo oneroso.
R.
La fede
cristiana parte dal presupposto che si è verificata una distorsione nella
creazione. L'esistenza umana non è più quale è uscita dalle mani del Creatore.
È gravata da un altro fattore, la coesistenza, accanto all'innata tensione verso Dio, della tendenza ad allontanarsi da Dio. L’uomo è così
lacerato tra la tensione originaria, impressagli all’atto della creazione, e l’eredità
storica.
Questa
possibilità è già insita nell’essenza della finitezza, della creaturalità, ma
si è dispiegata solo nella storia. L’uomo, da un lato, è stato creato in
funzione dell’amore. Esiste per perdere se stesso, per far dono di sé. Ma gli è
anche propria la tendenza al rifiuto, a voler essere solo se stesso. Questa
predisposizione si accentua fino al punto in cui da un lato può amare Dio,
dall'altro però cedere alla propria collera verso Dio e rivendicare la propria
indipendenza, la propria volontà di essere soltanto se stesso.
Se rivolgiamo
uno sguardo vigile su di noi, ci rendiamo conto di questo paradosso, di questa
tensione interna alla nostra esistenza. Da un lato riconosciamo come giusto ciò
che ci è indicato dai Dieci Comandamenti. E qualcosa che anche noi desideriamo
e che ci rende felici. Per esempio, essere buoni con gli altri, nutrire
gratitudine, rispettare gli altri nella loro pro[43]prietà, trovare, nell’ambito
della relazione tra i sessi, il grande amore da cui scaturisce un’assunzione di
responsabilità che dura una vita intera, dire la verità, rifiutare la menzogna.
In qualche modo è questa una tendenza che non agisce solo contro di noi o che pesa sulle nostre spalle come un giogo.
D. D'altro canto
avvertiamo la tentazione di sottrarci agli obblighi morali impostici dai Dieci Comandamenti.
R.
Nell’uomo sono
presenti anche il gusto per la contraddizione, la comodità della menzogna, la
tentazione della diffidenza, che scaturiscono da una tendenza distruttiva,
dalla volontà di dire no.
Questo
paradosso ci dimostra come nell’uomo sia riscontrabile una certa distorsione
interna, tanto che questi non riesce ad essere semplicemente quello che
vorrebbe essere. So ciò che è bene, e lo approvo, diceva già Ovidio, poeta
romano, e però faccio il contrario.
Un’analoga
constatazione viene fatta da Paolo nel capitolo settimo della lettera ai
Romani: Non compio il bene, che voglio, ma il male che non voglio. In Paolo si
leva il grido: Chi mi redime da questa contraddizione interna? Ed è questo il
punto a partire dal quale Paolo comprende rettamente la figura di Cristo e la
porta nel mondo pagano dell’epoca quale risposta di redenzione.
D. C’è comunque anche
un’altra contraddittorietà interna. Si tratta di una contraddizione tra la
lieta novella di questo Dio che si suppone «buono» e lo stato reale del mondo.
Ne consegue una delusione che coinvolge Dio. Molte persone non riescono a
scorgere alcuna traccia di un’azione che dovrebbe essere salvifica. E talvolta anch’io
mi ritrovo a pensare che la fede non regga forse più il passo con l'evolversi
delle nostre concezioni. Non riesce a sopportare la luce accecante dei fatti.
R.
Alla contraddizione interiore, di cui abbiamo appena parlato, si aggiunge l’elemento
collettivo. C’è una consapevolezza collettiva che rafforza questa
contraddizione. Che dà ragione alle tendenze egoistiche che spingono a volgere
le spalle a Dio e che additano le strade manifestamente più comode. [44]
Ognuno di noi non vive da solo, viene anche
plasmato o anche sedotto e deformato da ciò che lo circonda. Le società possono
presentare diversi gradi di decadenza o anche di altezza morale.
Le
comunità possono svolgere un ruolo portante e indirizzarmi su quel cammino
lungo il quale le contraddizioni interiori si fanno sempre meno gravose fino a
dissolversi.
D’altro
canto, però, si fa sentire la logica della mediocrità, in base alla quale ci si
può nascondere dietro al pretesto che anche gli altri si comportano allo stesso
modo. Sono società in cui il furto è diventato normale, la corruzione non viene
più avvertita come disdicevole e la menzogna è la modalità abituale con cui ci
si rapporta agli altri.
Le società possono trascinare l’uomo verso il
basso o aiutarlo a innalzarsi. Nel primo caso c’è un certo predominio delle
cose materiali e di un pensiero di impronta materialistica, tanto che tutto ciò
che va oltre la materialità dell’esistenza viene considerato superato, folle e
inadeguato all’uomo. Nel secondo caso c’è una certa evidenza della presenza
reale di Dio ed è più facile incamminarsi verso di lui.
D. Ma perché la vita non
può essere solo facile, piacevole e divertente?
R.
Naturalmente accontentarsi del materiale, del tangibile, di esperienze di
felicità che possono essere acquistate e reiterate a piacere, è, al momento, la
cosa più semplice. Si può entrare in un negozio e per denaro acquistare la
possibilità di consumare un’esperienza estatica, liberandosi in questo modo
dalla fatica che comporta il difficile cammino per diventare se stessi e per
superare i propri limiti.
Questa
tentazione è terribilmente grande. Anche la felicità diventa una merce che può
essere venduta e acquistata. E allora questa scelta è più comoda, questa strada
più rapida, la contraddizione interiore pare eliminata perché l’interrogativo
su Dio è diventato superfluo.
D. Si potrebbe, tuttavia,
considerare questa la forma esistenziale civilizzata, sviluppata e adeguata al
mondo moderno.
[45]
Ma
sappiamo anche che si rivelerebbe ben presto una delusione. L’individuo si
rende conto del vuoto che rimane alla fine nella sua vita, e, una volta uscito
dallo stato di estasi, non riesce più a sopportare se stesso e il mondo. E più
tardi si dimostra l’inganno subito.
È
vero che non siamo immersi da soli in questo dramma, con il quale misurarci a
tu per tu a partire dalla nostra interiorità individuale, ma che siamo inseriti
in un tessuto di relazioni. Questo tessuto collettivo può facilitare l’impresa
come renderla più complicata.
La
Chiesa antica aveva creato il catecumenato proprio per questa ragione. L’obiettivo
era quello di creare una specie di società alternativa che permettesse di
entrare in sintonia con Dio e che, attraverso la vita comunitaria, aiutasse a
entrare in quella dimensione in cui è possibile imparare a vedere Dio. In quell’arco
di tempo che preparava al Battesimo, chiamato non a caso illuminazione, veniva il momento in cui nel singolo sbocciava una
consapevolezza nuova e iniziava un percorso di crescita autonoma nella fede.
Penso
che nelle società contemporanee orientate in senso ateistico o
agnostico-materialistico si riproponga questa necessità. Prima c’era una
profonda identificazione, almeno in apparenza, tra Chiesa e società. Oggi la Chiesa deve
fare un nuovo sforzo per creare luoghi alternativi in cui non venga offerto un
tessuto collettivo che gravi sull’uomo e lo avvilisca, ma un tessuto di
relazioni che si apra al singolo, che lo sorregga e lo guidi nel suo sforzo di
imparare a vedere.
D. Mi chiedo se davvero
la fede ci renda migliori, più misericordiosi, più disponibili ad amare il
prossimo, meno avidi, meno vanitosi. Prendiamo quelli che Dio stesso ha
chiamato a una vocazione di fede, quelle persone che per loro scelta non
dovrebbero avere altro scopo che piacere a Dio e acquisire una perfezione
pressoché assoluta. Perché anche tra i
religiosi, i monaci e le suore ci si imbatte in tanta invidia, gelosia,
menzogna e mancanza di disponibilità nei confronti del prossimo? Perché la loro
fede non è riuscita a renderli migliori? [46]
R.
Questo è in effetti un interrogativo angosciante. Si
constata una volta di più che la fede non è data una volta per tutte, ma può
avvizzirsi o crescere, attraversare alti e bassi. Non è una garanzia
preconfezionata, qualcosa simile a un capitale depositato che può solo
accrescersi. La fede è sempre data in una libertà molto fragile. Ci piacerebbe
che fosse diversamente.
Ma qui
sta il rischio difficilmente comprensibile che Dio ha corso rinunciando a
somministrarci una medicina più potente. Anche quando dobbiamo constatare la
presenza di comportamenti erronei nel mondo di chi crede (che presuppongono sempre
un indebolimento della fede), non dobbiamo tralasciare l’altra faccia della
medaglia. Le
storie di tante persone semplici e buone in cui la fede ha infuso bontà sono lì
a dimostrarci ciò che di positivo opera la fede. Penso in
particolare a persone anziane che vivono in parrocchie assolutamente normali e
che sono maturate nella fede fino ad acquisire una grande bontà. Incontrandole
si avverte una sorta di calore, di luce interiore. E viceversa dobbiamo anche
prendere atto delle tendenze evolutive della nostra società che, con l’appannarsi
della fede, si è fatta più dura, violenta, pungente. Il clima, l’ha ammesso persino
un teologo critico come Vorgrimler, lungi dal migliorare, si è fatto più saturo
di rabbia e di cattiveria.
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